MARIO VALENTE
Il conte
Giacomo Durazzo, intellettuale cosmopolita o grand
commis de l’état?
La mostra Giacomo Durazzo/ Teatro
musicale e collezionismo tra Genova Parigi Vienna e
Venezia nel Palazzo
Reale di Genova dal 30 Giugno al 7 Ottobre 2012, e
il catalogo a cura di Luca Leoncini, Genova, SAGEP
editori, 2012, rappresentano un importante e forse
determinante contributo per conoscere l’opera
culturale, letteraria, musicale e politica, insieme
alle vicende della vita, di un protagonista del
secolo dei lumi.
Giacomo Durazzo nasce a Genova il 27
aprile 1717 e muore a Venezia a 77 anni il 15
ottobre 1794.
Nel Settecento, le figure e i profili
di intellettuali, artisti, filosofi, letterati come
Voltaire, De Sade, Diderot, Rousseau in Francia;
Metastasio, Casanova, Da Ponte, Baretti, i fratelli
Verri, forse anche Cagliostro, in Italia; John Gay,
William Hogarth, David Hume, in Inghilterra;
Gotthold Ephraim Lessing, Johann Gottfried Herder,
Johann Wolfgang Goethe, in Germania, hanno acquisito
la fama e il ruolo consolidati di interpreti e
maître à penser di tutta un’epoca.
La Mostra del 2012, svoltasi proprio
nell’illustre avito palazzo di famiglia, il Palazzo
Reale di Strada Balbi, sede di ben otto o nove dogi
di Genova appartenuti tutti ai Durazzo, rende tale
riconoscimento coram populo anche al conte
Giacomo, fratello del doge Marcello Durazzo,
ancorché gli storici del Settecento da tempo
conoscessero l’importanza del personaggio, sia sotto
il profilo squisitamente culturale ed artistico che
in quello diplomatico-politico.
Palazzo Reale in Via Balbi a Genova già proprietà
della famiglia Durazzo
I saggi assai accurati dei maggiori
esperti italiani della vita e dell’opera di Giacomo
Durazzo offerti da questo Catalogo, hanno
l’obiettivo di soddisfare in modo esaustivo le molte
domande che si presentano all’attenzione di chi
intenda conoscere a fondo l’apporto del conte
genovese alla storia politica e culturale del suo
tempo.
Come e perché egli volle trasferirsi
a Vienna, dopo la sfortunata belligeranza della
repubblica signorile a fianco della Francia e della
Spagna durante la Guerra di Successione austriaca,
come e per quali strade, dopo avere esercitato nella
capitale degli Asburgo la funzione di ambasciatore
per la sua patria, venne nominato
GeneralSpektakeldirektor, ovvero responsabile
assoluto degli spettacoli teatrali nella Vienna
della musica e del melodramma metastasiano, allora
imperante (come per il resto del secolo, del resto)?
Infine, perché alla metà circa degli
anni Sessanta del secolo, il conte Giacomo Durazzo,
già unitosi in matrimonio nel 1750 con una
avvenente ed importante rappresentante della
migliore nobiltà dell’impero asburgico, fu invitato
dall’imperatrice Maria Teresa a lasciare Vienna ed
inviato a Venezia come ambasciatore del Sacro Romano
Impero Germanico?
Ambito di Martin van Meytens il giovane, Ritratto
di Ernestine Ungnad von Waissenwolf, 1756, olio
su tela, 50x41cm, Schloss Steyregg, collezione
privata
Angela Valenti Durazzo, nel suo
saggio ricostruisce la figura e la vita della nobile
Ernestine Ungnad von Weissenwolf, unitasi in
matrimonio al conte Giacomo Durazzo a Vienna il 17
marzo 1750, e ne delinea i tratti caratteristici, in
qualche modo tipici, di un personaggio della storia
e del costume della sua epoca: la bellezza della
donna, la sua fedele infedeltà al conte genovese, la
sua profonda muliebre conoscenza di tutte le
espressioni delle arti, degli artisti e degli
intellettuali incontrati nel corso della vita a
Vienna e a Venezia, a fianco del marito Giacomo,
ovvero nel corso della “libertà” di concedersi le
amicizie amorose come ripicca, e non solo, nei
confronti del conte a seguito dell’infrazione ed
avventura amorosa di questi con la ballerina e
cantante Louise Joffroy Bodin, tutto viene narrato e
quindi fatto compiutamente conoscere al pubblico dei
nostri giorni, ai curiosi interessati al mondo a suo
modo meravigliosamente osée del secolo XVIII
prima della Rivoluzione Francese, e agli storici del
periodo.
Ciononostante, malgrado la puntuale
ricostruzione dei personaggi storici in tutte le
loro umane predilezioni, libertà e debolezze, è come
se invece che trovarci di fronte a personalità
dotate di un preciso ruolo pubblico e quindi di una
definita consapevolezza del giuoco a cui furono
invitati come protagonisti, il quadro che si ricava
dalla Mostra genovese del 2012 configura nella
persona del conte Giacomo Durazzo il profilo di
un’esistenza sottoposta ad un’implacabile processo
entropico, ovvero ad una inarrestabile ed
irreversibile perdita ed annullamento progressivo di
quell’energia e di amore per la vita, per l’arte e
la bellezza con cui aveva saputo conquistare
l’ammirazione degli imperatori Asburgo e di tutta la
loro corte fin dal suo arrivo a Vienna nel 1749,
così da unire al suo destino di nobile ed
intellettuale maudit la stessa bellissima
moglie, Ernestine Ungnad von Weissenwolf.
