BIOGRAFIA DI PIETRO METASTASIO
Pietro Metastasio a Napoli (1719-1724), formazione ed avvio di una carriera straordinaria
Già a partire
dal 1720, una nuova strada, rispetto
a quella del Gravina, si apre dinanzi a Metastasio così da consentirgli
di abbandonare definitivamente la pratica di avvocato. Egli soprattutto
scopre l’opportunità di fare accompagnare dalla musica le serenate o feste
teatrali composte in occasione di matrimoni, compleanni e onomastici della
nobiltà napoletana e della famiglia dell’imperatore d’Asburgo. Prima di
abbandonare Roma, nei due anni immediatamente successivi alla morte del
Gravina, si può forse leggere l’avvicinamento di Metastasio a Francesco
Gasparini, maestro di cappella in S. Lorenzo in Lucina e in S. Giovanni
in Laterano, come il tentativo di rendere cantabile, cioè musicabile,
la sua poesia, con l’aiuto del famoso musicista e l’apprendimento di quest’arte.
Fatto sta che l’Accademia dell’ Arcadia e il suo anti-marinismo non sono
stati capaci di evolvere lo spettacolo pubblico di poesia, facendolo rivestire
dalle note musicali, per lo meno nell’arco di tempo dalla partenza di
Haendel per Londra e di Alessandro Scarlatti per Napoli, fino all’arrivo
a Roma, circa alla metà degli anni Venti, dei Leo, dei Vinci,
dei Sarro, ed anche del veneziano Vivaldi,
chiamato al teatro Capranica dal concittadino cardinale Pietro Ottoboni.
E’ comunque sintomatico che l’opera seria e i suoi grandi musicisti vengano
introdotti a Roma quando l’esperienza metastasiana a Napoli di una rinnovata
poesia per il teatro musicale avrà messo salde radici. A tutt’oggi non sono state trovate testimonianze
dirette di Metastasio in grado di spiegare l’incontro della sua poesia
con le note musicali. Le lettere del suo ricchissimo epistolario (pubblicato
ancora dal Brunelli) non offrono confessioni o dichiarazioni d’intenti
circa l’inizio dell’indissolubile intreccio collaborativo tra poesia e
musica che avrebbe caratterizzato per sempre ogni produzione letteraria
del nostro (fatta eccezione, ovviamente, per gli scritti e i commenti
sulla tragedia greca, le poetiche di Aristotele e di Orazio, e i testi
in prosa destinati, in generale, a forme di comunicazione corrente con
il mondo). I biografi dell’epoca di Metastasio mettono in rilievo, a riguardo
della sua scelta di comporre per il teatro musicale, l’influenza esercitata
su di lui dalla grande cantante Marianna
Benti Bulgarelli, la “Romanina”. Questa – com’è noto – conobbe il
poeta essendo stata invitata dalla corte del vicere di Napoli a dare la
sua voce nella parte di Venere per Gli
Orti Esperidi (1721). Probabilmente, però, già prima di questo
fortunato matrimonio d’arte (e non solo) con Marianna Benti Bulgarelli (esaltato soprattutto dalla collaborazione
per la Didone abbandonata nel 1724, il primo melodramma
che conferisce subito uno straordinario successo e fama imperitura all’autore
) già l’ Endimione
aveva probabilmente consentito l’incontro tra il poeta e la cantante. La favola pastorale scritta da Metastasio
nel 1720 per onorare, dopo la composizione del già ricordato Epitalamio,
le nozze di Antonio Pignatelli di Belmonte con Anna Pinelli
di Sangro, fu rappresentata nella primavera del 1721, alcuni mesi
prima de Gli
Orti Esperidi, probabilmente con le musiche dell’ormai anziano
ma famosissimo Alessandro Scarlatti.
Il successo arriso alla festa teatrale, ottenuto grazie anche all’apporto
del sempre ornato e suggestivo stile musicale di Scarlatti, fu introdotto
dalla dedica di Metastasio a Marianna
Pignatelli d’Althann, parente dello sposo, cognata del futuro vicere
di Napoli, Michele Federico d’Althann. Sia Alessandro Scarlatti sia Marianna
d’Althann erano in relazione di amicizia con la “Romanina”, e il fatto
rende possibile l’ipotesi o che il successo dell’Endimione abbia indotto a fare ricadere su Metastasio l’incarico
a comporre Gli Orti Esperidi (1721), ovvero
che proprio la cantante abbia
presentato il vecchio Scarlatti al giovane poeta , e abbia poi addirittura
consigliato quest’ultimo a dedicare il libretto a stampa alla contessa
Marianna d’Althann. Un’altra festa teatrale, l’Angelica (scritta e pubblicata
dal poeta nel 1720, ma messa in scena e in musica nel 1722) si contende
con l’Endimione il ruolo di prima azione teatrale scritta a Napoli
da Metastasio. Niccolò Porpora, giovane e già rilevante esponente dell’ultima
generazione dei musicisti napoletani mise le note sotto i versi sia di
Angelica
sia de Gli Orti Esperidi. La collaborazione con il Porpora - (decisa per Gli Orti Esperidi dall’autonoma
scelta del vicere Marc’Antonio Borghese, accompagnandola a quella per il cantante Carlo Broschi “Farinelli”,
il “gemello adorabile”dell’intera vita di Metastasio) - fu di rilevante
importanza per Metastasio, poiché, nel fare artistico, gli consentì l’opportunità di verificare le corrispondenze
tra metrica poetica e metrica musicale, fruendo della lezione e della
grande esperienza di uno tra i maestri di canto dell’ultima generazione
dei musicisti napoletani. Comunque sia stata avviata, e da chi precisamente,
l’interazione tra poesia e musica nell’esordio napoletano di Metastasio,
denota il ruolo rilevante già attribuito al giovane poeta romano
da parte dell’aristocrazia napoletana. Questa, infatti, incarica uno tra
i più rinomati maestri di canto musicale a porre le sue note sotto i versi
del nostro, affinché nulla sia lasciato al caso, e tutto invece possa
apparire come un’operazione artistico-culturale in cui è preminente l’opportunità
simbolico-rappresentativa della nobiltà di proporsi come benefica dispensatrice
di doni materiali - (cibarie, elargizioni in denaro, processioni
in pompa magna delle classi dominanti al completo) -, per le occasioni
festive cui anche il popolo minuto è chiamato a partecipare, godendo dei
beni immateriali del teatro musicale. Si vuole così che l’imperatore Carlo
VI venga rassicurato che a Napoli un clima sociale sereno e collaborativo
è subentrato al lungo, tetro e conflittuale periodo della dominazione
spagnola. La realtà storica effettuale,
in verità, fu ben diversa, per lo meno a riguardo dell’indirizzo politico
seguito da Carlo VI nel governo di Napoli. L’imperatore, non dimentico
dell’esperienza in Spagna che lo aveva visto contendere a Filippo V il
trono della penisola iberica e dei suoi domini americani, fino alla pace
di Utrecht (1713), aveva condotto al suo seguito, a Vienna, un congruo
numero di consiglieri che lo avevano servito alla corte di Barcellona.
