CHARLES BURNEY
Charles Burney storico della musica nell'Europa del Settecento
Il ruolo di Charles Burney (Condover
1726 - Londra 1814) nella tradizione culturale dell’Europa moderna è strettamente
legato alla sua opera più
importante: A General
History of Music from
the Earliest Ages
to the Present Period (1776-1789), vera pietra miliare della storiografia musicale dal Settecento
ad oggi. Fondata su un’ampia e diretta conoscenza della musica eseguita nel corso del secolo,
l’opera del Burney, grazie al genuino piacere
e interesse per questo linguaggio artistico ed espressivo – comunicati
ai suoi numerosi lettori con precisa competenza e con personali giudizi
di gusto – consentì all’autore di dedicare la sua vita alla divulgazione
della vita musicale in Europa durante quel XVIII secolo in cui quest’arte
occupò un posto centrale nella società, nella cultura e nella vita civile. L’amore per la musica, cui pure dedicò parte non trascurabile della sua esistenza sia come
organista, clavicembalista, violinista e compositore, rese famoso Burney presso i circoli più esclusivi della sua Inghilterra.
Fu suo amico e protettore l’attore di teatro più famoso
del secolo, quel David Garrick che dal Drury Lane rinnovava i fasti del teatro elisabettiano;
come anche fu in rapporto con
Samuel Johnson, mostro sacro della cultura e della letteratura
inglese. Horace Walpole,
il figlio del politico inglese della borghesia più illuminata, letterato,
fondatore del romanzo gotico, fu amico del Burney,
come anche il filosofo David Hume. Joshua Reynolds immortalò la figura
del Burney in un famoso ritratto. Fu estimatore e seguace di J.J. Rousseau, a partire soprattutto
dal ripensamento cui il filosofo sottopose la musica del suo tempo, arrivando
ad esaltare con lui i compositori italiani – maestri dell’espressione
e del sentimento – rispetto alla scuola francese. Anche con Diderot, Burney strinse rapporti
di stima ed amicizia. Prima di arrivare a pubblicare la sua:
A General History of Music..., Burney
(che ancora giovane, a Chester, aveva incontrato e suonato con Friedrich Haendel e aveva svolto
un duro apprendistato presso il musicista e compositore Augustin Thomas Arne) decise di viaggiare in Europa, in cui ancora trionfava
la musica italiana, per documentarsi direttamente alla fonte sulle origini
e lo sviluppo di tale egemonia. Messosi in viaggio agli inizi degli anni
Settanta, Burney, in due successive missioni
nel Continente – la prima da giugno a dicembre del La pubblicazione di entrambe le esperienze
maturate, gli procurò non solo un grande successo
di pubblico (e di critica, soprattutto), ma finì per costituire il materiale
indispensabile per la stesura di quella grande Storia della Musica che
avrebbe terminato soltanto molti anni dopo.
In questa direzione, sia The Present State of Music in France and Italy (1771), sia
il volume successivo, The Present State of Music in Germany, the Netherlands, and
United Provinces (1773), rafforzeranno
l’autore nelle sue convinzioni storiche e di gusto circa il carattere
evolutivo realizzatosi nella esperienza musicale, in un contesto stilistico,
affettivo, sentimentale, comunque fortemente in debito nei confronti dell’ispirazione
creativa propria dei compositori italiani, o ad essa assimilabile. Non può pertanto stupire che tra le pagine
più belle del diario di viaggio in Europa centrale
appaiano quelle dell’incontro a Vienna con Pietro Metastasio, la cui poesia
agli occhi di Burney aveva avuto l’inarrivabile
merito – per così dire – di “accompagnare”, cioè ispirare e quasi dettare
lo sviluppo della musica per il piacere dell’orecchio. La sintonia umana e artistica tra l’anziano
Poeta Cesareo e lo storico inglese, attraverso una civile e colta conversazione,
confermò ad entrambi la comune predilezione – sebbene non espressamente
dichiarata nell’occasione – per musicisti come Johann Adolph Hasse, la cui cura nell’intonazione espressiva dei sentimenti
e degli affetti era capace di suscitare piacere, ammirazione e compiacimento
per lo sviluppo e il progresso del linguaggio
musicale.
Del resto, l’approvazione e la convinta adesione di
Charles Burney alla superiore
cantabile melodia e armonia della musica italiana, esemplarmente perseguite
e mirabilmente perfezionate soprattutto dai compositori di “scuola napoletana”
(con i quali si era formato lo stesso Hasse), veniva ribadita
dallo storico inglese nel licenziare alle stampe: The Present State
of Music in Germany, the Netherlands,
and United Provinces
(Viaggio musicale in Germania e
Paesi Bassi, tr.it. a cura di E. Fubini,
Torino, EDT, 1986). Scrivendo l’introduzione all’ultimo dei
suoi viaggi musicali, Burney – che non mancò
di attenuare le critiche alla musica tedesca, nonché
a quella francese, a seguito delle rimostranze rivoltegli dai compositori
tedeschi – sottolineava ancora una volta i meriti della musica italiana: « […] l’Italia ha portato la musica vocale
ad un grado di perfezione sconosciuto in ogni altro paese, [anche se]
è certo che oggi dobbiamo ai tedeschi l’eccellenza della musica strumentale,
[…] ».
Il fatto che la vocalità italiana fosse musica, cioè strutturalmente e intimamente composizione tonale per
la voce umana (considerata, come sappiamo, elemento costitutivo delle
origini stesse del linguaggio musicale, cioè come melopea o melica nell’antica
Grecia), tale predilezione di Burney, insomma,
per la musica italiana su tutte, trapelava quasi sfacciatamente nel prosieguo
delle osservazioni “riparatrici” del viaggiatore musicale che a merito
della Germania aggiungeva: « […] forse mai in alcuna
epoca e in alcun paese gli strumenti a fiato e ad accordatura fissa
sono stati portati a un così alto grado di raffinatezza, sia nella costruzione
che nell’uso, come oggi dai tedeschi». Era come se Burney assegnasse alla Germania una superiorità meramente tecnica nella riproduzione del suono – sia come strumento che come esecuzione – mentre la musica italiana aveva raggiunto l’eccellenza nell’esprimere, assecondare e sollecitare le emozioni, il piacere e le virtuose passioni del genere umano. (Mario Valente) |
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