Il ruolo da protagonista della scena
culturale e politica settecentesca del conte Giacomo
Durazzo e il suo trasferimento a Vienna fu favorito
dall’amicizia contratta a Torino e a Parigi con il
principe Wenzel Anton Kaunitz-Rietberg, Cancelliere
degli Asburgo durante il regno di Maria Teresa e
Francesco Stefano di Lorena.
Sappiamo, infatti, che il conte
genovese a seguito dell’amicizia contratta con il
Kaunitz-Rietberg a Parigi venne scelto dal doge come
ambasciatore dell’antica e gloriosa repubblica
marinara a Vienna presso gli Asburgo.
Perché uno tra i personaggi più
potenti dell’Impero asburgico protesse Giacomo
Durazzo contribuendo alla sua ascesa sociale a
Vienna tanto da promuoverne addirittura il
matrimonio con Ernestine Ungnad von Weissenwolf,
figlia del Governatore dell’Alta Austria, nella
primavera del 1750, quando ormai il ruolo
diplomatico di Durazzo volgeva positivamente alla
conclusione, negli interessi della sua Genova e con
soddisfazione degli stessi imperatori viennesi?
A questa domanda si può rispondere
che, paradossalmente, l’alleanza di Genova con la
Francia ed altre grandi potenze europee contro gli
Asburgo nella Guerra di Successione austriaca spinge
il Kaunitz a sfruttare la condizione di inferiorità
della repubblica marinara e del suo diplomatico al
fine di entrare, con l’aiuto di Durazzo, nella
guardia dell’antica rivale, la Francia, con la quale
si preparano le condizioni di nuove inaudite intese
in funzione anti-prussiana.
A tale obiettivo può giovare anche la
considerazione di una ripresa dei tradizionali
prestiti/finanziamenti agli Asburgo provenienti da
Genova e, in particolare, a partire dal Seicento
proprio dalla famiglia dei dogi Durazzo. In cambio
del ripristino dei rapporti finanziari, dopo la
conclusione della Guerra di Successione austriaca,
verrà garantita alla Repubblica di Genova l’intoccabilità
delle sue antiche pertinenze in Monferrato e in
Lunigiana e, al tempo stesso, il pieno recupero
nell’orbita politica dell’Impero.
Questa serie complessa di motivazioni
– peraltro non esplicitate nel Catalogo della
Mostra, soprattutto in relazione ai prestiti
finanziari di Genova agli Asburgo – confortano la
scelta del Cancelliere a persuadere Maria Teresa nel
1752 ad assegnare al conte genovese il ruolo di
assistente e sostituto del principe Esthérazy nella
gestione dei pubblici teatri imperiali, il
Kärtnertortheater e il Burgtheater, esterni ai
teatri della Corte, ottenendo due anni dopo, nel
1754, la nomina in esclusiva di Durazzo a
GeneralSpektatelDirektor, ovvero di arbitro
assoluto della vita teatrale di Vienna.
Sarà in questa veste che Giacomo
Durazzo, già profondo conoscitore, come ospite del
Teatro del Falcone nel palazzo avito di Strada Balbi
a Genova, del melodramma italiano e delle opere di
Pietro Metastasio in particolare, intonate dai
maggiori musicisti di scuola napoletana e veneziana,
potrà compiere l’ambiziosa e temeraria operazione di
rinnovare il gusto dello spettacolo teatrale di
Vienna e degli Asburgo
sia come autore di
libretti ed ispiratore della scenografia, che come
riformatore dell’opera seria italiana, prendendo
come sorta di modello innovativo lo spettacolo
teatrale francese.
La chiave di volta per determinare la
profonda riforma dell’opera seria italiana,
conservandone peraltro la struttura
poetico-narrativa tipicamente metastasiana, sarà
quindi per Durazzo prima l’opéra francese da
cui accoglierà e diffonderà la versificazione
strofica più corta nei recitativi accompagnati,
quasi a portare rapidamente all’acmé i
dialoghi e gli svolgimenti drammatici dei personaggi
del teatro musicale, e, a seguire, subito dopo con
l’introduzione a Vienna dell’opéra-comique e
con l’inserimento in scena del ballo pantomimo,
grazie all’appoggio da Parigi di Charles Simon
Favart da cui si farà spedire i testi per le
rappresentazioni viennesi, dandone l’affidamento per
la messa in musica a Ch. Willibald Gluck.
Jean-Etienne Lyotard, Ritratto di Charles-Simon
Favart
Nel 1761, con Orfeo ed Euridice
(versi di Ranieri de’ Calzabigi e musica di Gluck),
i rapporti con l’opera seria francese anche e
soprattutto per una riforma dell’opera italiana (Metastasio)
si faranno sempre più stretti.
