Nella primavera del 1708, durante la fase
italiana della Guerra di Successione spagnola, gli attriti e i dissidi tra
papa Clemente XI e Giuseppe I, Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico,
divengono sempre più forti. Non soltanto gli Asburgo si sono stabilmente
insediati a Napoli da un anno, avendone scacciato gli Spagnoli nel 1707, ed
avvicendato ben tre viceré (dal 1° Luglio1708 il cardinale Vincenzo Grimani,
fieramente filo-imperiale, assume il potere fino alla sua morte nel giugno
1710), ma nel Nord Italia occupano Comacchio, Parma e Piacenza, feudi
papali, e minacciano di impadronirsi anche di Bologna, la città più
importante dopo Roma per il potere secolare della Chiesa. Roma stessa
potrebbe essere invasa dalle truppe imperiali, come già accadde nel 1527 ad
opera di Carlo V d’Asburgo sotto il pontificato di Clemente VII.
In
questo quadro politico la committenza del marchese Francesco Maria Ruspoli
a Haendel dell’oratorio La Resurrezione, con l’aiuto dell’orchestra
del cardinale Ottoboni diretta da Arcangelo Corelli, deve assumere il
significato simbolico-politico, erga omnes dentro e fuori di Roma, di
una vera e propria riscossa del papato dopo le tante e gravi umiliazioni
subite.
Haendel si trasferisce stabilmente fin dalla
metà di febbraio 1708 a palazzo Bonelli per dedicarsi esclusivamente alla
messa in musica del libretto di Carlo Sigismondo Capece, ascritto
all’Accademia dell’Arcadia con il nome di Metisto Olbiano. Il sassone
capisce bene che la parte cui è chiamato come musicista è infondere
nell’oratorio quell’entusiasmo occorrente all’impresa cui si accinge il
pontefice e la Chiesa, richiamando a sostegno tutte le forze terrene e
celesti di cui dispongono coloro che guidano e rappresentano l’unità dei
credenti.
Il carattere assolutamente innovativo, tale
da distinguere La Resurrezione non solo dalla copiosa e contemporanea
produzione di oratori in quegli anni, ma anche capace di costituirsi come
esempio e in qualche modo modello per lo sviluppo nei decenni successivi di
uno tra i generi musicali più amati ed eseguiti a Roma, consiste nella sua
piena leggibilità simbolico-politica e nei rinvii alla realtà storica
vissuta, di cui beneficiano gli spettatori delle tre prove, il 1°, il 2 ed
il 7 Aprile, e delle due esecuzioni ufficiali, l’8 e il 9 Aprile 1708.
Vale la pena ripercorrere i momenti
principali della preparazione e della rappresentazione dell’oratorio.
Un biglietto del papa arriva a Francesco
Maria Ruspoli ai primi di Febbraio 1708 a Vignanello dove il marchese sta
passando il Carnevale. Di lì a pochi giorni torna a Roma per organizzare la
tradizionale esecuzione dei concerti quaresimali, ma soprattutto chiama
Haendel a Palazzo Bonelli perché si dedichi esclusivamente alla composizione
de La Resurrezione da eseguire a palazzo la domenica di Pasqua 8
Aprile e il lunedì dell’Angelo 9 Aprile. Certo è che Haendel non scrive per
alcuna delle cantate per stromenti od oratori quaresimali che dal 4
al 31 Marzo 1708 si susseguono con cadenza settimanale ogni domenica sera a
palazzo Bonelli. L’impegno preso con Clemente XI di fare de La
Resurrezione lo spettacolo più importante e significativo per le sorti
del papato di fronte agli ambasciatori di tutti gli stati europei
belligeranti nonché ai plenipotenziari di Giuseppe I e Carlo d’Asburgo, re a
Barcellona, richiede al Ruspoli un notevolissimo sforzo finanziario per i
lavori assolutamente fuori dell’ordinario da eseguire a palazzo.
La direzione dei lavori di allestimento del
teatro per l’oratorio vengono affidati all’architetto G.B. Contini: il luogo
è lo Stanzione delle Accademie al II piano del palazzo dove vengono
eseguiti prima notevoli lavori di muratura dal capo mastro Francesco
Pagnacelli: abbattimento di muri tra lo Stanzione e i gabinetti
contigui, apertura di nuove porte e di scale di accesso, tagli del solaio
per dare sbocco alle scale, palchi per le dame, creazione di una parete in
muratura per sostenere la struttura di una cascatella d’acqua a mo’ di
ninfeo in interno; rottura del mattonato dello Stanzione per
alloggiare nuove colonne di legno a sostegno del palchettone. Poi lavorano
gli ebanisti: mastro Crespineo Pavone falegname procede alla creazione di un
palcoscenico in legno di castagno; il boccascena, la struttura di sostegno
del dipinto del fondale, i seditori per l’orchestra di 45 elementi,
28 leggii con lumi; la struttura: per alzare e calare il sipario – 7 girelle
–, il parapetto davanti l’orchestra ed altro. Quindi vengono creati gli
addobbi con damaschi, fregi di velluto e damaschi trinati d’oro per i cieli,
i taffettani rossi e gialli (colori di Roma), e trine d’oro in abbondanza.
Poi intervengono i pittori guidati da Michelangelo Ceruti con il grande
quadro della Resurrezione come fondale del palcoscenico, la riquadratura del
boccascena dipinta con imprese del Ruspoli, il frontespizio ornato di volute
e cherubini con il titolo scorniciato de La Resurrezione “illuminato
di dietro la carta trasparente” da 70 coccioli di grasso sorretti
da armature di legno e “fattoci stare 2 uomini di continuo a guardia”.
