Arcangelo
Corelli fra mito e realtà storica
Atti del
congresso internazionale di studi
nel 350° anniversario della nascita di Arcangelo Corelli (1653-1713)
Fusignano, 11-14 settembre 2003
A cura di Gregory
Barnett Antonella D’Ovidio
Stefano La Via
Firenze, Leo Olschki
Editore, 2007, 2 voll., f.to 24 x 17, ill.ni b/n, pp. 707, €. 73,00
Questi
due volumi stampati con la consueta eleganza dalla Leo Olschki Editore
sono la pubblicazione degli Atti del convegno internazionale di studi
tenutosi a Fusignano, luogo di nascita di Arcangelo Corelli, dall’11 al
14 settembre 2003, in occasione del 350° anniversario della nascita di
«colui che va senz’altro annoverato come uno dei padri fondatori della
musica moderna» (Stefano La Via).
Le relazioni (unitamente ai fedeli
resoconti dei dibattiti scaturiti), presentate da storici della musica
tra i più importanti specialisti della non vastissima produzione
corelliana, da italianisti, storici dell’architettura e delle arti
visive, offrono l’opportunità, nient’affatto scontata, di accrescere le
conoscenze e la consapevolezza del ruolo rilevantissimo svolto da
Corelli nel corso della sua non lunga esistenza nella Roma del grande
mecenatismo artistico dalla seconda metà del Seicento al primo decennio
e poco più del Settecento.
Aggiungere qualche cosa di nuovo alla
sterminata e consolidata storiografia su Arcangelo Corelli è stato reso
possibile grazie all’impostazione interdisciplinare, quasi un vero e
proprio filo rosso che ha determinato strategie e connessioni tra i vari
contributi, a partire dalle relazioni fino ai dibattiti appunto
suscitati non in modo formalistico da quelle.
Proprio il ruolo del cardinale Pietro
Ottoboni in relazione ai rapporti tra le arti, nella relazione
dell’architetto Tommaso Manfredi, che ha rinvenuto importanti testi
autografi del nipote di Alessandro VIII, viene ulteriormente valorizzato
con il progetto per la costituzione della nuova Accademia Albana,
presentato con un memoriale dal cardinale nel luglio del 1703 al
pontefice Clemente XI.
Secondo questo progetto nell’Accademia
avrebbero dovuto convergere in perfetta unione, ad majorem gloriam
di papa Clemente XI, tutte le arti liberali, dalla letteratura alla
pittura, alla scultura, dall’architettura alla scherma alla cavallerizza
fino al maestro di cappella, ovvero alla musica.
Sede dell’Accademia Albana avrebbe dovuto
essere palazzo Riario alla Lungara, alle pendici del Gianicolo, fino al
1689 dimora di Cristina, l’ex regina di Svezia, protettrice delle arti e
della classicità romana, ispiratrice dopo la sua morte della nascita
dell’Accademia dell’Arcadia, grazie all’iniziativa, fra gli altri,
proprio del cardinale Pietro Ottoboni.
Emerge così che il massimo protettore di
Arcangelo Corelli, il mecenate di pittori come Francesco Trevisani,
Benedetto Luti, Sebastiano Conca, di letterati come Giovanni Maria
Crescimbeni primo custode dell’Accademia dell’Arcadia, di architetti
come Carlo Fontana autore del progetto di trasformazione di palazzo
Riario a sede dell’Accademia Albana, il cardinale Pietro Ottoboni
intendeva promuovere quasi un’anticipazione di quell’unità delle arti e
dei mestieri nella Roma del XVIII secolo, integrazione che soltanto
molto più tardi in Europa avrebbe visto la luce con l’esperienza di
William Morris, e ancora dopo con Walter Gropius e la Bauhaus in pieno
Novecento.
A questo traguardo l’Accademia Albana non
arrivò mai: le feroci invidie degli artisti associati nella clementina
Accademia di S. Luca e nella potente Accademia di Francia a palazzo
Farnese stroncarono sul nascere il progetto dell’Ottoboni.