Il poeta Ranieri de’ Calzabigi fino a
tutti gli anni Cinquanta sincero entusiasta
estimatore del melodramma metastasiano tanto da
intrattenere non solo una fitta corrispondenza con
il Poeta Cesareo, ma addirittura curando l’edizione
delle Poesie a Parigi presso la veuve
Quillau nel 1755, con un’encomiastica sua lunga
introduzione, butta all’aria e rigetta completamente
l’amicizia e il sodalizio artistico-letterario con
Metastasio, con lo scoperto intento di associarsi al
compositore Gluck e al conte Durazzo nel rimuovere e
sostituire con il loro “melodramma riformato” il
Poeta Cesareo e la sua opera nel cuore dei Viennesi
e della famiglia Asburgo.
Viceversa, aumenteranno le avversioni
nei confronti di Giacomo Durazzo sia da parte del
Kapellmeister Georg Reutter, sia, molto più
pericolosamente per il genovese, da casa Asburgo
dove Maria Teresa, e il figlio, l’arciduca Giuseppe,
futuro imperatore, mostrano di non apprezzare
affatto le simpatie pressoché esclusivistiche per il
teatro musicale di Francia, nonostante la guerra dei
Sette anni, ancora in corso agli inizi degli anni
Sessanta, avesse ormai suggerito al Sacro Romano
Impero Germanico di accelerare il capovolgimento
delle alleanze con il riavvicinamento definitivo
alla Francia, in funzione anti-prussiana.
La corte viennese e gli stessi
imperatori Asburgo vedono infatti nel conte Durazzo
non già chi avrebbe potuto e, in certo modo, dovuto
promuovere, nel ruolo di arbitro della scena
teatrale e musicale a Vienna, l’opera seria in
lingua tedesca, quanto piuttosto il responsabile di
una vera e propria subalternità culturale, artistica
ed estetica al teatro musicale francese.
Il capitolo dei rapporti tra Durazzo
e Pietro Metastasio, Poeta Cesareo, riveste
un’importanza tutta particolare e determinante per
la stessa sorte del nobile intellettuale genovese.
Giovanni Steiner, Paolo Caronni - Ritratto di
Pietro Metastasio, incisione
Milano, Museo teatrale alla Scala, Biblioteca Livia
Simoni
Metastasio non ha suscitato nel cuore
dell’imperatore Carlo VI soltanto ed esclusivamente
affetto ed ammirazione per la perfetta macchina del
suo teatro musicale, quanto ancora di più per aver
rappresentato in questo i valori laici/virtù
universali come ispirazione e fondamento del Potere,
moderna attualizzata eredità del sistema politico
dell’impero romano.
Per questo fine cruciale, la
rappresentazione della giustizia, del perdono, della
magnanimità, dell’amore patrio, lo spazio deputato
per la poesia del teatro musicale del Poeta Cesareo
sarà sempre quello dei teatri interni alla Hofburg,
la cittadella degli Asburgo, ovvero a Schönbrunn e a
Laxenburg, la residenza di caccia di Carlo VI dove
Metastasio nella tarda primavera del 1730 venne
personalmente ricevuto dall’imperatore e nel
colloquio entrambi strinsero una intesa
estetico-politica che non sarebbe mai venuta meno né
si sarebbe mai incrinata, proseguita con Maria
Teresa anche dopo l’improvvisa morte di Carlo VI nel
1740.
Il piacere quindi derivante dalla
poesia del teatro musicale di Metastasio è
strettamente promosso e significato dalla narrazione
scenica di un Potere sovrano ed assoluto
giustificato non dall’arbitrio ma dall’universalità
dei valori, a cui si conformerà l’azione di governo
dell’imperatore Asburgo come regola invalicabile sia
per chi esercita tali poteri che per i destinatari,
gli individui e i popoli amministrati.
In questa alleanza par la poésie
et la musique tra la famiglia Asburgo e il
loro Poeta Cesareo, Giacomo Durazzo cerca di aprirsi
un corridoio, certamente non agevole né ampio, allo
scopo di coinvolgere il popolo viennese dei teatri
pubblici alla riforma dell’opera seria con un
rinnovata rappresentazione delle pulsioni affettive
e sentimentali percepite e suscitate mediante una
stretta aderenza tra poesia e musica.
Il patto tra Carlo VI e i suoi figli
con il loro Poeta Cesareo affinchè la scena teatrale
sia l’espressione e la comunicazione ai popoli
dell’Impero di un Politico ispirato e guidato dal
cogente esercizio della Giustizia e della
Magnanimità sarà definitivo ed irrevocabile per
tutto il Settecento fino alla Rivoluzione francese.
Invece, la finalità perseguita dal
conte Durazzo intende intercettare il senso e i
gusti del fantastico, delle emozioni e dei
sentimenti affettivi propri dei comuni individui, ed
è per questo che il modello di riferimento per il
GeneralSpektakelDirektor tende ad allontanarsi
sempre più da Vienna e da Metastasio, e ad
avvicinarsi progressivamente all’opéra
francese, fino a comprendere l’opéra-comique.
È come se lo spettacolo della vita
debba irrompere sulla scena e, dai teatri aperti a
tutto il pubblico viennese, il Kärtnertortheater e
il Burgtheater, superando le mura della Hofburg
faccia qui ritorno per essere offerto alla famiglia
imperiale, ed illustrare e quasi codificare il
piacere e la felicità del vivere come espressi e
coltivati a Parigi.
