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The Cambridge Handel Encyclopedia edited
by Annette Landgraf, David Vickers
L’esigenza, lungamente attesa, di raccogliere in un volume unico il panorama e la sintesi degli studi sul mondo di G.F. Händel, è ora soddisfatta, in occasione del 250°anniversario della scomparsa del compositore, dall’impresa editoriale curata da Annette Landgraf e David Vickers con The Cambridge Handel Encyclopedia per la Cambridge University Press. Annette Landgraf lavora presso la Hallische Händel-Ausgabe, il centro di ricerca sulla musica e l’opera del sassone tra i più affermati nel mondo occidentale, ospitato dalla Martin-Luther-Universität Halle-Wittenberg; la Landgraf vanta un’ importante edizione di sei oratori händeliani, la pubblicazione di Israel in Egypt, ed attualmente sta per pubblicare una versione di Esther del 1732, oltre ad essersi specializzata sulla storia della ricezione della musica di G.F. Händel. David Vickers, studioso della Gerald Coke Foundation presso la Open University, insegna al Royal Northern College of Music di Manchester, e sta preparando nuove edizioni di Semele e di Partenope. Giornalista, scrittore, musicologo, Vickers è fra i coordinatori dei convegni annuali della Stanley Sadie Handel Recording Prize, è critico musicale per Gramophone, scrive saggi per le più importanti etichette discografiche di musica classica e spesso interviene nei programmi culturali radiofonici della BBC. Questa enciclopedia della musica e dell’opera händeliana – un vero e proprio dizionario dalla A alla Z –, dotata di oltre 700 voci distribuite in un volume di 836 pagine, si è avvalsa dei contributi di studiosi, musicologi e musicisti, fra gli altri, come Clifford Burtlett, Donald Burrows, Nicholas Clapton, Graham H. Cummings, Ellen T. Harris, Christopher Hogwood, Thomas N. McGeary, Toshiki Misawa, Ute Poetzsch, John Roberts, Julie Anne Sadie, Ruth Smith, Reinhard Strohm, Colin Timms, Carlo Vitali, oltre alle entries composte dagli stessi curatori dell’enciclopedia, Annette Landgraf e David Vickers. Il volume è reso ancora più utile ed interessante, e si rivela oggi come uno strumento di consultazione indispensabile, grazie alle 8 Appendici contenenti:
1. il Catalogo pressoché completo delle
musiche di G.F. Händel, per generi e in ordine cronologico, struttura
delle partiture, data e luogo delle prime esecuzioni, elenco delle
musiche e opere incerte, dubbie e spurie (a cura di A. Landgraf e D.
Vickers); The Cambridge Handel Encyclopedia è infine completato da una selezionata bibliografia händeliana e dal consueto quanto necessario indice generale dei nomi e delle voci inserite nel volume. Trentuno illustrazioni in bianco e nero con i più importanti ritratti del sassone, delle cantanti delle sue opere più famose, alcune caricature dei castrati, i frontespizi dei libretti con l’autografo del musicista, i teleri delle scenografie degli spettacoli più suggestivi, arricchiscono il volume, sebbene avremmo preferito l’uso del colore specialmente per la riproduzione dei dipinti raffiguranti Händel. In questo apparato iconografico ha un particolare rilievo la mappa dei luoghi visitati dal grande musicista in grado di offrire la sintesi delle importanti informazioni sui movimenti e i viaggi di Händel nella sua vita, sintesi ricavata esattamente proprio dalle voci curate dagli specialisti che hanno collaborato a questa specie di summa delle sue musiche, dei melodrammi e degli oratori. La mappa, stesa da J. Rupp e descritta da David Hunter nella voce Journeys, non soltanto fa giustizia di fantasiose ricostruzioni e azzardate ipotesi, avanzate dal XVIII secolo fino ai nostri giorni, riguardo ai viaggi del compositore di Halle, accertando finalmente le località effettivamente raggiunte da Händel, ma offre anche la possibilità di correggere ed integrare le informazioni e le notizie incerte relative ai luoghi e città dell’Europa probabilmente visitate. Occorre comunque osservare che l’Hunter ha calcolato la distanza tra Amburgo e Firenze – (egli sostiene corrispondere a 1.430 Km.) – coperta da Händel nel suo viaggio, più sulle strade attuali che su quelle ben più tortuose ed impervie del tempo. Dalla cartografia d’epoca, infatti, il tragitto percorso dal sassone è prossimo a circa 2.000 Km. Nel descrivere il