Alla prima esecuzione dell’oratorio domenica delle Palme 1° Aprile e il
seguente 2 Aprile (prove) lo Stanzione delle Accademie risulta del
tutto inadeguato, pur con i lavori di ampliamento eseguiti, di fronte alla
grandissima massa di spettatori accorsi. Il marchese, insieme all’architetto
Contini e ai suoi collaboratori, decide di spostare l’esecuzione nel
Salone al piano nobile, dove però vengono fatti, nei giorni dal martedì
al sabato santo, ancora lavori in muratura con demolizione di finestre e
pareti. Viene rifatto il palcoscenico, le decorazioni, gli addobbi,
l’illuminazione, i 4 ripiani per l’orchestra con parapetto, il palchetto per
il concertino dei violini ed il clavicembalo del Signor Arcangelo; ma
soprattutto nel Salone viene costruito in legno un “teatro a scalinata”
per il pubblico.
Alla fine di questi preparativi il marchese
Ruspoli avrà allestito in pochi giorni ben 2 teatri nel suo palazzo.
Sabato sera 7 Aprile 1708 l’attesa per
l’evento nel nuovo Salone di palazzo Bonelli è altissima: l’impegno del
marchese per creare lo spettacolo più importante e meraviglioso a Roma
ottiene il massimo successo.
Così sarà ancora l’8 Aprile, Pasqua, giorno
ufficiale della “funzione”, così sarà per la replica del 9 Aprile, Lunedì
dell’Angelo. Lo Stanzione con tutte le decorazioni rimaste viene
usato per servire i rinfreschi agli spettatori tra la I e la II parte
dell’oratorio.
L’enorme
successo conseguito da La Resurrezione premia gli sforzi inauditi,
senza precedenti, del marchese Ruspoli il quale può ora dedicarsi
all’organizzazione delle truppe, il reggimento “La colonella” che a sue
spese è destinato a difendere Roma e il papa dalle minacce di invasione da
parte degli imperiali. Haendel, dal canto suo, dopo avere assolto assai
felicemente alla messa in musica dell’Oratorio che rilancia il ruolo
simbolico-religioso e simbolico-politico di Clemente XI come guida al tempo
stesso della Chiesa cattolica e di quel potere temporale che proprio
Francesco Maria Ruspoli si appresta a difendere manu militari,
inspiegabilmente alla fine di maggio 1708 abbandona Roma e si reca a Napoli
nel campo del nemico, a Napoli, dove il cardinale Grimani, convinto
sostenitore degli Asburgo, è in procinto di assumere la carica di viceré il
1° Luglio 1708. Come può raggiungere Haendel Napoli, chi gli fornisce i
lasciapassare, le credenziali per uscire da Roma e quelle per arrivare
indenne nella città ora governata dagli austriaci? Nella città partenopea
Haendel non solo compone per i duchi di Alvito la cantata Aci, Galatea e
Polifemo, ma dopo avere ricevuto dal cardinale Vincenzo Grimani la
committenza a mettere in musica il melodramma Agrippina su un
libretto forse dello stesso viceré ma più probabilmente composto da mani
diverse, tra le quali quelle di Apostolo Zeno (secondo le ipotesi
recentemente avanzate da Carlo Vitali), torna liberamente e in tutta fretta
a Roma alla metà di luglio 1708.
Haendel
partecipa nuovamente alle imprese di Francesco Maria Ruspoli e in occasione
della sfilata del reggimento che andrà a combattere vittoriosamente 2.500
austriaci a Pontelagoscuro nel gennaio 1709 compone la serenata a tre voci
Olinto / pastore arcade / alle glorie del Tebro (Olinto è il
nome arcadico dello stesso Ruspoli) ed assiste alla presentazione delle
truppe dinanzi a palazzo Bonelli. Sorprende che la recente ricostruzione
storica di Ursula e Warren Kirkendale trascuri: 1. di citare la serenata
haendeliana con il titolo del libretto
Olinto / pastore arcade / alle glorie del Tebro
e non come erroneamente finora avvenuto in pressoché tutta la storiografia
O come chiare e belle, HWV 143; 2. l'evidente stretta relazione
esistente tra la presentazione del reggimento "La colonella" e la vittoriosa
battaglia a Pontelagoscuro. Stupisce peraltro, anche, l'individuazione a
pag. 401 in Music and Meaning di tre storici personaggi posti alla
sinistra della cantante Margherita Durastanti: l'abate Giuseppe Lari,
l'abate Giacomo Buonaccorsi e l'abate Mazziotti. In realtà, l'attribuzione
della condizione di abati a tutti e tre i personaggi è in evidente
contrasto con l'abito caratteristico dell'ordine dei domenicani, con le due
figure che guardano e tendono le mani verso il personaggio centrale. Il quadro del pittore Alessandro Piazza
immortala il memorabile evento del reggimento del Ruspoli che va a prendere
la benedizione di Clemente XI al Quirinale, prima di partire per la guerra.
È un documento straordinario il grande dipinto di Alessandro Piazza perchè
con ogni probabilità ci consente di individuare tra le figure storiche
raffigurate, con felice sfasamento temporale, Monsignore Agostino Steffani
sul lato sinistro del quadro in mezzo ai due sacerdoti dell’ordine
domenicano, mentre G.F. Haendel, riconoscibile per la sua livrea dorata è
situato quasi al centro sulla stessa linea degli storici spettatori
(musicisti, cantanti e notabili di curia). Le testimonianze storiche ci
dicono quasi senza ombra di dubbio che Agostino Steffani arrivò a Roma
soltanto alla fine dell’Ottobre 1708, mentre la scena raffigurata nel
dipinto si riferisce alla precisa data del 9 Settembre dello stesso anno.