Il progetto del conte Giacomo Durazzo
fa di lui, pertanto, un tipico intellettuale
cosmopolita del secolo, anche se egli sa di giuocare
una partita in cui gli avversari – la famiglia
imperiale, i musicisti di corte e Metastasio, Poeta
Cesareo – sono in attesa che tutte le sue carte
siano scoperte sul tavolo per contrastare e
sconfiggere definitivamente il suo cosmopolitismo,
estraneo ed inviso all’etica politica di Vienna e
del Sacro Romano Impero Germanico.
Espresso mediante una sorta di
popolarità teatrale-musicale, il cosmopolitismo
dei Durazzo-Calzabigi-Gluck è rivolto a infrangere e
spezzare il legame solidamente costituitosi, intorno
all’opera di Metastasio, tra la rappresentazione del
giusto unico Potere laico degli Asburgo e le attese
di Buon Governo da parte dei Viennesi e degli altri
popoli dell’Impero.
L’intricata rete di rapporti tra
Giacomo Durazzo e il Poeta Cesareo, solidamente nel
cuore di Maria Teresa, già sua allieva da
granduchessa fino ad essere tentata a ricoprire
addirittura ruoli attoriali da imperatrice nella
festa teatrale L’asilo d’amore, si tinge di
giallo, cioè di un piccolo sgradevole complotto a
danno di Pietro Metastasio, allorché nel maggio del
1754 egli riceverà da Roma una lettera del marchese
Giovanni Patrizi, foriere maggiore di papa
Lambertini, Benedetto XIV. Il Patrizi si fa latore,
dicendo di scrivere a Metastasio a nome e per conto
del sommo pontefice, della richiesta che il Poeta
Cesareo torni per sempre nella città eterna per
illustrare con i suoi ormai famosissimi meriti
poetici la vita teatrale-musicale e culturale della
Roma del cattolicesimo universale.
Anche Leopoldo Trapassi, avvocato
residente a Roma, fratello di Pietro, è sollecitato
dal marchese Patrizi ad esercitare le più adeguate
pressioni, psicologiche e familiari per convincere
il Poeta Cesareo a tornare nella città natìa.
Dulcis in fundo, il foriere maggiore del Sommo
Pontefice, per i buoni uffici che Leopoldo porrà nel
fare tornare a Roma il famoso fratello, promette
riconoscimenti e compensi venali…a cose fatte!
Pietro Metastasio, nel pieno
dell’offensiva durazziana per dare vita a quella che
si configurerà di lì a poco come il tentativo di
riformare l’opera seria italiana, avverte
immediatamente nelle avances direttamente
indirizzategli dal Patrizi e indirettamente
riproposte attraverso il fratello Leopoldo, da quale
luogo sia nata la sorprendente iniziativa: non da
Roma né dal pontefice Benedetto XIV, bensì da Vienna
e quindi dai circoli della corte imperiale
interessati a ridurre fortemente l’egemonia a Vienna
del teatro musicale italiano, da una parte, e a
favorire dall’altra un più consistente legame con il
teatro francese e con la sua
opéra-comique,
in attesa che possa nascere l’opera seria in lingua
tedesca, sull’esempio, appunto, di quella francese.
L’operazione potrà e dovrà concludersi con lo
spontaneo abbandono di Vienna da parte del
protagonista del melodramma italiano, cui seguirà
certamente la perdita d’influenza e di egemonia nei
teatri e nelle corti europee dei suoi musicisti di
scuola napoletana e veneziana.
Il 6 maggio del 1754, Pietro
Metastasio invia al fratello Leopoldo a Roma la sua
risposta al marchese Patrizi che verrà consegnata
dallo stesso Leopoldo, non prima di aver spiegato a
questi, in una lettera a parte, come tenere a bada
gli autori della macchinazione senza peraltro
doversi scontrare con la loro malafede.
Nella lettera riservata a Leopoldo,
Pietro scrive:
[…] convien ch’io vi parli del
signor marchese Patrizi per cui vi mando l’annessa
risposta che, letta, suggellata e per mio consiglio
a vostro uso trascritta, consegnerete poi al
cavaliere insieme con un mondo di riverenze a mio
nome. Egli mi scrive una lunghissima lettera
ortatoria al viaggio di Roma, mi assicura benevola e
benefica la Santità Sua e, combinando le sue
espressioni co’ discorsi tenuti con esso voi, pare
che intenda di parlare di trasmigrazione totale, più
tosto che di visita passeggiera. La lettera ha
fisionomia d’essere stata dettata o almeno commessa;
e quando anche non fosse né l’uno né l’altro, la
prudenza esige di ricordarsi, rispondendo, che
potrebbe esserlo (nostra sottolineatura).
[…] Io, per dirvi il vero, son molto grato al
desiderio che costì si mostra di me; ma non intendo
come si pensi sulla facilità di trasportarmi. La
prima difficoltà è ch’io non sono capace di piantar
così senza motivo una padrona che mi ha sempre
beneficato e distinto; e quando su questo punto il
presente pontefice si accordasse con l’imperatrice,
di cui si trova amico e corrispondente, mi darebbe
egli l’equivalente di cinquemila annui fiorini in
circa, che godo dalla beneficenza augustissima? Il
Papa omnia potest, ma bisogna vedere si
omnia vult: ed io so come si pensa sul Quirinale.
