Benedette foto!
Carmelo Bene
visto da Claudio
Abate
Roma, Palazzo delle
Esposizioni 4 dicembre 2012 – 3 febbraio 2013
Carmelo Bene
versus Pietro Metastasio?
Nel decennale della
morte di Carmelo Bene (Campi Salentina, 1937- Roma,
2002, la testimonianza fotografica di Claudio Abate
che seguì evento dopo evento le avventure teatrali
di uno tra i più innovativi, discussi, e
irripetibili interpreti della scena italiana ed
europea, non solo rende omaggio all’attore, al
regista e allo scrittore, con l’allestimento ben
congegnato al Palazzo delle Esposizioni a Roma –
quasi una didascalica cadenza di precise
informazioni sul mondo del teatrante di ingegno e
funambolico, alternata e sorretta da preziose
immagini fotografiche per lo più inedite e/o mai
viste – ma costringe tutti noi a ripercorrere,
richiamandoci ad una consapevolezza critica, la
storia di un lungo periodo del quale certamente
Carmelo Bene fu tra gli interpreti più
significativi, forse illudendo generosamente prima
di tutto se stesso e gli italiani che con il linguaggio del corpo portato sul palcoscenico
teatrale fosse inaugurata un’epoca intera a segnare
definitivamente una discontinuità netta e
irrevocabile con tutta la pur gloriosa tradizione
del teatro di parola, artistica e culturale,
incardinata sulle patrie istorie letterarie,
eredo otto-novecentesche, colme di sedimentate
suggestioni piccolo-borghesi, di avanguardistici
conati pseudo-rivoluzionari, e di intrusioni e
scorribande nelle altrui esterofilie autoriali.
Non si è ancora fatto
un esame spassionato e completo del ruolo giocato da
Carmelo Bene nella cultura e nel teatro, nel cinema
e nella scrittura, dalla fine degli anni Cinquanta,
quando egli esordì al Teatro delle Arti con Caligola di Albert Camus (1959) fino al ritorno
sulle scene con la sua Hamlet suite (1994),
alla pubblicazione per Bompiani l’anno dopo (1995)
dell’Opera Omnia, teatrale e
letteraria, dell’attore salentino, fino alla
composizione del poema ’L ‘Mal de’ fiori
nel
2000, Premio Schlesinger, l’ultima delle opere di
Carmelo Bene, che scompare a Roma il 16 marzo del
2002; ma certamente la Mostra fotografica di Claudio
Abate ha il merito notevole di avere raccolto in
questo arco di tempo, tra il 1959 e i 2000,
pressoché tutti i dati del vissuto di questo
formidabile interprete, sia sulla scena sia nei
rapporti con gli altri comprimari delle sue performances, i suoi prediletti e da lui
“tormentati” attori/attrici, prima fra le quali –
occorre ricordarlo – quella Lydia Mancinelli, anche
sua compagna di vita per quasi venti anni, memoria
inesauribile rivolta a colmare gli immancabili vuoti
tra le immagini fotografiche e l’ancora caldo evento
scenico, così come è stato possibile ascoltare dalla
viva voce dell’attrice intervenuta alla preview
della Mostra il 3 dicembre.
Si può dire, senza
ombra di dubbio, che la Mostra fotografica di
Claudio Abate è in grado di promuovere e favorire il
necessario, e forse colpevolmente rinviato,
confronto a distanza con l’intera opera di
Carmelo Bene, il cui ruolo nella storia del teatro e
della cultura italiana dai primi anni Sessanta
all’inizio del 3° millennio presenta singolari e non
casuali somiglianze con l’esperienza svolta dal
Gruppo ’63 nella letteratura italiana contemporanea.
Se l’appartenenza di
Carmelo Bene alla koyné letteraria-culturale
degli anni Sessanta – il famoso e anch’esso oggi
quasi affatto dimenticato Gruppo ’63 – sarà
senz’altro oggetto di una tra le molte tavole
rotonde e proiezioni filmiche che accompagneranno o
hanno corredato la Mostra fotografica di Claudio
Abate, sotto la guida di Jean-Paul Manganaro e
Piergiorgio Giacchè, mentre lo stesso Manganaro,
Daniela Lancioni e Francesca Rachele Oppedisano
hanno contribuito ad una lettura critica del grande
teatrante nei saggi del catalogo Skira di questa
Mostra, a noi – cultori della poesia per il teatro
musicale di Pietro Metastasio – non resta che il
rimpianto o, meglio, una certa qual nostalgia per
non avere avuto l’opportunità che Carmelo Bene
decidesse – se mai l’avesse voluto – trattare e
interpretare da par suo uno tra i più rilevanti
drammi del Poeta Cesareo, dalla Didone
abbandonata all’Artaserse (il libretto
sul quale hanno scritto musica oltre 84 compositori,
record insuperato in tutta la storia della musica
occidentale) all’L’Olimpiade al
Demofoonte,
dall’Attilio Regolo al Re pastore.
Il postumo omaggio
che ci permettiamo di offrire a Carmelo Bene e alla
sua opera, nonostante le contrarie apparenze che
vedrebbero agli antipodi il teatro musicale del
Settecento, dominato dalla figura di Pietro
Metastasio, e quello dell’autore di Cristo 63,
di Salomè da e di Oscar Wilde, di Faust e
Margherita, di Pinocchio ’66, di Arden
of Federsham, di Don Chisciotte, è
fondato e in qualche modo trova giustificazione
nella stessa poetica ed estetica di Bene, volte a
determinare nella sua stessa fisicità attoriale,
aristotelicamente, le infinite risorse metaforiche
del testo teatrale con tutti i loro accumuli e
sedimentazioni di senso e significato, attraverso i
quali il soggetto-uomo/umanità è parlato da altre
forze ignote, quasi caricato e pervaso, dissolto e
dimenticato, dalle pulsioni, affetti, ribalderie
della sua storia per null’affatto finalizzata ad un
qualsiasi esito salvifico e/o dotata di senso e
valore assoluti.
Nonostante, infatti,
Pietro Metastasio abbia rappresentato in tutta la
sua opera la tensione politica alla Giustizia, alla
Solidarietà, al Perdono, alla Magnanimità,
all’Amicizia, alla Fede per la parola data, egli ha
sempre e consapevolmente distinto la realtà
effettuale da sogni e favole ch’io fingo,
ovvero dalla metaforizzazione di quel reale
immaginato e costruito sulla scena come finzione
desiderata, ma ben lontana ancora dall’essere
universalmente acquisita, forse proprio come Carmelo
Bene ha inteso reinterpretare ex-negativo i
limiti e le modalità di impossibili pacificazioni e
conciliative tra presunte ipocrite idealità
sbandierate e terrene naturali volontà di potenza
nel loro procedere verso l’annullamento di sé e
degli altri.
A queste inani
volontà di potenza Metastasio ha voluto porre il
baluardo di un mondo etico-pedagogico sovraordinato,
seppure virtuoso/virtuale, Carmelo Bene l’inesausta
e inesauribile tensione al riconoscimento e salvezza
della difficile identità dei soggetti in tutte le
loro mutevoli proteiformi trasformazioni e
imprevedibili, alla ricerca della desiderata uscita
dalla gabbia di ferro di un prosaico esistere.
Roma, 20 dicembre
2012 Mario Valente
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