Mario Valente
Misteri e segreti del viaggio di G.F. Haendel in Italia

 

In margine al Convegno internazionale di studi, G.F. Haendel in viaggio verso l’Italia

Venezia, 27-28 Novembre 2009, Palazzo Barbarigo, Centro tedesco di studi veneziani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

             

 

 

Nella primavera del 1708, durante la fase italiana della Guerra di Successione spagnola, gli attriti e i dissidi tra papa Clemente XI e Giuseppe I, Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, divengono sempre più forti. Non soltanto gli Asburgo si sono stabilmente insediati a Napoli da un anno, avendone scacciato gli Spagnoli nel 1707, ed avvicendato ben tre viceré (dal 1° Luglio1708 il cardinale Vincenzo Grimani, fieramente filo-imperiale, assume il potere fino alla sua morte nel giugno 1710), ma nel Nord Italia occupano Comacchio, Parma e Piacenza, feudi papali, e minacciano di impadronirsi anche di Bologna, la città più importante dopo Roma per il potere secolare della Chiesa. Roma stessa potrebbe essere invasa dalle truppe imperiali, come già accadde nel 1527 ad opera di Carlo V d’Asburgo sotto il pontificato di Clemente VII.

Pier Leone Ghezzi, ritratto di Clemente XIIn questo quadro  politico la committenza del marchese Francesco Maria Ruspoli a Haendel dell’oratorio La Resurrezione, con l’aiuto dell’orchestra del cardinale Ottoboni diretta da Arcangelo Corelli, deve assumere il significato simbolico-politico, erga omnes dentro e fuori di Roma, di una vera e propria riscossa del papato dopo le tante e gravi umiliazioni subite.

Haendel si trasferisce stabilmente fin dalla metà di febbraio 1708 a palazzo Bonelli per dedicarsi esclusivamente alla messa in musica del libretto di Carlo Sigismondo Capece, ascritto all’Accademia dell’Arcadia con il nome di Metisto Olbiano. Il sassone capisce bene che la parte cui è chiamato come musicista è infondere nell’oratorio quell’entusiasmo occorrente all’impresa cui si accinge il pontefice e la Chiesa, richiamando a sostegno tutte le forze terrene e celesti di cui dispongono coloro che guidano e rappresentano l’unità dei credenti. J. Chr. Platzer, ritratto giovanile di Haendel, ca.1710

Il carattere assolutamente innovativo, tale da distinguere La Resurrezione non solo dalla copiosa e contemporanea produzione di oratori in quegli anni, ma anche capace di costituirsi come esempio e in qualche modo modello per lo sviluppo nei decenni successivi di uno tra i generi musicali più amati ed eseguiti a Roma, consiste nella sua piena leggibilità simbolico-politica e nei rinvii alla realtà storica vissuta, di cui beneficiano gli spettatori delle tre prove, il 1°, il 2 ed il 7 Aprile, e delle due esecuzioni ufficiali, l’8 e il 9 Aprile 1708.

Vale la pena ripercorrere i momenti principali della preparazione e della rappresentazione dell’oratorio.

Un biglietto del papa arriva a Francesco Maria Ruspoli ai primi di Febbraio 1708 a Vignanello dove il marchese sta passando il Carnevale. Di lì a pochi giorni torna a Roma per organizzare la tradizionale esecuzione dei concerti quaresimali, ma soprattutto chiama Haendel a Palazzo Bonelli perché si dedichi esclusivamente alla composizione de La Resurrezione da eseguire a palazzo la domenica di Pasqua 8 Aprile e il lunedì dell’Angelo 9 Aprile. Certo è che Haendel non scrive per alcuna delle cantate per stromenti od oratori quaresimali che dal 4 al 31 Marzo 1708 si susseguono con cadenza settimanale ogni domenica sera a palazzo Bonelli. L’impegno preso con Clemente XI di fare de La Resurrezione  lo spettacolo più importante e significativo per le sorti del papato di fronte agli ambasciatori  di tutti gli stati europei  belligeranti nonché ai plenipotenziari di Giuseppe I e Carlo d’Asburgo, re a Barcellona, richiede al Ruspoli un notevolissimo sforzo finanziario per i lavori assolutamente fuori dell’ordinario da eseguire a palazzo.

La direzione dei lavori di allestimento del teatro per l’oratorio vengono affidati all’architetto G.B. Contini: il luogo è lo Stanzione delle Accademie al II piano del palazzo dove vengono eseguiti prima notevoli lavori di muratura dal capo mastro Francesco Pagnacelli: abbattimento di muri tra lo Stanzione e i gabinetti contigui, apertura di nuove porte e di scale di accesso, tagli del solaio per dare sbocco alle scale, palchi per le dame, creazione di una parete in muratura per sostenere la struttura di una cascatella d’acqua a mo’ di ninfeo in interno; rottura del mattonato dello Stanzione per alloggiare nuove colonne di legno a sostegno del palchettone. Poi lavorano gli ebanisti: mastro Crespineo Pavone falegname procede alla creazione di un palcoscenico in legno di castagno; il boccascena, la struttura di sostegno del dipinto del fondale, i seditori per l’orchestra di 45 elementi, 28 leggii con lumi; la struttura: per alzare e calare il sipario – 7 girelle –, il parapetto davanti l’orchestra ed altro. Quindi vengono creati gli addobbi con damaschi, fregi di velluto e damaschi trinati d’oro per i cieli, i taffettani rossi e gialli (colori di Roma), e trine d’oro in abbondanza. Poi intervengono i pittori guidati da Michelangelo Ceruti con il grande quadro della Resurrezione come fondale del palcoscenico, la riquadratura del boccascena dipinta con imprese del Ruspoli, il frontespizio ornato di volute e cherubini con il titolo scorniciato de La Resurrezioneilluminato di dietro la carta trasparente” da 70 coccioli di grasso sorretti da armature di legno e “fattoci stare 2 uomini di continuo a guardia”. Alla prima esecuzione dell’oratorio domenica delle Palme 1° Aprile e il seguente 2 Aprile (prove) lo Stanzione delle Accademie risulta del tutto inadeguato, pur con i lavori di ampliamento eseguiti, di fronte alla grandissima massa di spettatori accorsi. Il marchese, insieme all’architetto Contini e ai suoi collaboratori, decide di spostare l’esecuzione nel Salone al piano nobile, dove però vengono fatti, nei giorni dal martedì al sabato santo, ancora lavori in muratura con demolizione di finestre e pareti. Viene rifatto il palcoscenico, le decorazioni, gli addobbi, l’illuminazione, i 4 ripiani per l’orchestra con parapetto, il palchetto per il concertino dei violini ed il clavicembalo del Signor Arcangelo; ma soprattutto nel Salone viene costruito in legno un “teatro a scalinata” per il pubblico.