È possibile che mi credano costì così poco onesto
e così gocciolone da lasciare senza ragione una tal
padrona ed un tal soldo sulle speranze delle
beneficenze d’un pontefice octogenario? S’egli
avesse veramente questa voglia, Papa omnia
potest, e senza taccia dell’onor mio e senza
danno di veruna fatta mi avrebbe, credo, a’ suoi
piedi. Ma la volontà non è efficace quando si
vuole appagare a spese altrui o non impiegare che la
discreditata moneta delle belle speranze: onde, caro
fratello, non correte al rumore.
Per concludere, infine, la sua
disincantata analisi della sorprendente proposta
ricevuta: fare i bagagli, abbandonare Vienna dopo
quasi un quarto di secolo di ininterrotti trionfi
del suo teatro musicale, e tornare a Roma per
sempre, senza nessuna concreta garanzia né morale né
economica, Pietro mette in guardia il fratello
riguardo alla forma e alla sostanza delle profferte
rivolte a Roma allo stesso Leopoldo dal marchese
Patrizi perché agisca opportunamente sul Poeta
Cesareo con il “ricatto” della ricomposizione degli
affetti familiari:
Come non vi siete irritato
all’ingiuriosa miseria de’ bassi canonicati che vi
han proposti? Si può pensar più deplorabilmente? […]
Bisogna essere un buon figlio come son io per non
risentirsi contro una madre che mi offende più
quando si ricorda di me che quando se ne dimentica.
I rapporti diretti di Metastasio con
il conte Durazzo si sviluppano tra il 1753 e il
1755, prima dell’invito del marchese Patrizi, e
l’anno successivo al gentile rifiuto opposto a
quest’ultimo a trasferirsi a Roma.
Metastasio sia nel 1753, a seguito
della preghiera di Francesco Stefano di Lorena di
assecondare e assistere il direttore dei pubblici
Teatri imperiali nella preparazione dei suoi
spettacoli, sia nel 1755, limita le sue osservazioni
entro la misura di un giudizio strettamente
tecnico-artistico, dal quale comunque affiorano e
traspaiono elementi di un sostanziale disaccordo
poetico-estetico rispetto alle impostazioni
estetico-artistiche del Durazzo.
Nella lettera ad Antonio Tolomeo
Trivulzio del 2 agosto 1753, Metastasio scrive:
L’augustissimo padrone
[Francesco Stefano di Lorena, n.d.r.]
mi ha fatto dire «che vedrebbe
volentieri ch’io assistessi di consiglio i cavalieri
direttori d’un opera ch’egli ha ordinata per il
giorno di Santa Teresa». Sicchè dipenderà la mia
mossa e lo spazio dell’assenza mia dal bisogno che
il signor marchese Durazzo crederà aver di me, per
sua modestia. Si sa già la compagnia, ma la meta non
è qui affatto conosciuta, e v’è gente che mette in
problema se sia migliore la condizione di questa o
dell’altra meta.
Ed ancora nella lettera al fratello
Leopoldo del 7 luglio 1755, Metastasio esprime dubbi
ed un olimpico disaccordo riguardo allo spettacolo
messo in scena dal Durazzo con il parziale impiego
di suoi versi nelle arie:
Si è rappresentata in musica nel
teatro imperiale di Laxenburg due settimane sono, e
ieri nel pubblico teatro di questa città, una festa
teatrale intitolata Le
cacciatrici amanti, scritta da un (n.d.r.)
conte Durazzo genovese, che ha qui la superior
direzione degli spettacoli. La versificazione è
sufficientemente facile, e adattata alla musica,
onde il componimento sarebbe assai ragionevole, se
lo scrittore si fosse proposto qualche cosa da
rappresentare. Nulla di meno la mancanza di soggetto
si nasconde tanto quanto nella frequenza delle arie,
nella leggiadria de’ balli e nella magnificenza
d’una macchina felicemente eseguita. Non è oziosa
questa relazione. Altre volte vi ho veduto dubitare
se dovevate trattare da parenti alcune composizioni
sparse costì per mie figliuole; onde prevengo
l’abbaglio che potreste per avventura prendere in
questa, nella quale non ho altra parte che l’avere
raffazzonato qualche verso scarmigliato.
Migliore sorte riguardo ad intese pur
sempre precarie tra il conte genovese e il Poeta
Cesareo toccherà alla festa teatrale L’innocenza
giustificata nel dicembre 1755, rappresentata al
Burgtheater messa in musica da Gluck con arie di
Metastasio e recitativi composti dallo stesso
Durazzo.
Anche la rappresentazione dell’Armida,
melodramma messo in versi da Giovanni Migliavacca su
un testo letterario del conte Durazzo, con la musica
di Tommaso Traetta, convocato a Vienna da Parma da
parte del GeneralSpektatelDirektor, andato in
scena al Burgtheater nel gennaio 1761, rafforzò al
tempo stesso il tentativo di fusione tra l’opera
seria italiana e quella francese e, in qualche modo,
migliorò anche le relazioni con Metastasio, poiché
il Migliavacca aveva un vero e proprio rapporto di
discepolanza con il Cesareo, riconfermato nella
stessa elaborazione del libretto dell’Armida
rivisto ed approvato prima della rappresentazione
dallo stesso Metastasio.