Senonchè Alessandro Piazza nel portare a
compimento ai primi del 1710 il dipinto potrebbe aver voluto rendere postumo
omaggio ad Agostino Steffani, vescovo di Spiga, le cui trattative
diplomatiche avrebbero consentito la composizione dei duri contrasti tra il
papato e l’Impero. Anche la partenza di Haendel per Napoli al servizio
dell’imperiale cardinale Grimani fecero parte, in qualche modo e misura,
delle lunghe trattative tra Agostino Steffani e il marchese Prié
plenipotenziario di Giuseppe I per arrivare alla stipula dell’accordo tra
Chiesa e Impero alla fine del Gennaio 1709, dopo la storica vittoria del
marchese Ruspoli divenuto principe di Cerveteri a seguito dell’impresa
bellica?
Ma chi era Monsignore Agostino Steffani,
diplomatico e grande musicista nell’Europa tra Seicento e Settecento, e
quale ruolo ha svolto nel viaggio di Haendel in Italia, e nella sua
permanenza dal 1706 al 1710?
1. Quali sono le condizioni politiche
dell’Europa durante il viaggio di G.F. Haendel in Italia?
Allorchè Georg Friedrich Haendel nella tarda
primavera del 1706 si mette in viaggio verso l’Italia, partendo da Amburgo
nell’estremo nord della Germania, in tutta Europa infuria la guerra di
Successione spagnola. Ma il ventunenne musicista, sebbene metta in mostra un
coraggio che sfiora la temerarietà nell’intraprendere il lungo e pericoloso
cammino, ha fatto i suoi calcoli.
Certo il viaggio da Amburgo a Roma doveva
essere stato preparato con molta accuratezza: la distanza da coprire, a quel
tempo pari a circa 2.500 chilometri, fiumi e zone montuose da superare,
lasciapassare tra ducati e principati elettorali, salvacondotti e lettere di
accredito presso i numerosi stati indipendenti, le difficoltà di
approvvigionamento alimentare in un’Europa stremata in cui la guerra – su
vari fronti – durava oramai da sei anni, il notevole costo del viaggio
(diligenza con sosta nelle varie locande di posta), visto che il tiro dei
cavalli poteva in una giornata coprire un tragitto tra i trenta e i
quarantacinque chilometri, a
seconda delle difficoltà del terreno e delle condizioni delle strade. Di
tutto questo non si ha pressoché traccia nell’odierna storiografia per non
parlare delle biografie haendeliane settecentesche: dall’invito romanzato di
Ferdinando de’ Medici a venire in Italia (Mainwaring e seguaci) al
telegrafico Mattheson: «…si presentò l’occasione di partire gratuitamente
per l’Italia con Binitz».
A favore dell’incolumità di Haendel nel
tragitto dalla Germania all’Italia vi è il radicale cambiamento nel 1706
delle sorti della Guerra di Successione spagnola.
La fortuna, infatti, sta girando le spalle
nell’ Europa centrale a Luigi XIV ed al suo principale alleato, Massimiliano
II di Baviera.
Già nel 1703 a Höchstädt sul Danubio
l’avanzata delle truppe franco-bavaresi verso Vienna viene bruscamente
fermata da una sonora sconfitta, e l’anno successivo 1704, sempre nella
stessa località bavarese, precisamente a Blenheim, Lord Marlborough ed
Eugenio di Savoia sconfiggono nuovamente il nemico costringendolo questa
volta a ritirarsi dalla Germania e a ripiegare verso i Paesi Bassi spagnoli,
non prima di aver imposto a Massimiliano II di Baviera lo scioglimento del
suo esercito, l’esilio in Francia, lo smantellamento delle fortificazioni, e
il protettorato austriaco sull’intera Baviera. (Questa rimarrà sotto il
ferreo controllo di Eugenio di Savoia sino alla decisiva sconfitta dei
Francesi a Malplaquet,
Belgio,
nel settembre 1709).
Due anni dopo, nei Paesi Bassi spagnoli, il
23 maggio del 1706, a Ramillies, le armate della Lega
anglo-imperiale-prussiana colgono la vittoria più importante su Luigi XIV e
i suoi alleati, costringendoli a ripiegare con le loro armate entro i
confini della Francia.
La guerra per la Francia volge al peggio
anche in Italia.
Nella penisola, Eugenio di Savoia dopo avere
sconfitto nella tarda primavera i Francesi a Rovigo, marcia lungo la riva
destra del Po verso Torino, affronta a Carmagnola, nel settembre 1706, in
una cruenta battaglia il nemico e libera la città da un lungo assedio,
salvando così il cugino Vittorio Amedeo II dalla spedizione punitiva di
Luigi XIV, e consentendo alle armate imperiali, sotto il comando del
maresciallo Daun, l’occupazione di Milano e della pianura padana nonchè la
preparazione necessaria alla discesa delle truppe imperiali in Italia
meridionale e alla conquista del napoletano.
Napoli nella tarda primavera del 1707 viene
strappata al dominio plurisecolare della Spagna dall’esercito comandato dal
Daun, e può così avere inizio il vice regno austriaco.