Alla fine di questi preparativi il marchese Ruspoli avrà allestito in pochi giorni ben 2 teatri nel suo palazzo.

Sabato sera 7 Aprile 1708 l’attesa per l’evento nel nuovo Salone  di palazzo Bonelli è altissima: l’impegno del marchese per creare lo spettacolo più importante e meraviglioso a Roma ottiene il massimo successo.

Così sarà ancora l’8 Aprile, Pasqua, giorno ufficiale della “funzione”, così sarà per la replica del 9 Aprile, Lunedì dell’Angelo. Lo Stanzione con tutte le decorazioni rimaste viene usato per servire i rinfreschi agli spettatori tra la I e la II parte dell’oratorio.

Alessandro Piazza, Sfilata del reggimento Ruspoli, 9 settembre 1708L’enorme successo conseguito da La Resurrezione premia gli sforzi inauditi, senza precedenti, del marchese Ruspoli il quale può ora dedicarsi all’organizzazione delle truppe, il reggimento “La colonella” che a sue spese è destinato a difendere Roma e il papa dalle minacce di invasione da parte degli imperiali. Haendel, dal canto suo, dopo avere assolto assai felicemente alla messa in musica dell’Oratorio che rilancia il ruolo simbolico-religioso e simbolico-politico di Clemente XI come guida al tempo stesso della Chiesa cattolica e di quel potere temporale che proprio Francesco Maria Ruspoli si appresta a difendere manu militari, inspiegabilmente alla fine di maggio 1708 abbandona Roma e si reca a Napoli nel campo del nemico, a Napoli, dove il cardinale Grimani, convinto sostenitore degli Asburgo, è in procinto di assumere la carica di viceré il 1° Luglio 1708. Come può raggiungere Haendel Napoli, chi gli fornisce i lasciapassare, le credenziali per uscire da Roma e quelle per arrivare indenne nella città ora governata dagli austriaci? Nella città partenopea Haendel non solo compone per i duchi di Alvito la cantata Aci, Galatea e Polifemo, ma dopo avere ricevuto dal cardinale Vincenzo Grimani la committenza a mettere in musica il melodramma Agrippina su un libretto forse dello stesso viceré ma più probabilmente composto da mani diverse, tra le quali quelle di Apostolo Zeno (secondo le ipotesi recentemente avanzate da Carlo Vitali), torna liberamente e in tutta fretta a Roma alla metà di luglio 1708. Due frati domenicani guardano Mons. Agostino Steffani (dettaglio)Haendel partecipa nuovamente alle imprese di Francesco Maria Ruspoli e in occasione della sfilata del reggimento che andrà a combattere vittoriosamente 2.500 austriaci a Pontelagoscuro nel gennaio 1709 compone la serenata a tre voci Olinto / pastore arcade / alle glorie del Tebro (Olinto è il nome arcadico dello stesso Ruspoli) ed assiste alla presentazione delle truppe dinanzi a palazzo Bonelli. Sorprende che la recente ricostruzione storica di Ursula e Warren Kirkendale trascuri: 1. di citare la serenata haendeliana con il titolo del libretto Olinto / pastore arcade / alle glorie del Tebro e non come erroneamente finora avvenuto in pressoché tutta la storiografia O come chiare e belle, HWV 143; 2. l'evidente stretta relazione esistente tra la presentazione del reggimento "La colonella" e la vittoriosa battaglia a Pontelagoscuro. Stupisce peraltro, anche, l'individuazione a pag. 401 in Music and Meaning di tre storici personaggi posti alla sinistra della cantante Margherita Durastanti: l'abate Giuseppe Lari, l'abate Giacomo Buonaccorsi e l'abate Mazziotti. In realtà, l'attribuzione della condizione di abati  a tutti e tre i personaggi è in evidente contrasto con l'abito caratteristico dell'ordine dei domenicani, con le due figure che guardano e tendono le mani verso il personaggio centrale. Il quadro del pittore Alessandro Piazza immortala il memorabile evento del reggimento del Ruspoli che va a prendere la benedizione di Clemente XI al Quirinale, prima di partire per la guerra. È un documento straordinario il grande dipinto di Alessandro Piazza perchè con ogni probabilità ci consente di individuare tra le figure storiche raffigurate, con felice sfasamento temporale, Monsignore Agostino Steffani sul lato sinistro del quadro in mezzo ai due sacerdoti dell’ordine domenicano, mentre G.F. Haendel, riconoscibile per la sua livrea dorata è situato quasi al centro sulla stessa linea degli storici spettatori (musicisti, cantanti e notabili di curia). Le testimonianze storiche ci dicono quasi senza ombra di dubbio che Agostino Steffani arrivò a Roma soltanto alla fine dell’Ottobre 1708, mentre la scena raffigurata nel dipinto si riferisce alla precisa data del 9 Settembre dello stesso anno.