Ma quando nel 1762, dopo la prima a
Parigi di Orfeo ed Euridice nel 1761, venne
rappresentato il melodramma di Ranieri de’ Calzabigi
intonato da Ch. Willibald Gluck, al conte Durazzo si
appalesò finalmente l’opportunità che l’opera seria
tradizionale a Vienna di stampo metastasiano avesse
trovato una compiuta alternativa, anche con
l’introduzione sulla scena durante l’azione
drammatica del ballo pantomimico, con la guida prima
del maestro di ballo imperiale, Franz Hilverding,
cui seguirà quella del famoso Gasparo Angiolini.
Unitamente alla sempre più decisa
ansia di rinnovamento dello spettacolo teatrale
musicale con l’opera buffa italiana - l’allestimento
del Finto pazzo di Niccolò Piccinni,
anch’egli importato da Parigi – alla
rappresentazione nel 1764 del gluckiano Les
pélerins de la Mecque seguì da parte del conte
Durazzo la sua missione a Parigi per mettere sotto
contratto Carlo Goldoni e portarlo così a Vienna;
Goldoni rifiutò l’invito per coerenza morale ed
intellettuale. Pochi anni prima, infatti, il
commediografo veneziano aveva chiesto a Metastasio
di potergli dedicare l’edizione a stampa delle sue
commedie in francese.
Mentre Giacomo Durazzo era a Parigi,
approfittando dell’assenza a Vienna di Giuseppe
chiamato a Francoforte per essere nominato e
celebrato come Re dei Romani, Maria Teresa e il
figlio Giuseppe decisero che la misura del
comportamento trasgressivo del conte era ormai
colma: lo sbilanciamento dello spettacolo musicale a
favore di un’egemonia del teatro in lingua francese
a Vienna era per entrambi gli Asburgo inaccettabile,
e al ritorno da Parigi lo convocarono a corte e ne
chiesero ed ottennero le dimissioni dalla carica
fino ad allora ricoperta di Direttore degli
Spettacoli imperiali.
La terza ed ultima fase della
carriera di Giacomo Durazzo si sarebbe quindi
conclusa – grazie sempre all’onnipresente
interessato favore del Kaunitz – con il ritorno alla
funzione di diplomatico.
Il conte, peraltro, perdeva per
sempre il connotato originario del suo arrivo a
Vienna come ambasciatore della sua Genova e, per
incarico dell’imperatrice Maria Teresa Asburgo che
non l’aveva mai amato, considerandolo invero un
intrigante e che pertanto non lo voleva più a
Vienna, egli era mandato a Venezia divenendo
ambasciatore delle Loro Maestà, ruolo che il conte
avrebbe ricoperto fino al 1784.
Christian Vinazer, Busto di Pietro Metastasio,
metà del secolo XVIII, marmo scolpito 36cm, Genova,
Museo di Palazzo Reale
Qui a Venezia Giacomo Durazzo avrebbe
ricevuto due lettere di Pietro Metastasio, in
risposta ai suoi tentativi epistolari di
ristabilire, attraverso il Cesareo, relazioni con
Vienna e la corte che avrebbero potuto tornargli
utili.
La prima risposta di Metastasio al
conte, da Vienna il 6 novembre 1776, è la
testimonianza di una olimpica benevolenza del Poeta
Cesareo verso il conte, dopo il decennio 1754-1764
pieno di aperte e sotterranee discordie e tensioni,
“pacificazione” da interpretare in realtà più
correttamente come relazione di non belligeranza tra
personaggi entrambi capaci di leggere il grande
libro del mondo, non più obbligati a contendersi il
medesimo campo d’azione, e ormai lontani l’uno
dall’altro, anche se tutti e due, in forma e ruoli
ben diversi, al servizio dell’Impero degli Asburgo:
Se io non fossi già a mille prove
da lungo tempo convinto delle benevole disposizioni
del generoso animo di Vostra Eccellenza a mio
riguardo, non mi permetterebbe ora di travederle
l’efficacia che hanno avuto a metterle in attività
un sol ritratto e pochi miei versi, sino a
procurarmi ne’ venerati suoi caratteri una
invidiabile confermazione della sua da me tanto
ambita quanto poco meritata parzialità. […]
Il giovane compositore signor
Schuster, portatore dell’umanissimo foglio di Vostra
Eccellenza, è stato due volte a favorirmi, e per
quello ch’egli già è, non meno per quello che
promette di divenire, parmi degno della protezione
di cui Vostra Eccellenza l’onora; ed io mi auguro
facoltà di utilmente assecondarla.
È soprattutto questa considerazione
di Metastasio, nel finale della lettera in risposta
a Giacomo Durazzo, a rilevare come le iniziative del
conte riguardo alla scoperta di nuovi talenti nella
composizione musicale, dopo i “durazziani” Gluck,
Gassmann, Traetta, Piccinni, si proponessero di
ricordare a Vienna pur sempre, anche dopo la
sconfitta del progetto originario, che altri giovani
musicisti emergenti chiedevano la sua protezione.
Da
Venezia, nel suo forzato esilio, il conte Durazzo
intendeva forse dimostrare al Poeta Cesareo che pur
sempre la riforma dell’opera seria italiana, in
salsa francese, gli apparteneva ed era riuscita?