viaggio del sassone si sarebbe anche voluto che si fosse tenuto nel debito conto il contesto storico-politico della Guerra di Successione spagnola, un condizionamento non da poco per chiunque percorresse un così lungo e pericoloso percorso mentre andava svolgendosi un evento bellico di una tale portata da essere paragonato da molti storici addirittura come l’anteprima di una guerra mondiale. Andava tenuto anche presente che la datazione autunnale, nel 1706, per la partenza di Händel da Amburgo verso l’Italia via Brennero va incontro alle quasi insormontabili condizioni atmosferiche nel Nord della Germania, dell’Austria e del valico delle Alpi, tanto da fare ritenere molto più verosimile e realistica la partenza da Amburgo alla fine della primavera del 1706 con l’arrivo a Firenze in autunno e il trasferimento a Roma tra Novembre e Dicembre. Anche per tale correzione di date i documenti di Ursula Kirkendale offrono un valido suffragio di prove che, purtroppo, non sono state “incrociate” da parte di alcuni autori delle voci biografiche dell’enciclopedia. Peraltro, tutti coloro che vorranno visitare il magico mondo di Händel, dai direttori d’orchestra – (abituali interpreti ed esecutori di un vastissimo e non ancora completamente esplorato repertorio) –, agli storici della musica, della letteratura e delle arti visive, ai cantanti, ai melomani, cultori, e fan della sua musica, non avranno che da sbizzarrirsi, trovando nelle voci dell’enciclopedia händeliana nuovi stimoli per intraprendere itinerari artistici e culturali forse non ancora sperimentati. Ad esempio, nella voce Beethoven, curata da Hartmut Krones, insieme alla già nota e conosciuta ammirazione del musicista di Bonn per Händel, si possono acquisire nuove utili ed interessanti conoscenze, valide anche come spunti interpretativi, apprendendo che: «Handelian influences are also evident in the oratorio Christus am Ölberge (Op. 85, 1803-4), the 32 Variations for Piano (WoO 80, 1806), The Missa Solemnis (Op. 125, 1819-23), and the overture Die Weihe des Hauses (Op. 124, 1822)». Una bibliografia essenziale accompagna Beethoven, così come avviene per la maggior parte delle voci più significative dell’enciclopedia – (dal punto di vista della storia della musica e del ruolo di Händel) – così che lo studioso ha l’opportunità di rintracciare un immediato punto di riferimento per ulteriori ricerche e verifiche. Le voci più lunghe ed elaborate riguardano, naturalmente, le musiche e le opere di Händel, come ad esempio Agrippina, curata da Carlo Vitali, che offre non soltanto molti spunti di riflessione sulla decodificazione dei rinvii storico-politici espressi dal melodramma händeliano, ma fa giustizia di abbagli presi anche da famosi storici della musica, come Remo Giazotto, nell’attribuire a Vincenzo Grimani la certa e “provata” autorialità del libretto messo in musica dal sassone nel carnevale veneziano 1709-10. In opposizione alle corrive interpretazioni finora invalse di leggere nell’imperatore-personaggio Claudio la figura del pontefice Clemente XI, Vitali dimostra come l’imperatore, sposo di Agrippina, sia figura da identificare in Luigi XIV, leader nella Guerra di Successione Spagnola della coalizione anti-imperiale, conferendo così a tutti gli altri protagonisti del melodramma e ai comprimari un’organicità di senso e significato, secondo le attese della committenza (il viceré di Napoli, cardinale Vincenzo Grimani), e riguardo al contesto storico-politico delle appena concluse controversie tra papato e Impero. Diversamente dall’attenta elaborazione storico-critica di moltissime voci propriamente musical-händeliane, la entry letteraria Metastasio, a cura di Graham H. Cummings, lascia alquanto a desiderare a motivo di un quadro di giudizi sommari e riduttivi. Essa risulta come schiacciata dal peso dell’oggettività: ovvero il limitato numero di intonazioni di libretti del Poeta Cesareo da parte di Händel sarebbe giustificato, per così dire, a motivo della eccessiva qualità letteraria dei testi di Metastasio («highest literary quality», Strohm, 231) quale vincolo pressoché insopportabile per la libertà creativa del sassone. Inoltre, G.H. Cummings fa dipendere la nomina di Metastasio come Poeta Cesareo alla corte degli Asburgo a Vienna dal successo ottenuto attraverso le intonazioni di