Agostino Steffani (nel gruppo a sinistra), G. F. Haendel (nel gruppo a destra)

G. F. Haendel guarda il violinista Rotondi (dettaglio)

Senonchè Alessandro Piazza nel portare a compimento ai primi del 1710 il dipinto potrebbe aver voluto rendere postumo omaggio ad Agostino Steffani, vescovo di Spiga, le cui trattative diplomatiche avrebbero consentito la composizione dei duri contrasti tra il papato e l’Impero. Anche la partenza di Haendel per Napoli al servizio  dell’imperiale cardinale Grimani fecero parte, in qualche modo e misura, delle lunghe  trattative tra Agostino Steffani e il marchese Prié plenipotenziario di Giuseppe I per arrivare alla stipula dell’accordo tra Chiesa e Impero alla fine del Gennaio 1709, dopo la storica vittoria del marchese Ruspoli divenuto principe di Cerveteri a seguito dell’impresa bellica?

Gerhard Kappers, ritratto di Agostino Steffani, 1714

Ma chi era Monsignore Agostino Steffani, diplomatico e grande musicista nell’Europa tra Seicento e Settecento, e quale ruolo ha svolto nel viaggio di Haendel in Italia, e nella sua permanenza dal 1706 al 1710?

1. Quali sono le condizioni politiche dell’Europa durante il viaggio di G.F. Haendel in Italia? 

Allorchè Georg Friedrich Haendel nella tarda primavera del 1706 si mette in viaggio verso l’Italia, partendo da Amburgo nell’estremo nord della Germania, in tutta Europa infuria la guerra di Successione spagnola. Ma il ventunenne musicista, sebbene metta in mostra un coraggio che sfiora la temerarietà nell’intraprendere il  lungo e pericoloso cammino, ha fatto i suoi calcoli.

Certo il viaggio da Amburgo a Roma doveva essere stato preparato con molta accuratezza: la distanza da coprire, a quel tempo pari a circa 2.500 chilometri, fiumi e zone montuose da superare, lasciapassare tra ducati e principati elettorali, salvacondotti e lettere di accredito presso i numerosi stati indipendenti, le difficoltà di approvvigionamento alimentare in un’Europa stremata in cui la guerra – su vari fronti – durava oramai da sei anni, il notevole costo del viaggio (diligenza con sosta nelle varie locande di posta), visto che il tiro dei cavalli poteva in una giornata coprire un tragitto tra i trenta e i quarantacinque chilometri, aKupferstich von Johann Jacob Haid, Ritratto di Johann Mattheson (1746) seconda delle difficoltà del terreno e delle condizioni delle strade. Di tutto questo non si ha pressoché traccia nell’odierna storiografia per non parlare delle biografie haendeliane settecentesche: dall’invito romanzato di Ferdinando de’ Medici a venire in Italia (Mainwaring e seguaci) al telegrafico Mattheson: «…si presentò l’occasione di partire gratuitamente per l’Italia con Binitz».

A favore dell’incolumità di Haendel nel tragitto dalla Germania all’Italia vi è il radicale cambiamento nel 1706 delle sorti della Guerra di Successione spagnola.

La fortuna, infatti, sta girando le spalle nell’ Europa centrale a Luigi XIV ed al suo principale alleato, Massimiliano II di Baviera.

Già nel 1703 a Höchstädt sul Danubio l’avanzata delle truppe franco-bavaresi verso Vienna viene bruscamente fermata da una sonora sconfitta, e l’anno successivo 1704, sempre nella stessa località bavarese, precisamente a Blenheim, Lord Marlborough ed Eugenio di Savoia sconfiggono nuovamente il nemico costringendolo questa volta a ritirarsi dalla Germania e a ripiegare verso i Paesi Bassi spagnoli, non prima di aver imposto a Massimiliano II di Baviera lo scioglimento del suo esercito, l’esilio in Francia, lo smantellamento delle fortificazioni, e il protettorato austriaco sull’intera Baviera. (Questa rimarrà sotto il ferreo controllo di Eugenio di Savoia sino alla decisiva sconfitta dei Francesi a Malplaquet, Godfrey Kneller, Ritratto di Eugenio Francesco di Savoia (ca.1712)Belgio, nel settembre 1709).

Due anni dopo, nei Paesi Bassi spagnoli, il 23 maggio del 1706, a Ramillies, le armate della Lega anglo-imperiale-prussiana colgono la vittoria più importante su Luigi XIV e i suoi alleati, costringendoli a ripiegare con le loro armate entro i confini della Francia. 

La guerra per la Francia volge al peggio anche in Italia.

Nella penisola, Eugenio di Savoia dopo avere sconfitto nella tarda primavera i Francesi a Rovigo, marcia lungo la riva destra del Po verso Torino, affronta a Carmagnola, nel settembre 1706, in una cruenta battaglia il nemico e libera la città da un lungo assedio, salvando così il cugino Vittorio Amedeo II dalla spedizione punitiva di Luigi XIV, e consentendo alle armate imperiali, sotto il comando del maresciallo Daun, l’occupazione di Milano e della pianura padana nonchè la preparazione necessaria alla discesa delle truppe imperiali in Italia meridionale e alla  conquista del napoletano.