Per
il ventunenne Haendel, quindi, la scelta del corridoio orientale della
Germania per scendere in Italia è resa possibile perché l’Est, già dalla
primavera del 1706, è libero dai movimenti delle armate dei belligeranti a
seguito dell’arretramento dei francesi dall’Europa centrale, e in
particolare a seguito del protettorato sulla Baviera esercitato dall’Impero
dalla fine del 1704.
L’arrivo al valico del Brennero diviene
perciò possibile, così come proseguire all’interno della penisola italiana
sempre lungo la direttrice Est, dal momento che, essendosi spostate a Nord
Ovest, intorno a Torino, le fasi cruente della guerra, Haendel può ora
attraversare l’Italia centrale e raggiungere così, senza correre rischi
eccessivi, Roma, la meta ultima e fondamentale del viaggio, e fors’anche
prima della città eterna, la Firenze della declinante dinastia medicea.
Ritengo si debba soprattutto alla cognata di
Gian Gastone, Violante Beatrice di Baviera, sorella di Massimiliano II di
Baviera e sfortunata moglie di Ferdinando de’ Medici, il buon esito del
viaggio in Italia di Haendel e la sua stessa incolumità nel passaggio tra le
calamità e i pericoli della guerra in corso.
La
nobildonna, infatti, accogliendo di buon grado le sollecitazioni dell’amato
maestro di musica degli anni giovanili di Monaco, il compositore e
diplomatico abate Agostino Steffani (Castelfranco Veneto, 1654-Francoforte,
1728), con il quale è sempre rimasta in affettuoso rapporto epistolare, si
rende garante e protegge il giovane musicista sassone, con la segreta
speranza che dal “grande gioco” tessuto dalla proverbiale sapienza
diplomatica di Agostino Steffani nel condurre, in questa occasione, a buon
fine le trattative tra Giuseppe I e Clemente XI, anche la Baviera e il
fratello Massimiliano possano trarne vantaggio, riacquistando la prima
l’indipendenza, il secondo il recupero del potere e del titolo elettorale,
riunito ed assorbito ora sotto quello del Palatinato. (Sarà questa, cioè il
patronage di Violante e non di Ferdinando né di Giangastone, la causa
dell’esecuzione del Rodrigo al popolare Teatro del Cocomero, invece
che nel granducale teatro di Pratolino, dove Ferdinando de’ Medici usa fare
eseguire i raffinati e preferiti spettacoli, facendo esibire tra l’altro la
prediletta cantante Vittoria Tarquini, la quale, non a caso mancherà al
Teatro del Cocomero?).
Risulta difficilmente credibile l’agiografico
quadretto edificante di un Haendel che, rifiutato orgogliosamente il
passaggio gratuito nella carrozza di Ferdinando de’ Medici nell’incontro ad
Amburgo del 1705, così come tramandatoci dal Mainwaring, riesca prima a
mettere da parte la notevole somma occorrente per un così lungo e costoso
viaggio via terra – dovendo anche provvedere alla sussistenza della madre
rimasta vedova da anni ad Halle – e poi addirittura a lanciarsi nell’impresa
del viaggio senza provvedersi né di salvacondotti, né dei numerosi “visti”
sul passaporto occorrenti ad attraversare un così gran numero di dogane e di
frontiere, né di lettere di presentazione presso le corti dell’Italia, in
particolare quella papale, ma anche quella della stessa Firenze, e poi di
Napoli e quindi di Venezia, se volessimo ancora dare comunque credito al
mito ante-litteram romantico, o a quello, tipicamente inglese del Grand Tour
dei milords a metà Settecento, di un giovane promettente compositore in
viaggio nell’Italia dell’arte umanistico-rinascimentale, della musica dei
sentimenti e della melodia, per dare soddisfazione e forma compiuta
all’insopprimibile esigenza della sua ideale Bildung – mito peraltro
forse fatto costruire postumo e ad arte dallo stesso Haendel con le sue
confessioni londinesi prima al vecchio amico dei tempi giovanili Schmidt,
poi memorizzate dal figlio di questi, il fedele copista Smith, ed infine
raccolte e composte dal devoto pastore anglicano John Mainwaring.
Sembra molto più credibile, difatti,
considerare se non si debba attribuire proprio ad Agostino Steffani con una
regia discreta e una presenza appena avvertibile, l’organizzazione del
viaggio in Italia del giovane ed in qualche modo già affermato musicista
sassone, unitamente alla individuazione e fondazione degli stessi scopi
artistici ed anche dei futuri sviluppi di una grande carriera, se si
vogliono finalmente esaminare con sano realismo, dopo tante letture
romantique del viaggio di Haendel in Italia, le connessioni tra azioni e
attori di una vicenda altrimenti per molti versi poco credibile ed anzi
altamente improbabile.
Chi tra i compositori italiani, presente da
oltre trent’anni con grande prestigio e successo non solo sulla scena
musicale in Germania ma anche in quella politica, con ruoli di primissimo
piano, avrebbe potuto suscitare il desiderio e l’interesse per un viaggio
così lungo e pericoloso anche per un giovane molto ambizioso, se non proprio
Agostino Steffani –(uomo coltissimo e profondo conoscitore delle maggiori
lingue europee e in particolare della lingua tedesca tanto da intonarla per
la composizione di molti melodrammi) – nel quale si riassumevano con
sorprendente e miracolosa coincidenza il fascino discreto del potere con
quello di riconosciuto maestro dell’arte tonale?