Egli poteva perciò permettersi di inviare a Vienna
dal Poeta Cesareo il giovane musicista tedesco
Joseph Schuster di Dresda, tra gli interpreti più
interessanti del nuovo gusto musicale e delle
rinnovate forme espressive, via via affermatisi
grazie alla sua riforma.
Un altro illustre musicista di
Dresda, gloria del secolo, ma di scuola napoletana,
e tra i compositori più amati da Pietro Metastasio,
Johann Adolph Hasse era presente a Venezia,
trasferitosi con la moglie la famosa soprano
Faustina Bordoni dal 1773. Qui Hasse concluderà la
sua esistenza nel dicembre del 1783. Ma di Hasse,
Giacomo Durazzo non si interesserà mai, neppure allo
scopo di ingraziarsi il Poeta Cesareo nelle poche
lettere scambiate, come a preferire allo Hasse il
ben più giovane musicista Joseph Schuster, autore
delle musiche dei drammi di Metastasio come
Didone abbandonata e Demofoonte, e,
proprio nel 1776, dell’oratorio La passione di
Gesù Cristo.
Paradossalmente, la riforma
dell’opera seria nella Vienna asburgica da Carlo VI
a Maria Teresa a Leopoldo II così come ad essa
dedicarono tutte le loro energie in primis il
conte Giacomo Durazzo e i suoi artisti da Ranieri
de’ Calzabigi a Ch. W. Gluck, da Marco Coltellini a
Tommaso Traetta, da Charles-Simon Favart a Gasparo
Angiolini, non influì minimamente sull’ethos
viennese – così come era negli obiettivi del conte
genovese – né dei sudditi degli Asburgo e neppure
sulla corte imperiale.
Al
di là, infatti, della diffusione dell’opera buffa,
dell’apporto all’opera seria di librettisti e poeti
accreditati a corte, dal Coltellini a Ranieri de’
Calzabigi al Casti – non certo con il rango di Poeta
Cesareo, ruolo istituzionalmente attribuito soltanto
a Pietro Metastasio e, prima di lui, con molto
minore successo, durata temporale e rilevanza
culturale ad Apostolo Zeno – il contributo ai
mutamenti della vita sociale e politica per un
passaggio indolore d’epoca e quindi ad una alleanza
tra il sistema feudale dell’ancien régime e
la borghesia, così come evocata da una nuova
rappresentazione della vita e dei sentimenti della
gente comune, fu travolto dalla Rivoluzione
Francese, cioè proprio nel paese simbolo e culla
dell’Illuminismo e della nuova temperie
storico-politica al quale si era ispirato il conte
Durazzo, mentre a Vienna, invece, gli imperatori del
Sacro Romano Impero Germanico aumentavano le
iniziative riformistiche proprie del loro Dispotismo
illuminato, già intraprese da Maria Teresa,
assumendo la guida della massoneria e delle logge
alle quali prendevano parte sia la nobiltà che la
borghesia coinvolta negli affari di stato in
particolare durante lo spericolato esercizio del
potere di Giuseppe II.
In questo contesto, l’ultimo scambio
epistolare tra Giacomo Durazzo e Pietro Metastasio –
siamo nel febbraio del 1781 – rivela il tentativo
del conte genovese di sondare il Poeta Cesareo a
seguito della mutata situazione politica a Vienna
dopo la morte di Maria Teresa il 9 novembre 1780 e
il pieno controllo del potere imperiale da parte di
Giuseppe, al fine, forse, di un suo possibile ed
ipotetico rientro a corte. Come per la precedente
lettera di Giacomo Durazzo al Poeta Cesareo del
novembre 1776 recata a mano dal musicista Joseph
Schuster, anche questa viene recapitata a Vienna da
un protetto del conte, Antonio Armato, come se l’ex
GeneralSpektakelDirektor intenda premunirsi
nei riguardi dei controlli sulla posta privata da
parte della polizia imperiale. La risposta di
Metastasio non consente alcun altra apertura di
credito nei confronti del conte genovese all’infuori
della stretta osservanza di rispetto riguardo alla
sua richiesta di raccomandazione, dovuta
all’ambasciatore a Venezia dell’impero asburgico:
Nei primi accessi della mia
costernazione per la fatale irreparabil perdita da
noi fatta [Metastasio si
riferisce alla morte dell’imperatrice Maria Teresa
avvenuta il 9 novembre 1780, n.d.r.] mi fu recato
dal signor Antonio Armato il veneratissimo foglio di
Vostra Eccellenza con l’esposizione dei distinti
meriti del portatore e de’ comandi di Vostra
Eccellenza perché qui se gli presti la necessaria
assistenza, aprendogli le vie d’impiegar con
facilità le sue lodevoli applicazioni. A dispetto
del lagrimevole stato dell’animo mio, non trascurai
di parlarne subito al signor Consigliere Martines, e
lo trovai già informato vantaggiosamente del
soggetto ed impaziente di servirlo. Ma il giovane
raccomandato, qualunque ne sia la cagione, non è
sino al presente giorno mai capitato nell’imperial
Biblioteca, né più tornato in casa mia: onde io
perfettamente ignoro se egli sia ancora in Vienna.