Napoli nella tarda primavera del 1707 viene strappata  al dominio plurisecolare della Spagna dall’esercito comandato dal Daun, e può così avere inizio il vice regno austriaco.

Ignoto, Ritratto giovanile di Haendel (ca.1711)Per il ventunenne Haendel, quindi, la scelta del corridoio orientale della Germania per scendere in Italia è resa possibile perché l’Est, già dalla primavera del 1706, è libero dai movimenti delle armate dei belligeranti a seguito dell’arretramento dei francesi dall’Europa centrale, e in particolare a seguito del protettorato sulla Baviera esercitato dall’Impero dalla fine del 1704. 

L’arrivo al valico del Brennero diviene perciò possibile, così come  proseguire all’interno della penisola italiana sempre lungo la direttrice Est, dal momento che, essendosi spostate a Nord Ovest, intorno a Torino, le fasi cruente della guerra, Haendel può ora attraversare l’Italia centrale e raggiungere così, senza correre rischi eccessivi, Roma, la meta ultima e fondamentale del viaggio, e fors’anche prima della città eterna, la Firenze della declinante dinastia medicea.

Ritengo si debba soprattutto alla cognata di Gian Gastone, Violante Beatrice di Baviera, sorella di Massimiliano II di Baviera e sfortunata moglie di Ferdinando de’ Medici, il buon esito del viaggio in Italia di Haendel e la sua stessa incolumità nel passaggio tra le calamità e i pericoli della guerra in corso.

Niccolò Cassana, Ritratto di Violante di BavieraLa nobildonna, infatti, accogliendo di buon grado le sollecitazioni  dell’amato maestro di musica degli anni giovanili di Monaco, il compositore e diplomatico abate Agostino Steffani (Castelfranco Veneto, 1654-Francoforte, 1728), con il quale è sempre rimasta in affettuoso rapporto epistolare, si rende garante e protegge il giovane musicista sassone, con la segreta speranza che dal “grande gioco” tessuto dalla proverbiale sapienza diplomatica di Agostino Steffani nel condurre, in questa occasione, a buon fine le trattative tra Giuseppe I e Clemente XI, anche la Baviera e il fratello Massimiliano possano trarne vantaggio, riacquistando la prima l’indipendenza, il secondo il recupero del potere e del titolo elettorale, riunito ed assorbito ora sotto quello del Palatinato. (Sarà questa, cioè il patronage di Violante e non di Ferdinando né di Giangastone, la causa dell’esecuzione del Rodrigo al popolare Teatro del Cocomero, invece che nel granducale teatro di Pratolino, dove Ferdinando de’ Medici usa fare eseguire i raffinati e preferiti spettacoli, facendo esibire tra l’altro la prediletta cantante Vittoria Tarquini, la quale, non a caso mancherà al Teatro del Cocomero?).

Risulta difficilmente credibile l’agiografico quadretto edificante di un Haendel che, rifiutato orgogliosamente il passaggio gratuito nella carrozza di Ferdinando de’ Medici nell’incontro ad Amburgo del 1705, così come tramandatoci dal Mainwaring, riesca prima a mettere da parte la notevole somma occorrente per un così lungo e costoso viaggio via terra – dovendo anche provvedere alla sussistenza della madre rimasta vedova da anni ad Halle – e poi addirittura a lanciarsi nell’impresa del viaggio senza provvedersi né di salvacondotti, né dei numerosi “visti” sul passaporto occorrenti ad attraversare un così gran numero di dogane e di frontiere, né di lettere di presentazione presso le corti dell’Italia, in particolare quella papale, ma anche quella della stessa Firenze, e poi di Napoli e quindi di Venezia, se volessimo ancora dare comunque credito al mito ante-litteram romantico, o a quello, tipicamente inglese del Grand Tour dei milords a metà Settecento, di un giovane promettente compositore in viaggio nell’Italia dell’arte umanistico-rinascimentale, della musica dei sentimenti e della melodia, per dare soddisfazione e forma compiuta all’insopprimibile esigenza della sua ideale Bildung – mito peraltro forse fatto costruire postumo e ad arte dallo stesso Haendel con le sue confessioni londinesi prima al vecchio amico dei tempi giovanili Schmidt, poi memorizzate dal figlio di questi, il fedele copista Smith, ed infine raccolte e composte dal devoto pastore anglicano John Mainwaring.

Sembra molto più credibile, difatti, considerare se non si debba attribuire proprio ad Agostino Steffani con una regia discreta e una presenza appena avvertibile, l’organizzazione del viaggio in Italia del giovane ed in qualche modo già affermato musicista sassone, unitamente alla individuazione e fondazione degli stessi scopi artistici ed anche dei futuri sviluppi di una grande carriera, se si vogliono finalmente esaminare con sano realismo, dopo tante letture romantique del viaggio di Haendel in Italia, le connessioni tra azioni e attori di una vicenda altrimenti per molti versi poco credibile ed anzi altamente improbabile.