Del resto riguardo alle ambizioni
artistico-mecenatistiche, produttive e sociali nella sorprendente Roma
di inizi Settecento vale ancora una volta ricordare il deciso incremento
per la produttività della fabbrica del San Michele in Ripa, alla cui
architettura funzionale per accogliere attività manifatturiere rivolte
al recupero dei poveri, dalle orfane alle prostitute, ai diseredati di
ogni specie per arrivare alle prime forme di lavoro artigianale
socializzato, proprio l’architetto Carlo Fontana, già invitato da Pietro
Ottoboni a riconvertire palazzo Riario, come si è già detto, dedicò le
sue migliori cure dietro precise disposizioni di quel grande pontefice
che fu Gianfrancesco Albani, papa Clemente XI.
La connessione tra l’istituzione del San
Michele (dove ben presto venne insediata una fabbrica di arazzi in
competizione con le rinomatissime produzioni francesi e fiamminghe) e
l’ambiziosa idea di Pietro Ottoboni dell’Accademia Albana, rivolta a
creare le condizioni per un’integrazione unificatrice delle arti e dei
mestieri avrebbe forse meritato qualche indagine ulteriore, pur nel
contesto della celebrazione per il 350° anniversario della nascita di
Arcangelo Corelli, tanto più che al San Michele vi furono tentativi ed
iniziative artigianali e produttive per intraprendere anche la
fabbricazione di strumenti musicali, a cui furono applicati i
giovanissimi ristretti nel braccio del carcere minorile, cosa che
spesso viene omessa o dimenticata.
Il
prevalere, del resto, di relazioni di musicologi e storici della musica
nel convegno di studi e nel volume ha decisamente indirizzato i
risultati delle indagini storiografiche su Arcangelo Corelli sullo
specifico musicale, consentendo ad esempio a Massimo Privitera
l’individuazione del carpigiano Antonio Tonelli quale sorprendente
arrangiatore vocale ante litteram, in pieno Settecento, dell’Opera
III e dell’Opera IV del musicista di Fusignano, così
estraneo e lontano, a prima vista e nella sua esperienza
compositivo-strumentale, dalla scrittura musicale per la voce umana,
idest melodica.
All’interessante analisi di Privitera in
qualche modo si riallaccia, per contrasto, anche lo studio di Luca Della
Libera sull’opera concertistica di Alessandro Scarlatti, nell’ ambito
della musica sacra, messa a confronto con il modello corelliano, nel
solco peraltro già tracciato dagli studi di Franco Piperno. Della Libera
conclude il suo contributo osservando come proprio la presenza nelle
coscienze dei fruitori del testo della musica sacra «può avere indotto
Scarlatti a trattare il testo quasi come corredo fonetico e, dunque, può
averlo facilmente portato alla scelta di una strategia compositiva che
trovava la propria logica anche ‘al di fuori’ del supporto testuale (sostanzialemente
fittizio) delle proprie composizioni».
Infatti, mentre nello studio di Privitera
sugli arrangiamenti vocali desunti da Antonio Tonelli dal concerto
corelliano la parola viene applicata ad un testo musicale-strumentale
già strutturato, in quello di Della Libera il testo poetico di argomento
precipuamente sacro, la Messa, diviene quasi un presupposto atto a
favorire la libertà creativa del compositore senza vincoli per la forma
del concerto grosso che pervade la stessa testualità religiosa e
spirituale dei destinatari e/o fruitori dell’interpretazione musicale.
Al di là delle naturali
intersezioni ed infuenze reciproche tra Arcangelo Corelli e i musicisti
coevi e/o appartenenti alle generazioni successive, il rapporto del
musicista di Fusignano con la pittura, a proposito del forte interesse
per ogni espressione e forma delle arti manifestato dal compositore –
elemento caratterizzante il Convegno di studi – è mostrato dalla
relazione di Karin Wolfe, Il Pittore e il Musicista.
Il sodalizio
artistico tra Francesco Trevisani e Arcangelo Corelli. La Wolfe,
oltre a fornire una preziosa documentazione aggiornata di Corelli
collezionista di quadri, in particolare dell’amico Francesco Trevisani,
dimostra come l’amore e l’interesse per la pittura da parte degli
artisti del circolo mecenatistico del cardinale Ottoboni fosse un
cardine della stessa esperienza linguistica specifica di ognuno di loro,
qualunque fosse la forma espressiva coltivata professionalmente e/o
dilettantisticamente.