Niccolò Porpora e di Leo Vinci, rispettivamente a Napoli e a Roma (mentre viene omesso il Siroe del 1726 a Venezia, sempre intonato dal Vinci), ignorando del tutto la peculiarità e la fortuna della poesia per il teatro musicale di Metastasio lungo tutto il Settecento (ed anche nel XIX e addirittura nel XX secolo) presso i maggiori compositori del secolo (da Vivaldi e Pergolesi fino a Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, Salieri, Meyerbeer, Rossini, etc.), fino a Nino Rota e a Gian Francesco Malipiero nel Novecento, e confondendone le specifiche proprietà con le caratteristiche quasi esclusivamente ed affatto letterarie di Apostolo Zeno, motivo questo non secondario della sostituzione di quest’ultimo da parte di Carlo VI d’Asburgo proprio con Pietro Metastasio. D’altro canto, le osservazioni del Cummings riguardo alle diverse committenze impresariali al Metastasio del periodo italiano, cioè prima del suo definitivo trasferimento a Vienna, ignorano anche le recenti acquisizioni storiografiche (Franchi, 1998, Valente, 1998) che hanno dimostrato come al Teatro delle Dame a Roma, tra il 1727 e il 1730 operasse una straordinaria impresa teatrale costituita da un poeta, da un compositore e da una cantante, cioè dallo stesso Metastasio, da Leo Vinci e da Marianna Benti Bulgarelli detta “La Romanina”, una tra le più famose soprano del suo tempo, legata sentimentalmente al futuro Poeta Cesareo, già prediletta da Alessandro Scarlatti e da molti altri compositori di scuola napoletana tra Seicento e Settecento. A lei l’enciclopedia, ciononostante, non solo non dedica una breve voce, ma il nome di Marianna Benti Bulgarelli non appare neppure come semplice citazione in nessuna delle entries collegate, come avrebbero potuto essere quelle dedicate ad Alessandro Scarlatti, a Leo Vinci o a Pietro Metastasio. Le sbrigative e riduttive considerazioni del Cummings, insieme alla palese contraddittorietà dei giudizi sopra riportati, del resto trovano conferma nella affrettata e assolutamente insufficiente bibliografia in appendice alla sua entry. Il contesto culturale, sociale e politico, nonché artistico-musicale della carriera di Händel con il decisivo viaggio in Italia ha in Steffani un’adeguata entry scritta da Colin Timms, ormai uno specialista per l’ampia monografia che egli ha dedicato al compositore e diplomatico di Castelfranco veneto. Steffani ebbe un ruolo non secondario sia riguardo alla formazione del gusto musicale del sassone negli anni giovanili ad Amburgo, sia in particolare nella stessa esperienza del triennio italiano ed infine nella decisione del definitivo trasferimento in Inghilterra. Di buona fattura e di sicuro interesse è la entry Handel, George Frideric, dotata di ben 21 sottovoci, nella quale i diversi curatori offrono il quadro generale della vicenda biografica, artistica, familiare, psicologica, religiosa, economica, sanitaria, insieme alle volontà testamentarie del compositore, alle sue amicizie, alle sue abitudini sessuali, alla collezione d’arte, alla biblioteca, alla reputazione e all’influenza sociale. Donald Burrows ha curato le sottovoci biografiche, dalla nascita ad Halle fino agli ultimi anni londinesi. Il Burrows nel proporre l’incontro tra Händel ed Alessandro Scarlatti a Venezia nel 1707 incorre purtroppo nell’errore di confondere Alessandro con il figlio Domenico Scarlatti, poiché Alessandro nel maggio 1707 aveva preso servizio, presso l’Ottoboni, come maestro di cappella in Santa Maria Maggiore a Roma, ed inoltre, cosa ancora più sorprendente, la presenza di Händel a Venezia deve essere datata due anni dopo nel 1709, sia perché il sassone era al servizio del marchese Ruspoli già dal dicembre 1706, come Ursula Kirkendale ha dimostrato documentalmente con i pagamenti degli orchestrali, effettuati dal marchese, per le cantate composte dallo stesso Händel nel 1706, sia perché John Mainwaring, la fonte dell’incontro a Venezia tra il sassone e uno Scarlatti, riferisce l’episodio in occasione dell’esecuzione del dramma händeliano Agrippina nel carnevale veneziano del 1709, e del resto la “scoperta” da parte di Domenico Scarlatti dell’esibizione al clavicembalo del sassone in maschera non può essere stata fatta che dal musicista che aveva gareggiato alla Cancelleria di Roma sia all’organo (con la vittoria di