Chi tra i compositori italiani, presente  da oltre trent’anni con grande prestigio e successo non solo sulla scena musicale in Germania ma anche in quella politica, con ruoli di primissimo piano, avrebbe potuto suscitare il desiderio e l’interesse per un viaggio così lungo e pericoloso anche per un giovane molto ambizioso, se non proprio Agostino Steffani –(uomo coltissimo e profondo conoscitore delle maggiori lingue europee e in particolare della lingua tedesca tanto da intonarla per la composizione di molti melodrammi) – nel quale si riassumevano con sorprendente e miracolosa coincidenza il fascino discreto del potere con quello di riconosciuto maestro dell’arte tonale? 

2. Steffani, conosciuto ed avvicinato Haendel già due volte in Germania, ad Hannover nel 1703 e ad Amburgo nel 1705, nel cui teatro am Gänsemarkt sono eseguiti i suoi drammi tradotti in tedesco, l’abate di Castelfranco Veneto viene a Roma nella seconda metà del 1709 in missione diplomatica presso papa Albani.

Clemente XI il 13 settembre 1706 lo nomina vescovo di Spiga, e lo incarica di intraprendere in Germania nuove costruzioni di chiese e case per i cattolici. Il papa sostiene un progetto dello stesso Steffani per rinnovare la presenza cattolica anche nei territori ormai da tempo passati alla fede protestante, dotando la sua missione di cospicue somme di denaro, oltre 6.000 talleri dopo la sua proclamazione vescovile a Bamberg da parte dello Schoenborn, arcivescovo di Colonia.

Ritratto di Giordano RiccatiA riguardo della decisione papale e della vita di Agostino Steffani, il conte Giordano Riccati, matematico, architetto e teorico della musica, anch’egli nato a Castelfranco Veneto come il vescovo di Spiga, compila nel 1779 una biografia dell’illustre concittadino ricavando le notizie dagli studi condotti da Costantino Ruggieri sugli 86 volumi contenenti i documenti dell’attività diplomatica dello Steffani in possesso della Sacra Congregazione de Propaganda Fide (volumi oggi presso l’Archivio storico di Propaganda Fide nel Campus della Pontificia Università Urbaniana a Roma). Il Riccati, seguace di Francesco Antonio Vallotti, insigne matematico eRitratto di Francesco Antonio Vallotti teorico della musica del XVIII secolo, ispirandosi  per la breve e documentata biografia dello Steffani a quanto già scritto allo stesso riguardo dall’abate Giovanni Cristofano Amaduzzi, così ricostruisce il profilo del concittadino nel quale le affascinanti capacità di musicista si sono legate a quelle della sapienza diplomatica, le une essendo d’aiuto all’altra e viceversa: 

«[…] passati per Padova i Principi di Brunswich, e di Hannover, l’anno 1686, ed avendone ammirato il raro talento, e l’eccellenza nella musica professione, il presero al loro servizio, ed egli abbandonò la Cappella, che aveva per pochi mesi servita. Divenuto Maestro di Cappella nella Corte di Hannover, compose per asserzione di Gian Gothofredo Waltern (Lexicon Musicum) la Musica di vari drammi in lingua Italiana recitati nel Teatro di Hannover, e poscia tradotti in Tedesco, e recitati nel Teatro di Amburgo. Quantunque grande fosse la sua abilità nella Musica, non valeva egli meno nella destrezza dei maneggi politici. […] Contiene adunque il I volume [delle carte del Fondo Spiga, n.d.r.] le minute dei dispacci dell’Abate Steffani Inviato del Duca d’Hannover a Bruxelles negli anni 1693. 1694. per l’affare del IX . Elettorato, e per quello dell’eredità del Re Guglielmo III. d’Inghilterra, controversia tra la Casa di Hannover, e quella di Prussia. Congiungendo frattanto i grandi Affari, e la Musica, diede colle stampe d’Amsterdam una luminosa prova della vasta sua cognizione e della teorica della Musica, e della Storia Sacra, e Profana, comunicando al pubblico un Libro, il cui titolo: Quanta certezza abbia da suoi Principii la Musica, ed in qual pregio fosse perciò presso gli Antichi  1695. […] Fu tanto applaudita specialmente in Germania, che come afferma il soprammentovato Waltern, se ne fece la traduzione in lingua Tedesca, ed otto volte si ristampò. […]

Non si chiamava contento l’Ab. Steffani delle teoriche ordinarie, e comuni, ma cercava d’internarsi vie più, e di penetrare più a fondo la Musica. I suoi Duetti mi servano a testimonio in molto pregio tenuti da tutti i Professori di Musica, ne’ quali, siccome si esprime il P. M. Martini, risulta a meraviglia l’alto suo sapere, e il suo gran possesso della pratica, e singolarmente de’ Contrappunti doppj di tutte le spezie.

[…] Ma tornando ai Duetti, è meraviglioso la loro condotta, in cui si congiungono lo stile periodico, la varietà, e l’uniformità. Mettendo in Musica un versetto, inventa alcune cantilene, che si legano in armonia, e che vivamente esprimono i sentimenti della Poesia, e col loro intreccio, usando opportunamente la modulazione ai Tuoni al principale subordinati, perviene al termine del suo eccellente lavoro. […]

La fama della dottrina, del costume ecclesiastico, della prudenza, ed abilità ne’ maneggi, onde andava fornito l’Ab. Steffani, s’era largamente diffusa, talmente che meritò di pervenire al Pontificio Trono, sopra cui degnamente sedeva Clemente XI. Li 13 Settembre adunque dell’anno 1706. lo creò Vescovo di Spiga per la morte di Monsig. Gasparo Gasparini, abilitandolo a ritenere la Badia di Lepsing». 