2. Steffani, conosciuto ed avvicinato Haendel
già due volte in Germania, ad Hannover nel 1703 e ad Amburgo nel 1705, nel
cui teatro am Gänsemarkt sono eseguiti i suoi drammi tradotti in tedesco,
l’abate di Castelfranco Veneto viene a Roma nella seconda metà del 1709 in
missione diplomatica presso papa Albani.
Clemente XI il 13 settembre 1706 lo nomina
vescovo di Spiga, e lo incarica di intraprendere in Germania nuove
costruzioni di chiese e case per i cattolici. Il papa sostiene un progetto
dello stesso Steffani per rinnovare la presenza cattolica anche nei
territori ormai da tempo passati alla fede protestante, dotando la sua
missione di cospicue somme di denaro, oltre 6.000 talleri dopo la sua
proclamazione vescovile a Bamberg da parte dello Schoenborn, arcivescovo di
Colonia.
A
riguardo della decisione papale e della vita di Agostino Steffani, il conte
Giordano Riccati, matematico, architetto e teorico della musica, anch’egli
nato a Castelfranco Veneto come il vescovo di Spiga, compila nel 1779 una
biografia dell’illustre concittadino ricavando le notizie dagli studi
condotti da Costantino Ruggieri sugli 86 volumi contenenti i documenti
dell’attività diplomatica dello Steffani in possesso della Sacra
Congregazione de Propaganda Fide (volumi oggi presso l’Archivio storico di
Propaganda Fide nel Campus della Pontificia Università Urbaniana a Roma). Il
Riccati, seguace di Francesco Antonio Vallotti, insigne matematico e
teorico della musica del XVIII secolo, ispirandosi per la breve e
documentata biografia dello Steffani a quanto già scritto allo stesso
riguardo dall’abate Giovanni Cristofano Amaduzzi, così ricostruisce il
profilo del concittadino nel quale le affascinanti capacità di musicista si
sono legate a quelle della sapienza diplomatica, le une essendo d’aiuto
all’altra e viceversa:
«[…] passati per Padova i Principi di
Brunswich, e di Hannover, l’anno 1686, ed avendone ammirato il raro talento,
e l’eccellenza nella musica professione, il presero al loro servizio, ed
egli abbandonò la Cappella, che aveva per pochi mesi servita. Divenuto
Maestro di Cappella nella Corte di Hannover, compose per asserzione di Gian
Gothofredo Waltern (Lexicon Musicum) la Musica di vari drammi in
lingua Italiana recitati nel Teatro di Hannover, e poscia tradotti in
Tedesco, e recitati nel Teatro di Amburgo. Quantunque grande fosse la sua
abilità nella Musica, non valeva egli meno nella destrezza dei maneggi
politici. […] Contiene adunque il I volume [delle carte del Fondo Spiga,
n.d.r.] le minute dei dispacci dell’Abate Steffani Inviato del Duca
d’Hannover a Bruxelles negli anni 1693. 1694. per l’affare del IX .
Elettorato, e per quello dell’eredità del Re Guglielmo III. d’Inghilterra,
controversia tra la Casa di Hannover, e quella di Prussia. Congiungendo
frattanto i grandi Affari, e la Musica, diede colle stampe d’Amsterdam una
luminosa prova della vasta sua cognizione e della teorica della Musica, e
della Storia Sacra, e Profana, comunicando al pubblico un Libro, il cui
titolo: Quanta certezza abbia da suoi Principii la Musica, ed in qual
pregio fosse perciò presso gli Antichi 1695. […] Fu tanto applaudita
specialmente in Germania, che come afferma il soprammentovato Waltern, se ne
fece la traduzione in lingua Tedesca, ed otto volte si ristampò. […]
Non si chiamava contento l’Ab. Steffani delle
teoriche ordinarie, e comuni, ma cercava d’internarsi vie più, e di
penetrare più a fondo la Musica. I suoi Duetti mi servano a testimonio in
molto pregio tenuti da tutti i Professori di Musica, ne’ quali, siccome si
esprime il P. M. Martini, risulta a meraviglia l’alto suo sapere, e il
suo gran possesso della pratica, e singolarmente de’ Contrappunti doppj di
tutte le spezie.
[…] Ma tornando ai Duetti, è meraviglioso la
loro condotta, in cui si congiungono lo stile periodico, la varietà, e
l’uniformità. Mettendo in Musica un versetto, inventa alcune cantilene, che
si legano in armonia, e che vivamente esprimono i sentimenti della Poesia, e
col loro intreccio, usando opportunamente la modulazione ai Tuoni al
principale subordinati, perviene al termine del suo eccellente lavoro. […]
La fama della dottrina, del costume
ecclesiastico, della prudenza, ed abilità ne’ maneggi, onde andava fornito
l’Ab. Steffani, s’era largamente diffusa, talmente che meritò di pervenire
al Pontificio Trono, sopra cui degnamente sedeva Clemente XI. Li 13
Settembre adunque dell’anno 1706. lo creò Vescovo di Spiga per la morte di
Monsig. Gasparo Gasparini, abilitandolo a ritenere la Badia di Lepsing».
Il papa quindi corrisponde positivamente e
ben volentieri ad una lettera di raccomandazione trasmessagli dal principe
Johann Wilhelm, Elettore del Palatinato, sia soprattutto per dotare di
sufficiente autorevolezza i provvedimenti tesi al riordino della chiesa
cattolica in Germania, già intrapreso da Steffani presso le varie corti
ducali e ora potenziato con questa nomina, sia per trovare un modus
vivendi con la Lega anti-francese ormai prossima alla vittoria
definitiva, ed in particolare per comporre i contrasti con l’imperatore
Giuseppe I.