Questa onnilateralità nel fare arte da
parte di Arcangelo Corelli come di Francesco Trevisani dimostra la
straordinaria modernità manifestata dalle opere degli artisti della
prima parte del Settecento a Roma, all’insegna del movimento
intellettuale e letterario promosso dall’Accademia dell’Arcadia,
musicisti e pittori pur sempre comunque affrancatisi dalle convenzioni,
dalle regole, a volte rigide, e dalle prescrizioni riguardo al buon
gusto nelle arti che il sodalizio fu indotto ad affermare, forse
per un malinteso attivismo a favore del tormentato pontificato di
Clemente XI, messo a dura prova da drammatiche circostanze
storico-politiche che insidiarono la stessa indipendenza della Chiesa di
Roma durante la Guerra di Successione spagnola.
Se una qualche carenza è dunque emersa
dagli Atti del convegno, forse più precisamente si potrebbe osservare
che alle puntuali e ricchissime analisi esegetiche sulla musica di
Arcangelo Corelli sarebbe stato conveniente fornire la cornice, ovvero
il contesto storico-politico nel quale questo cruciale protagonista
della musica moderna europea ebbe a svolgere il suo ruolo, anche in
relazione alla figura dello stesso cardinale Pietro Ottoboni, suo
protettore e strenuo seguace della politica di Gianfrancesco Albani, e,
in particolare alla funzione assegnata alle arti nella Roma di un potere
temporale della Chiesa che proprio da quei primi decenni del XVIII
secolo vedeva iniziare un forte cambiamento di status nei
confronti di tutti i regnanti dell’ancien régime.
A questa mancata serie di collegamenti e
connessioni storiche hanno comunque cercato di supplire, con successo
nella maggior parte dei casi, le parti del volume Terza e Quarta,
rispettivamente dedicate a l’Opera V di Corelli, con i saggi di
Thomas Gartmann, e di Michael Talbot, gloria della storiografia
vivaldiana, alle prese qui con gli incroci tra la lingua musicale di
Corelli, grande virtuoso del violino, con quella altrettanto
affascinante di Antonio Vivaldi, incroci ostensibili all’analisi di
Talbot grazie ad Anna Maria, grande interprete dello
strumento ad arco negli Ospedali e Conservatori di Venezia, per la quale
proprio gli abbellimenti scritti da Vivaldi per la solista forniscono le
prove di una sostanziale continuità stilistica tra la maestria di
Corelli e l’innovazione del concerto grosso prodotte dal “prete rosso”.
Infine, nella Parte Quinta ed ultima del
volume, oltre agli studi di famosi storici della musica come Rudolph
Rasch sulle edizioni a stampa delle Sonate a Tre di Corelli ad Amsterdam
nel primo Settecento; di Lowell Lindgren sull’influenza esercitata dalla
musica strumentale italiana e di Corelli a Londra; di Pierluigi
Petrobelli sull’infuenza esercitata da Corelli sul Quarto Concerto
Brandeburghese di Bach; di Gregory Barnett sull’influenza della musica
da chiesa a Roma sulla formazione di Corelli, sono particolarmente
interessanti e nuovi i contributi storiografici di Miguel Ángel Marìn riguardo alla ricezione e
diffusione della musica di Corelli in Spagna, di Joyce Lindorff sugli
sviluppi degli scambi culturali tra Europa e Asia, grazie alla musica strumentale di Arcangelo Corelli, diffusa ed esportata nella Cina del XVIII secolo, perfezionando una tradizione impiantata già dai Gesuiti
nei secoli precedenti.
Il volume si conclude con un suggestivo
saggio di Leonardo J. Waismann nel quale la musica di Corelli, diffusa e
conosciuta al di là dell’Atlantico, avrebbe compiuto il miracolo di
rendere credibile l’utopia di una reincarnazione del mito classicistico
dell’Arcadia nella incontaminata e sconosciuta America del Sud del XVIII
secolo, anche grazie all’opera educativa dei Gesuiti presso le
popolazioni native – gli indios – dei ricchi e sconfinati territori
assoggettati dai conquistadores spagnoli e portoghesi.
Marzo 2010
Mario Valente