Il papa quindi corrisponde positivamente e ben volentieri ad una lettera di raccomandazione trasmessagli dal principe Johann Wilhelm, Elettore del Palatinato,  sia soprattutto per dotare di sufficiente autorevolezza i provvedimenti tesi al riordino della chiesa cattolica in Germania, già intrapreso da Steffani presso le varie corti ducali e ora potenziato con questa nomina, sia per trovare un modus vivendi con la Lega anti-francese ormai prossima alla vittoria definitiva, ed in particolare per comporre i contrasti con l’imperatore Giuseppe I.

Secondo un progetto di cui è estensore l’abate Steffani e del quale proprio questi diverrà nel 1709, al suo rientro nel centro Europa, uno tra i protagonisti, Clemente XI viene interessato a porre in essere un ambizioso tentativo di rinascita, se non una vera e propria rievangelizzazione cattolica dei territori e popolazioni passate alla fede della riforma luterana e protestante. Il viaggio di Haendel, sotto gli auspici di Violante di Baviera e il ruolo di Steffani presso la corte romana, sembra configurarsi come parte integrante della possibilità di rappresentare a Clemente XI le richieste di una gran parte della Germania cattolica, dal Palatinato al Braunschweig allo stesso Impero, offrendo al papa, amante e protettore delle arti, forme ed espressioni creative del giovane talento musicale di Haendel, per nulla affatto insensibile né estraneo, pur appartenendo egli alla fede del pietismo evangelico protestante, alla passio religioso-teologica e politica del capo della Chiesa apostolica romana.

Siamo alla fine del 1706 ed Haendel si mette subito al lavoro per contribuire con i suoi strumenti, cioè con la musica, alle mediazioni attivate, grazie al ruolo svolto da Steffani, tra il papato e l’Impero.

La prima esibizione delle grandi capacità musicali di Haendel di fronte ad un vasto e qualificatissimo uditorio di funzionari di curia e cardinali, è allo strumento, l’organo, il 14 Gennaio 1707 nella Basilica di S. Giovanni, chiesa titolare del Papa, vescovo di Roma.

Organo Blasi in San Giovanni in LateranoProprio l’organo nel primo incontro ad Hannover nel 1703 tra lui e Steffani rappresenta il migliore biglietto da visita per il giovane sassone che ne è un insuperabile virtuoso. Ora è necessario che a Roma il sassone si faccia conoscere e soltanto un importante ed ascoltato prelato come Steffani, che ben conosce l’abilità di Haendel con questo difficile strumento, può fargli ottenere l’autorizzazione a suonare l’organo Blasi nella Chiesa di cui è titolare il Pontefice. Sono le parole dello stesso Haendel, raccolte da John Hawkins, a descrivere il primo incontro tra il giovane sassone e il quasi cinquantenne Steffani:

«Quando arrivai la prima volta ad Hannover ero un giovane sotto i venti anni. Ero bene a conoscenza dei meriti di Steffani ed egli aveva sentito parlare di me. Capivo a quel tempo qualche cosa di musica e di me aveva sentito dire che ‘mettendo fuori le sue larghe mani e distendendo le lunghe dita poteva suonare molto bene l’organo’. Egli mi ricevette con grande gentilezza e mi diede presto l’opportunità di presentarmi alla principessa Sophie e al figlio dell’elettore, facendo loro capire che io ero ciò che egli amava chiamare un virtuoso di musica. Egli mi fece il favore di istruirmi su come dovevo condurmi e comportarmi durante la mia permanenza ad Hannover, ed essendo chiamato lontano dalla città per dedicarsi a questioni di interesse pubblico, egli mi mise a disposizione i favori e le protezioni di cui egli stesso aveva goduto per una lunga serie di anni». 

Prima ancora dell’esecuzione all’organo nella Basilica di San Giovanni, riportato nel suo Diario di Roma da Francesco Valesio, l’appena nominato vescovo di Spiga invia in dono ad Haendel una raccolta dei suoi famosissimi duetti, a testimonianza dell’accordo e della stima tra i due musicisti, se è vero, come è vero, che una copia manoscritta reca la firma autografa del giovane sassone, con luogo e data: Roma 1706, copia oggi depositata al British Museum a Londra.

Francesco Trevisani, Ritratto di Pietro OttoboniCerto è che Haendel, accolto assai benevolmente dai cardinali di curia, filo-francesi, Benedetto Pamphilj e Pietro Ottoboni e dal marchese Francesco Maria Ruspoli, nonchè dal cardinale filo-imperiale Carlo Colonna, compone tra l’inizio del 1707 e la fine dell’anno oltre a brevi composizioni in latino, una serie di cantate, tra cui Donna che in ciel per celebrare e ringraziare la Madre del Salvatore quale protettrice di Roma dalle continue rovine e dai lutti arrecati dal terremoto, l’oratorio Il Trionfo del tempo e del disinganno su libretto di Benedetto Pamphilj, e molte cantate da camera per il marchese Ruspoli nella cui residenza di Vignanello passa il mese di giugno del 1707.

Ritratto di Francesco Maria Ruspoli

3. Ma all’inizio dell’estate 1707, la conquista di Napoli da parte degli imperiali semina sconcerto in Roma, turba ed offende profondamente papa Albani che, oltre a trovarsi gli austriaci sul confine meridionale dello Stato pontificio – in sostituzione dei più innocui e fedeli feudatari spagnoli – , ha dovuto subire l’onta del passaggio delle truppe del Daun sulle sue terre, con la minaccia, come si vedrà, di ben più gravi conseguenze per la stessa indipendenza politica e religiosa di Roma e della Chiesa.