Secondo un progetto di cui è estensore
l’abate Steffani e del quale proprio questi diverrà nel 1709, al suo rientro
nel centro Europa, uno tra i protagonisti, Clemente XI viene interessato a
porre in essere un ambizioso tentativo di rinascita, se non una vera e
propria rievangelizzazione cattolica dei territori e popolazioni passate
alla fede della riforma luterana e protestante. Il viaggio di Haendel, sotto
gli auspici di Violante di Baviera e il ruolo di Steffani presso la corte
romana, sembra configurarsi come parte integrante della possibilità di
rappresentare a Clemente XI le richieste di una gran parte della Germania
cattolica, dal Palatinato al Braunschweig allo stesso Impero, offrendo al
papa, amante e protettore delle arti, forme ed espressioni creative del
giovane talento musicale di Haendel, per nulla affatto insensibile né
estraneo, pur appartenendo egli alla fede del pietismo evangelico
protestante, alla passio religioso-teologica e politica del capo
della Chiesa apostolica romana.
Siamo alla fine del 1706 ed Haendel si mette
subito al lavoro per contribuire con i suoi strumenti, cioè con la musica,
alle mediazioni attivate, grazie al ruolo svolto da Steffani, tra il papato
e l’Impero.
La prima esibizione delle grandi capacità
musicali di Haendel di fronte ad un vasto e qualificatissimo uditorio di
funzionari di curia e cardinali, è allo strumento, l’organo, il 14 Gennaio
1707 nella Basilica di S. Giovanni, chiesa titolare del Papa, vescovo di
Roma.
Proprio
l’organo nel primo incontro ad Hannover nel 1703 tra lui e Steffani
rappresenta il migliore biglietto da visita per il giovane sassone che ne è
un insuperabile virtuoso. Ora è necessario che a Roma il sassone si faccia
conoscere e soltanto un importante ed ascoltato prelato come Steffani, che
ben conosce l’abilità di Haendel con questo difficile strumento, può fargli
ottenere l’autorizzazione a suonare l’organo Blasi nella Chiesa di cui è
titolare il Pontefice. Sono le parole dello stesso Haendel, raccolte da John
Hawkins, a descrivere il primo incontro tra il giovane sassone e il quasi
cinquantenne Steffani:
«Quando arrivai la prima volta ad Hannover
ero un giovane sotto i venti anni. Ero bene a conoscenza dei meriti di
Steffani ed egli aveva sentito parlare di me. Capivo a quel tempo qualche
cosa di musica e di me aveva sentito dire che ‘mettendo fuori le sue larghe
mani e distendendo le lunghe dita poteva suonare molto bene l’organo’. Egli
mi ricevette con grande gentilezza e mi diede presto l’opportunità di
presentarmi alla principessa Sophie e al figlio dell’elettore, facendo loro
capire che io ero ciò che egli amava chiamare un virtuoso di musica. Egli mi
fece il favore di istruirmi su come dovevo condurmi e comportarmi durante la
mia permanenza ad Hannover, ed essendo chiamato lontano dalla città per
dedicarsi a questioni di interesse pubblico, egli mi mise a disposizione i
favori e le protezioni di cui egli stesso aveva goduto per una lunga serie
di anni».
Prima ancora dell’esecuzione all’organo nella
Basilica di San Giovanni, riportato nel suo Diario di Roma da
Francesco Valesio, l’appena nominato vescovo di Spiga invia in dono ad
Haendel una raccolta dei suoi famosissimi duetti, a testimonianza
dell’accordo e della stima tra i due musicisti, se è vero, come è vero, che
una copia manoscritta reca la firma autografa del giovane sassone, con luogo
e data: Roma 1706, copia oggi depositata al British Museum a Londra.
Certo
è che Haendel, accolto assai benevolmente dai cardinali di curia,
filo-francesi,
Benedetto Pamphilj e Pietro Ottoboni e dal marchese Francesco Maria Ruspoli,
nonchè dal cardinale filo-imperiale Carlo Colonna, compone tra l’inizio del
1707 e la fine dell’anno oltre a brevi composizioni in latino, una serie di
cantate, tra cui Donna che in ciel per celebrare e ringraziare la
Madre del Salvatore quale protettrice di Roma dalle continue rovine e dai
lutti arrecati dal terremoto, l’oratorio Il Trionfo del tempo e del
disinganno su libretto di Benedetto Pamphilj, e molte cantate da camera
per il marchese Ruspoli nella cui residenza di Vignanello passa il mese di
giugno del 1707.
3. Ma all’inizio dell’estate 1707, la
conquista di Napoli da parte degli imperiali semina sconcerto in Roma, turba
ed offende profondamente papa Albani che, oltre a trovarsi gli austriaci sul
confine meridionale dello Stato pontificio – in sostituzione dei più innocui
e fedeli feudatari spagnoli – , ha dovuto subire l’onta del passaggio delle
truppe del Daun sulle sue terre, con la minaccia, come si vedrà, di ben più
gravi conseguenze per la stessa indipendenza politica e religiosa di Roma e
della Chiesa.