Fu anche per “merito” di questi che le magistrature napoletane e i complicati
meccanismi di reggenza tardo feudale della città non solo non vennero
rinnovati, ma subirono ancora l’influenza nepotista e frenante degli antichi
interessi costituiti attorno al polo e all’alleanza tra clero e grande
proprietà della Chiesa, da una parte, e i tradizionali privilegi della
nobiltà terriera di nomina e derivazione spagnola, dall’altra. Oltre, quindi,
al rapido accenno di Metastasio nella lettera al d’Aguirre a proposito
dell’assenza di una Corte a Napoli, in grado di indirizzare con mano sicura
indifferibili scelte politiche, proprie di una città dominante, sono i rapporti irrisolti
con le magistrature cittadine, la Chiesa (in particolare), e la nobiltà
filo-asburgica in attesa di ruolo, a rinviare sine die la realizzazione
di riforme politiche e sociali degne del Sacro Romano Impero germanico.
Infatti, tutto farebbe ritenere che la
potenza cattolica dominante in Europa, tra fine Seicento e primo
decennio del Settecento antemurale e barriera insuperabile per l’espansionismo
islamico dell’Impero Ottomano nell’Europa della grande tradizione post-romana,
possa dare finalmente a Napoli un assetto politico-giuridico fondato sulla
certezza delle leggi, garantita da un’indiscussa ed unica autorità centrale.
Ma, figure di dignitari come il marchese de Figuerola, al servizio
dell’imperatore fin da quando questi teneva corte a Barcellona come re
di Spagna, riescono da Vienna a riservare ancora a clero e nobiltà napoletana
privilegi finanche nell’esercizio delle magistrature cittadine, inibendo
una reale e progressiva trasformazione dello Stato.
Tutto ciò nonostante,
l’insegnamento teorico-politico del Gravina sulla suprema
romana autorità del Cesare, già trasfuso dall’allievo nel primo
dramma giovanile Giustino, trova a Napoli la temperie politica e sociale più
idonea, affatto unica ed eccezionale, affinché Metastasio possa rappresentare
la coincidenza tra attese eterogenee e la sua ricerca di una poesia universale
veicolata attraverso il teatro musicale, lo spettacolo più diffuso ed
acclamato del tempo. Nella festa
teatrale Gli Orti Esperidi, commissionata a Metastasio dal principe romano
Marc’Antonio Borghese, vicere di Napoli, antico amico sia del Gravina
che del discepolo prediletto, l’occasione festiva di celebrare l’onomastico
dell’imperatrice Elisabetta Cristina, dà modo di disegnare attraverso
le figure mitologiche di Marte e Venere, Adone ed Egle, i caratteri e
le passioni cittadine di uomini e donne non più dominati da stereotipi
e ruoli ancestrali nella diuturna battaglia dei sessi. Venere si prende
gioco del terribile Marte, dio della guerra e di una violenza irrefrenabile,
fino a condurlo, pur di non apparire in tutta la sua rozzezza, a sottomettersi
e ad accettare gli amori di Adone e di Egle, la ninfa esperide, mentre
Palemone, dio marino assiste impotente alla rete di menzogne ordite dagli
innamorati a danno di Marte e suo, con Venere nella
veste di colei che offre la sua protezione per la vittoria dell’Amore
sulla violenza e la rozza informe naturalità di Marte. Una favola pastorale,
di sapore e gusto prettamente arcadici, si tramuta in un insegnamento
di nuovi civili costumi di vita, in cui la donna tende ad assumere, nei
rapporti sociali della città, un ruolo autonomo e indipendente, capace
di gestire l’attrazione suscitata negli uomini per esercitare i propri
diritti di individuo e di essere amante. La favola pastorale, perciò, rimanda e rinvia alle attese di dismissione di usi e costumi propri del mondo contadino, rivolte dal ceto dei sapienti – nobili e/o letterati che siano – all’informe mondo dei popolani - i napoletani “lazzari”- perché abbandonino superstizioni, riti e miti magici, assecondati spesso da un clero anch’esso ignorante e superstizioso, e partecipino ai processi di incivilimento emergenti nella città ad opera della borghesia e dell’aristocrazia intellettuale. |
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LEO VINCI, La contesa de' Numi, Aria della Fortuna