I primi dieci anni del pontificato di Clemente XI a partire dal 1700, anno dell’ascesa al soglio, sono a dir poco molto difficili. Sul piano dei rapporti con i potentati politici europei, in rotta di collisione dopo la morte proprio nell’anno 1700 di Carlo II di Spagna con l’apertura della successione al trono di questo regno chiave per i suoi domini in Europa e oltre Atlantico, l’Albani deve tener fede alla volontà di Innocenzo XII Pignatelli. Questi infatti ha fatto appena in tempo ad aprire le porte di San Pietro per l’Anno Santo morendo anch’egli il 28 settembre 1700, non prima però di avere avallato e sostenuto l’ascesa del nipote di Luigi XIV, Filippo d’Angiò, al trono di Spagna con il nome di Filippo V, fors’anche per l’indignazione suscitatagli dagli intrighi orditi a Roma nel 1696 da Adam Martinitz, ambasciatore di Leopoldo I, che provoca disordini popolari durante le processioni per la festa del Corpus Domini.

Il Martinitz sarà il primo viceré di Napoli nel luglio 1707.

L’Albani cercherà di mantenere una certa equidistanza tra i belligeranti fin dall’inizio della Guerra di Successione spagnola, ma la decisione di Innocenzo XII peserà come un macigno nei rapporti  con Leopoldo I, morto il 5 Maggio 1705 e con il figlio Giuseppe I, sia a riguardo della giurisdizione dei benefici ecclesiastici in Germania, sia per la conservazione del dominio sui territori della Chiesa in Italia allorchè le armate imperiali avranno il sopravvento nel Nord della penisola e nella pianura padana sui Francesi, e al Sud sugli Spagnoli.

Anche quel ritorno alla austera e bella semplicità del vivere naturale, vagheggiato dallo stesso Gian Francesco Albani con la nascita dell’Accademia dell’Arcadia, alla quale il pontefice viene ascritto con acclamazione nel 1695, non ancora papa, con il nome di Alnano Melleo, viene come dissacrato a fronte delle catastrofi della natura stessa con un susseguirsi  quasi ininterrotto a Roma di alluvioni, terremoti, cicloni ed ancora terremoti.  Le esondazioni del Tevere si succedono nel Natale 1701, nel dicembre 1702, e nel gennaio 1703 il ghetto viene completamente sommerso. Sempre nel 1703, il 16 gennaio, una breve ma violenta scossa di terremoto accresce paura ed angoscia a Roma, ma sono le scosse telluriche del 2 febbraio a provocare i danni più gravi con il crollo di tre archi del secondo anello del Colosseo –(le pietre cadute verranno riutilizzate per costruire il porto di Ripetta sul Tevere) – e l’apertura di profonde crepe nella Basilica di San Pietro, nei palazzi del Vaticano e del Quirinale. L’architetto Carlo Fontana non fa a tempo a calcolare le spese per le riparazioni nella vertiginosa somma di 700.000 scudi che nel marzo ed aprile del 1703 nuove scosse di terremoto, seppure più leggere di quelle di febbraio, colpiscono Roma, seguite subito dopo da un grande e devastante ciclone. Il 24 maggio del 1703 nuove forti scosse telluriche provocano la fuga quasi in massa dei Romani nelle campagne circostanti.

Le condizioni economiche di Roma non sono certo più rassicuranti se Leopold von Ranke nella sua Storia dei Papi  (Firenze, Sansoni, 1965, tr. it. C. Cesa, intr. D. Cantimori, p. 877) può osservare che «[…] le grandi case mercantili ottenevano una partecipazione diretta alle pubbliche funzioni. Accanto al tesoriere c’era sempre una compagnia finanziaria che incassava e sborsava il denaro: le casse dello stato erano in realtà nelle mani dei mercanti. I quali erano anche appaltatori delle entrate e tesorieri nelle provincie. Tanti uffici erano messi in vendita; essi avevano i mezzi per assicurarsi anche quelli. […] La corte acquistò via via una mentalità così mercantile che le promozioni dipendevano assai più dal denaro che dal merito ». Riguardo ai costumi dell’amministrazione e della finanza della Chiesa il Ranke riferisce l’importante giudizio del cardinale Vincenzo Grimani, uno tra gli attori principali del conflitto tra Clemente XI e l’Impero, schieratosi apertamente a favore degli Asburgo, così da divenirne a Roma il plenipotenziario anche per promuovere un profondo mutamento giurisdizionale, morale ed economico dello Stato della Chiesa:  «[…] un mercante con la borsa in mano finisce sempre col prevalere. La corte si riempie di mercenari che tendono solo al guadagno, che si sentono uomini d’affari e non uomini di stato, e che manifestano apertamente pensieri assai bassi». 

Nonostante le complesse e difficili condizioni in cui versano Roma e la Chiesa nel primo decennio del XVIII secolo, l’appello del cardinale Annibale Albani, nipote del papa, nell’inaugurare i Musei capitolini il 24 aprile del 1704, secondo la volontà di Clemente XI, sostiene nella sua orazione la necessità di favorire l’arte in tutte le sue manifestazioni e linguaggi soprattutto in tempi di guerra e di calamità naturali.

Nelle poesie degli Arcadi che dopo l’orazione inaugurale vengono recitate, il papa ordina che non s’introducano elogi al nipote, proseguendo così la politica anti-nepotista del predecessore Innocenzo XII, e confermando altresì che la fondazione dell’Accademia dell’Arcadia corrisponde ad un vero e sincero stile morale di vita, a cui  si devono conformare, in particolare, i ceti benestanti ed altolocati.