I primi dieci anni del pontificato di
Clemente XI a partire dal 1700, anno dell’ascesa al soglio, sono a dir poco
molto difficili. Sul piano dei rapporti con i potentati politici europei, in
rotta di collisione dopo la morte proprio nell’anno 1700 di Carlo II di
Spagna con l’apertura della successione al trono di questo regno chiave per
i suoi domini in Europa e oltre Atlantico, l’Albani deve tener fede alla
volontà di Innocenzo XII Pignatelli. Questi infatti ha fatto appena in tempo
ad aprire le porte di San Pietro per l’Anno Santo morendo anch’egli il 28
settembre 1700, non prima però di avere avallato e sostenuto l’ascesa del
nipote di Luigi XIV, Filippo d’Angiò, al trono di Spagna con il nome di
Filippo V, fors’anche per l’indignazione suscitatagli dagli intrighi orditi
a Roma nel 1696 da Adam Martinitz, ambasciatore di Leopoldo I, che provoca
disordini popolari durante le processioni per la festa del Corpus Domini.
Il Martinitz sarà il primo viceré di Napoli
nel luglio 1707.
L’Albani cercherà di mantenere una certa
equidistanza tra i belligeranti fin dall’inizio della Guerra di Successione
spagnola, ma la decisione di Innocenzo XII peserà come un macigno nei
rapporti con Leopoldo I, morto il 5 Maggio 1705 e con il figlio Giuseppe I,
sia a riguardo della giurisdizione dei benefici ecclesiastici in Germania,
sia per la conservazione del dominio sui territori della Chiesa in Italia
allorchè le armate imperiali avranno il sopravvento nel Nord della penisola
e nella pianura padana sui Francesi, e al Sud sugli Spagnoli.
Anche quel ritorno alla austera e bella
semplicità del vivere naturale, vagheggiato dallo stesso Gian Francesco
Albani con la nascita dell’Accademia dell’Arcadia, alla quale il pontefice
viene ascritto con acclamazione nel 1695, non ancora papa, con il
nome di Alnano Melleo, viene come dissacrato a fronte delle catastrofi della
natura stessa con un susseguirsi quasi ininterrotto a Roma di alluvioni,
terremoti, cicloni ed ancora terremoti. Le esondazioni del Tevere si
succedono nel Natale 1701, nel dicembre 1702, e nel gennaio 1703 il ghetto
viene completamente sommerso. Sempre nel 1703, il 16 gennaio, una breve ma
violenta scossa di terremoto accresce paura ed angoscia a Roma, ma sono le
scosse telluriche del 2 febbraio a provocare i danni più gravi con il crollo
di tre archi del secondo anello del Colosseo –(le pietre cadute verranno
riutilizzate per costruire il porto di Ripetta sul Tevere) – e l’apertura di
profonde crepe nella Basilica di San Pietro, nei palazzi del Vaticano e del
Quirinale. L’architetto Carlo Fontana non fa a tempo a calcolare le spese
per le riparazioni nella vertiginosa somma di 700.000 scudi che nel marzo ed
aprile del 1703 nuove scosse di terremoto, seppure più leggere di quelle di
febbraio, colpiscono Roma, seguite subito dopo da un grande e devastante
ciclone. Il 24 maggio del 1703 nuove forti scosse telluriche provocano la
fuga quasi in massa dei Romani nelle campagne circostanti.
Le condizioni economiche di Roma non sono
certo più rassicuranti se Leopold von Ranke nella sua Storia dei Papi
(Firenze, Sansoni, 1965, tr. it. C. Cesa, intr. D. Cantimori, p. 877) può
osservare che «[…] le grandi case mercantili ottenevano una partecipazione
diretta alle pubbliche funzioni. Accanto al tesoriere c’era sempre una
compagnia finanziaria che incassava e sborsava il denaro: le casse dello
stato erano in realtà nelle mani dei mercanti. I quali erano anche
appaltatori delle entrate e tesorieri nelle provincie. Tanti uffici erano
messi in vendita; essi avevano i mezzi per assicurarsi anche quelli. […] La
corte acquistò via via una mentalità così mercantile che le promozioni
dipendevano assai più dal denaro che dal merito
». Riguardo ai costumi dell’amministrazione e della finanza della Chiesa
il Ranke riferisce l’importante giudizio del cardinale Vincenzo Grimani, uno
tra gli attori principali del conflitto tra Clemente XI e l’Impero,
schieratosi apertamente a favore degli Asburgo, così da divenirne a Roma il
plenipotenziario anche per promuovere un profondo mutamento giurisdizionale,
morale ed economico dello Stato della Chiesa: «[…] un mercante con la borsa
in mano finisce sempre col prevalere. La corte si riempie di mercenari che
tendono solo al guadagno, che si sentono uomini d’affari e non uomini di
stato, e che manifestano apertamente pensieri assai bassi».
Nonostante le complesse e difficili
condizioni in cui versano Roma e la Chiesa nel primo decennio del XVIII
secolo, l’appello del cardinale Annibale Albani, nipote del papa,
nell’inaugurare i Musei capitolini il 24 aprile del 1704, secondo la volontà
di Clemente XI, sostiene nella sua orazione la necessità di favorire l’arte
in tutte le sue manifestazioni e linguaggi soprattutto in tempi di guerra e
di calamità naturali.
Nelle poesie degli Arcadi che dopo l’orazione
inaugurale vengono recitate, il papa ordina che non s’introducano elogi al
nipote, proseguendo così la politica anti-nepotista del predecessore
Innocenzo XII, e confermando altresì che la fondazione dell’Accademia
dell’Arcadia corrisponde ad un vero e sincero stile morale di vita, a cui
si devono conformare, in particolare, i ceti benestanti ed altolocati.