Händel) sia al clavicembalo (con il risultato di un pareggio o leggermente favorevole a Domenico Scarlatti). Sorprende che le ricerche storiografiche della Kirkendale fin dal 1967, ora riprese e riviste di recente nella citatissima Music and Meaning (2007), pubblicazione presente anche nella bibliografia di The Cambridge Handel Encyclopedia, siano state ignorate dal Burrows soprattutto riguardo ai movimenti documentati del sassone in Italia. Il Burrows infine non riporta la prova documentale dei Duetti di Steffani sulla quale vi è la firma autografa di Händel con il luogo, Roma, e l’anno, 1706. La copia di questa partitura è oggi presso il British Museum a Londra. Il documento è stato studiato da Colin Timms, curatore di molte voci in questa stessa enciclopedia. Klaus-Peter Koch ha curato le sottovoci relative ai lasciti testamentari di Händel, alla famiglia e alle relazioni di parentela; Thomas MgGeary al carattere e alle sue abitudini sessuali; Ruth Smith ha scritto la sottovoce Religion; ancora Donald Burrows ha scritto le sottovoci relative all’educazione e alle lingue nazionali conosciute dal sassone; David Hunter i viaggi effettuati da Händel nella sua vita e le condizioni di salute fino alla sfortunata operazione di cataratta che ne accelerò la morte; Ellen T. Harris ha scritto la sottovoce Finances; Thomas McGeary quella riguardante la collezione di dipinti del musicista; Annette Landgraf la sottovoce Handel’s library; Donald Burrows ha scritto le ultime due sottovoci: Handel the music teacher, e Handel’s reputation and influence. In definitiva si può dire che il quadro generale che emerge dall’impresa editoriale della Cambridge University Press ha rispettato e confermato la grande tradizione editoriale prodotta nel Regno Unito nel genere enciclopedico, anche se – ci corre l’obbligo offrire questo giudizio critico, – nei nostri tempi attraversati dall’ansia e dalla damnatio della globalizzazione economico-finanziaria sarebbe stato auspicabile che i curatori di The Cambridge Handel Encyclopedia, e ovviamente ogni singolo autore delle oltre 700 entries, avessero dimostrato che la ricerca scientifica, culturale ed artistica sulle musiche e sull’opera di Händel ha varcato i meri limiti del mercato globalizzato. Vogliamo dire che l’Handel Encyclopedia infatti avrebbe potuto avvalersi e ricorrere, in pressoché ogni parte del mondo, agli studi, esecuzioni, contributi interpretativi, tutti fortemente interessati alla universale valorizzazione di una tra le più rilevanti espressioni della musica e della cultura occidentale, mentre forse questa enciclopedia su Monsù Endel appare in una certa misura come dipendere da una sorta di impossessamento del compositore sassone, naturalizzato english, da parte di quel mondo della cultura anglo-americana che da molti anni lo ha eletto tra i suoi predililetti compositori di musica barocca. Eppure, contra questa nostra lettura critica del complesso lavoro di Annette Landgraf e David Vickers le entries di The Cambridge Handel Encyclopedia offrono continuamente gli scambi, gli imprestriti delle musiche tra fine Seicento e Settecento (da Steffani ai Keiser da Telemann agli Scarlatti, da Corelli ai Geminiani, etc., etc,) che attraversano e permeano di sé la grande produzione musicale di G.F. Händel, con un processo di rielaborazione creativa di cui la composizione nel XVIII secolo seppe offrire esempi di universalità, al di là di ogni barriera di nazionalità e lingua, non ultima l’arte di W.A. Mozart, la quale, peraltro, ai nostri giorni, soffre anch’essa una certa libido possessionis germano-centrica, senza voler parlare di Johann Sebastian Bach… In altre parole, l’attenzione soverchiante dell’attuale storiografia musicale per lo specifico dell’arte tonale, anche quando essa studia produzioni anche molto distanti dai nostri tempi, impiega un’angolazione critica pressoché svincolata dai fatti della storia politica, economica e sociale da cui gli stessi compositori di musica furono condizionati e con i quali dovettero misurarsi, bongré/malgré, con la possibilità di incorrere in veri e propri travisamenti delle figure e dell’opera dei musicisti, nonché della stessa conoscenza e comprensione delle relazioni tra arte e vita. Maggio 2010 Mario Valente |
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