A questa nuova temperie morale, culturale e spirituale ispira i propri studi e gli scritti Gian Vincenzo Gravina, il dotto giurista estensore  delle Leges Arcadum, il quale, nel 1708, mentre divengono sempre più incombenti le minacce di un’invasione di Roma da parte delle truppe imperiali, fa pubblicare Della Ragion poetica, quasi un pamphlet letterario nel quale rivendica come valore più attivo – invece che quello contemplativo, ovvero di una natura da imitare, tipico dell’Arcadia sotto la guida del gesuita Crescimbeni – il valore etico ed educativo proveniente dai grandi esempi poetico-drammatici delle opere dei tragici greci, Eschilo, Sofocle, Euripide, arrivando il Gravina ad includere in questo quadro la prima rilevante rilettura e rivalutazione delle poesia e della figura emblematica di Dante Alighieri, insieme alla riattualizzazione premonitrice della teoria politica dei due Soli del De Monarchia, mentre la crisi del pontificato di papa Albani in quel 1708 si fa sempre più acuta. A questa prima teorizzazione della necessità di improntare la creazione poetico-drammatica a criteri morali e verosimili, per suscitare e promuovere così l’attivo e razionale intervento della maggior parte dei credenti sulla realtà vissuta, il Gravina – come sappiamo – avrebbe coerentemente fatto seguire nel 1711 la scissione dell’Accademia dell’Arcadia, secondo il giurista istituzione ormai inadeguata nel ritenere sufficiente e bastevole alle dure sfide politiche e sociali, recate anche all’universale comune fede religiosa, la mera quasi meccanica corrispondenza tra il ritorno ad un mitico vivere semplice e naturale e la realizzazione di un agire e di comportamenti morali universali, corrispondenza tanto più irraggiungibile quanto più essa viene predicata dalle classi privilegiate ad edificazione e contenimento delle rivendicazioni e delle attese indifferibili delle classi subalterne e degli umili. 

Nel 1708  tra Clemente XI e l’imperatore Giuseppe I attriti e dissidi si fanno sempre più forti, così da rendere sempre più difficile la neutralità della Chiesa tra la Francia e la Lega anglo-imperiale-prussiana, vanificando i tentativi di quanti a Roma, come lo stesso Gravina, il principe Odescalchi, i cardinali Grimani, Carlo Colonna, il duca Caetani e Mons. Kaunitz, plenipotenziario dell’imperatore, cercano di evitare una crisi radicale con Vienna ed il rischio dai risultati imprevedibili per le sorti di Roma e del papato.

In risposta alle lamentele presentate da Clemente XI all’arciduca Carlo d’Asburgo, ovvero a Carlo III di Spagna e all’imperatore Giuseppe I sia per l’occupazione di Comacchio e del ferrarese, e di quella imminente di Bologna, aviti territori della Chiesa, sia a causa delle pratiche di sermoni e pubbliche confessioni a cui i mercenari protestanti al seguito delle truppe imperiali del Daun sottopongono le popolazioni cattoliche, la risposta austriaca si fa addirittura sprezzante, attraverso la pubblicazione di proposizioni anti papali suggerite da un professore di teologia di Tubinga a sostegno delle posizioni assunte dall’imperatore Giuseppe I:

1° Il Papa non può possedere alcuna signoria temporale.

2° Le donazioni degli imperatori ai Papi non concedono a costoro alcuna sovranità e possesso e verranno revocate qualora il Papa si renda colpevole di grande ingratitudine.

3° L’imperatore è giudice supremo in tutti i conflitti che riguardano il potere temporale del vescovo di Roma.

4° Il Concilio sta sopra il Papa e va convocato dall’imperatore.

5° Alla Chiesa tedesca spettano gli stessi diritti come a quella gallicana.

6° Il minacciare l’imperatore con la scomunica, come aveva fatto Clemente XI, è un abusare dell’ufficio ecclesiastico per scopi civili.

7° Il Papa non può far guerra.

4. Queste proposizioni del teologo di Tubinga non sono affatto prive di spiacevoli  conseguenze per la Chiesa. Difatti, dopo la liberazione del Nord-Ovest dell’Italia dai Francesi e dagli Spagnoli nel milanese, ora l’Impero – proprio secondo le rivendicazioni giurisdizionali avanzate – intende appropriarsi anche definitivamente di Parma e Piacenza, dopo peraltro avere spodestato e fatto riparare il Gonzaga da Mantova esule in Francia. Per realizzare tali obiettivi gli imperiali hanno l’arma di ricatto dell’invasione anche di Bologna, la seconda città per importanza dello Stato della Chiesa, dopo Roma, mentre minacciano da Nord e da Sud (Napoli) la stessa capitale del cattolicesimo.

Clemente XI dopo avere invano richiesto l’aiuto della Francia, esausta per le sconfitte subite e l’approfondirsi inarrestabile della crisi economica e finanziaria, limitatasi in quel 1708 ad inviargli l’ambasceria del maresciallo Tessè con il consiglio di suscitare una Lega italiana anti-imperiale, cosa del tutto impraticabile per la riaffermata neutralità di Venezia, Genova e Firenze e l’alleanza dei Savoia e di Modena all’Impero, il papa gioca la carta disperata di muovere guerra alle armate austriache attestate nel delta del Po, nel tentativo di guadagnare tempo e rendere le trattative diplomatiche a lui più favorevoli.

(il seguito alla terza parte)

Mario Valente                                                                   Roma, febbraio 2010

 

 

 

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