A questa nuova temperie morale, culturale e
spirituale ispira i propri studi e gli scritti Gian Vincenzo Gravina, il
dotto giurista estensore delle Leges Arcadum, il quale, nel 1708,
mentre divengono sempre più incombenti le minacce di un’invasione di Roma da
parte delle truppe imperiali, fa pubblicare Della Ragion poetica,
quasi un pamphlet letterario nel quale rivendica come valore più attivo –
invece che quello contemplativo, ovvero di una natura da imitare, tipico
dell’Arcadia sotto la guida del gesuita Crescimbeni – il valore etico ed
educativo proveniente dai grandi esempi poetico-drammatici delle opere dei
tragici greci, Eschilo, Sofocle, Euripide, arrivando il Gravina ad includere
in questo quadro la prima rilevante rilettura e rivalutazione delle poesia e
della figura emblematica di Dante Alighieri, insieme alla riattualizzazione
premonitrice della teoria politica dei due Soli del De Monarchia,
mentre la crisi del pontificato di papa Albani in quel 1708 si fa sempre più
acuta. A questa prima teorizzazione della necessità di improntare la
creazione poetico-drammatica a criteri morali e verosimili, per suscitare e
promuovere così l’attivo e razionale intervento della maggior parte dei
credenti sulla realtà vissuta, il Gravina – come sappiamo – avrebbe
coerentemente fatto seguire nel 1711 la scissione dell’Accademia
dell’Arcadia, secondo il giurista istituzione ormai inadeguata nel ritenere
sufficiente e bastevole alle dure sfide politiche e sociali, recate anche
all’universale comune fede religiosa, la mera quasi meccanica corrispondenza
tra il ritorno ad un mitico vivere semplice e naturale e la realizzazione di
un agire e di comportamenti morali universali, corrispondenza tanto più
irraggiungibile quanto più essa viene predicata dalle classi privilegiate ad
edificazione e contenimento delle rivendicazioni e delle attese
indifferibili delle classi subalterne e degli umili.
Nel 1708 tra Clemente XI e l’imperatore
Giuseppe I attriti e dissidi si fanno sempre più forti, così da rendere
sempre più difficile la neutralità della Chiesa tra la Francia e la Lega
anglo-imperiale-prussiana, vanificando i tentativi di quanti a Roma, come lo
stesso Gravina, il principe Odescalchi, i cardinali Grimani, Carlo Colonna,
il duca Caetani e Mons. Kaunitz, plenipotenziario dell’imperatore, cercano
di evitare una crisi radicale con Vienna ed il rischio dai risultati
imprevedibili per le sorti di Roma e del papato.
In risposta alle lamentele presentate da
Clemente XI all’arciduca Carlo d’Asburgo, ovvero a Carlo III di Spagna e
all’imperatore Giuseppe I sia per l’occupazione di Comacchio e del
ferrarese, e di quella imminente di Bologna, aviti territori della Chiesa,
sia a causa delle pratiche di sermoni e pubbliche confessioni a cui i
mercenari protestanti al seguito delle truppe imperiali del Daun
sottopongono le popolazioni cattoliche, la risposta austriaca si fa
addirittura sprezzante, attraverso la pubblicazione di proposizioni anti
papali suggerite da un professore di teologia di Tubinga a sostegno delle
posizioni assunte dall’imperatore Giuseppe I:
1° Il Papa non può possedere alcuna signoria
temporale.
2° Le donazioni degli imperatori ai Papi non
concedono a costoro alcuna sovranità e possesso e verranno revocate qualora
il Papa si renda colpevole di grande ingratitudine.
3° L’imperatore è giudice supremo in tutti i
conflitti che riguardano il potere temporale del vescovo di Roma.
4° Il Concilio sta sopra il Papa e va
convocato dall’imperatore.
5° Alla Chiesa tedesca spettano gli stessi
diritti come a quella gallicana.
6° Il minacciare l’imperatore con la
scomunica, come aveva fatto Clemente XI, è un abusare dell’ufficio
ecclesiastico per scopi civili.
7° Il Papa non può far guerra.
4.
Queste proposizioni del teologo di Tubinga non sono affatto prive di
spiacevoli conseguenze per la Chiesa. Difatti, dopo la liberazione del
Nord-Ovest dell’Italia dai Francesi e dagli Spagnoli nel milanese, ora
l’Impero – proprio secondo le rivendicazioni giurisdizionali avanzate –
intende appropriarsi anche definitivamente di Parma e Piacenza, dopo
peraltro avere spodestato e fatto riparare il Gonzaga da Mantova esule in
Francia. Per realizzare tali obiettivi gli imperiali hanno l’arma di ricatto
dell’invasione anche di Bologna, la seconda città per importanza dello Stato
della Chiesa, dopo Roma, mentre minacciano da Nord e da Sud (Napoli) la
stessa capitale del cattolicesimo.
Clemente XI
dopo avere invano richiesto l’aiuto della Francia, esausta per le sconfitte
subite e l’approfondirsi inarrestabile della crisi economica e finanziaria,
limitatasi in quel 1708 ad inviargli l’ambasceria del maresciallo Tessè con
il consiglio di suscitare una Lega italiana anti-imperiale, cosa del tutto
impraticabile per la riaffermata neutralità di Venezia, Genova e Firenze e
l’alleanza dei Savoia e di Modena all’Impero, il papa gioca la carta
disperata di muovere guerra alle armate austriache attestate nel delta del
Po, nel tentativo di guadagnare tempo e rendere le trattative diplomatiche a
lui più favorevoli.
(il seguito alla terza parte)
Mario Valente
Roma, febbraio 2010 |