Giovanni David, Ritratto del Conte Giacomo
Durazzo a Venezia, 1784
La lettera di Metastasio al conte
Durazzo sarebbe stato il vero e proprio commiato non
solo dalle controverse vicende teatrali musicali tra
i due personaggi ma per il Poeta Cesareo anche dalla
sua esistenza terrena conclusasi l’anno dopo, il 12
aprile del 1782, mentre era in corso la visita a
Vienna di Giovannangelo Braschi, papa Pio VI per
porre un freno e un limite alle pretese
giurisdizionaliste di Giuseppe II sulle proprietà
della Chiesa nel Sacro Romano Impero Germanico.
La parabola esistenziale di Giacomo
Durazzo sarebbe durata invece sino ad assistere da
Venezia all’inizio della Rivoluzione Francese, alla
messa a morte di Luigi XVI e di Maria Antonietta
d’Asburgo sino alla crisi del radicalismo giacobino
di Robespierre. Il conte genovese moriva il 15
ottobre del 1794 nella città lagunare, esattamente
tre anni prima che Venezia perdesse definitivamente
la sua sovranità politica, ceduta da Napoleone
Bonaparte all’Impero degli Asburgo in cambio del
riconoscimento e del passaggio della Repubblica
Cisalpina sotto la sfera di influenza della Francia.
CONCLUSIONI
La figura del conte Giacomo Durazzo
corrisponde quasi perfettamente a quella
dell’intellettuale cosmopolita con in più, a favore
del suo profilo, la funzione politica che ne farà
prima un plenipotenziario della Repubblica di Genova
Vienna, poi l’ambasciatore a Venezia del Sacro
Romano Impero Germanico. In questo percorso, Giacomo
Durazzo appartiene per intero alla temperie propria
dell’Ancien Régime, della quale non
sembra avvertire il sopraggiungere della crisi e il
capovolgimento dell’intero sistema politico e
sociale.
Per contro, Pietro Metastasio, il
Poeta Cesareo degli Asburgo dal 1730 alla sua
scomparsa dalla scena nel 1782, tenutosi volutamente
e consapevolmente ai margini della vita politica
viennese combatte in tutta la sua esistenza per
l’affermazione di una centralità del potere fondato
su valori universali, e ne comunica l’autonomia
etico-politica attraverso l’intera produzione della
sua poesia destinata al teatro musicale. Quando però
si accorge che al posto dell’esclusiva
responsabilità del potere monarchico/imperiale e dei
suoi obblighi di buon governo nei confronti dei
popoli e degli individui, la politica degli Asburgo
tende, negli ultimi decenni del Settecento, a
suddividere i suoi oneri e doveri con la borghesia
nascente degli affari e a delegare a questa parti
importanti del suo Potere, Metastasio comprende che
un mondo intero sta completando e finendo il suo
tempo.
Le lettere di Metastasio al
monsignore Agostino Gervasi, teologo a Vienna dal
1763 al 1768, rivelano il manifestarsi di un
individualismo possessivo che ormai pervade ogni
aspetto e ogni classe nella vita sociale dell’impero
asburgico.
In particolare, il Poeta Cesareo
nella lettera del 15 maggio 1775 al Gervasi tornato
in Italia e nominato vescovo prima a Gallipoli, poi
a Melfi e quindi prefetto degli studi a Napoli sotto
Ferdinando IV di Borbone, segnala l’inarrestabile
diffusione del pensiero roussoviano e di Carlo
Antonio Pilati, seguace dell’autore de Il
contratto sociale, come prodromi e suggestioni
teoriche che avviano la crisi dell’ancien régime:
Voi deplorate a gran ragione la
sfrenata regnante licenza nelle massime e nei
costumi: questo è il frutto, monsignore
riveritissimo, della moderna velenosa ma seduttrice
dottrina che pretende di render felice l’umana
società sciogliendola da tutti i più sacri e più
solidi legami che la formano e la mantengono. È vero
che non può eternamente sussistere questo universale
stravagante deliro, e che gl’insopportabili
inconvenienti ne’ quali si andrà necessariamente
urtando di giorno in giorno obbligheranno i sedotti
or nell’una or nell’altra cosa malgrado loro a
correggersi. Ma la cura è lunga, e le molte
Olimpiadi ch’io mi sento gravitar sulle spalle non
mi permettono di trovarmi alla resipiscenza.
Ma è nella lettera di Metastasio ad
Agostino Gervasi del 30 gennaio 1782, pochi mesi
prima della morte del Poeta Cesareo nell’aprile
dello stesso anno, che si coglie la lucida diagnosi
della forma politica in cui la libertà di intrapresa
per render felice l’umana società avrà sbocco
e compimento definitivo, ovvero la riforma promossa
da Giuseppe II della proprietà fondiaria ed
immobiliare della Chiesa trasferita ope legis
et imperatoris auctoritate dalle mani di Roma
cattolica in quelle delle classi popolari e borghesi
dell’impero:
La facilità con la quale
s’intraprende la riforma dei stabiliti dalla pratica
antichissimi sistemi, prova che non se ne conosce la
difficoltà, e dee per necessità urtarsi in iscogli
non preveduti ed insuperabili, e si abbatterà
l’asilo dove da tanto tempo si abita, senza avere
stabilito dove rifugiarsi.
(segue)
Roma, giugno
2015
Mario Valente