MARIO VALENTE

Il conte Giacomo Durazzo, intellettuale cosmopolita o grand commis de l’état?

La mostra Giacomo Durazzo/ Teatro musicale e collezionismo tra Genova Parigi Vienna e Venezia nel Palazzo Reale di Genova dal 30 Giugno al 7 Ottobre 2012, e il catalogo a cura di Luca Leoncini, Genova, SAGEP editori, 2012, rappresentano un importante e forse determinante contributo per conoscere l’opera culturale, letteraria, musicale e politica, insieme alle vicende della vita, di un protagonista del secolo dei lumi.

Giacomo Durazzo nasce a Genova il 27 aprile 1717 e muore a Venezia a 77 anni il 15 ottobre 1794.

Nel Settecento, le figure e i profili di intellettuali, artisti, filosofi, letterati come Voltaire, De Sade, Diderot, Rousseau in Francia; Metastasio, Casanova, Da Ponte, Baretti, i fratelli Verri, forse anche Cagliostro, in Italia; John Gay, William Hogarth, David Hume, in Inghilterra; Gotthold Ephraim Lessing, Johann Gottfried Herder, Johann Wolfgang Goethe, in Germania, hanno acquisito la fama e il ruolo consolidati di interpreti e maître à penser di tutta un’epoca.

La Mostra del 2012, svoltasi proprio nell’illustre avito palazzo di famiglia, il Palazzo Reale di Strada Balbi, sede di ben otto o nove dogi di Genova appartenuti tutti ai Durazzo, rende tale riconoscimento coram populo anche al conte Giacomo, fratello del doge Marcello Durazzo, ancorché gli storici del Settecento da tempo conoscessero l’importanza del personaggio, sia sotto il profilo squisitamente culturale ed artistico che in quello diplomatico-politico.

Palazzo Reale in Via Balbi a Genova già proprietà della famiglia Durazzo

I saggi assai accurati dei maggiori esperti italiani della vita e dell’opera di Giacomo Durazzo offerti da questo Catalogo, hanno l’obiettivo di soddisfare in modo esaustivo le molte domande che si presentano all’attenzione di chi intenda conoscere a fondo l’apporto del conte genovese alla storia politica e culturale del suo tempo.

Come e perché egli volle trasferirsi a Vienna, dopo la sfortunata belligeranza della repubblica signorile a fianco della Francia e della Spagna durante la Guerra di Successione austriaca, come e per quali strade, dopo avere esercitato nella capitale degli Asburgo la funzione di ambasciatore per la sua patria, venne nominato GeneralSpektakeldirektor, ovvero responsabile assoluto degli spettacoli teatrali nella Vienna della musica e del melodramma metastasiano, allora imperante (come per il resto del secolo, del resto)?

Infine, perché alla metà circa degli anni Sessanta del secolo, il conte Giacomo Durazzo, già  unitosi in matrimonio nel 1750 con una avvenente ed importante rappresentante  della migliore nobiltà dell’impero asburgico, fu invitato dall’imperatrice Maria Teresa a lasciare Vienna ed inviato a Venezia come ambasciatore del Sacro Romano Impero Germanico?

Ambito di Martin van Meytens il giovane, Ritratto di Ernestine Ungnad von Waissenwolf, 1756, olio su tela, 50x41cm, Schloss Steyregg, collezione privata

Angela Valenti Durazzo, nel suo saggio ricostruisce la figura e la vita della nobile Ernestine Ungnad von Weissenwolf, unitasi in matrimonio al conte Giacomo Durazzo a  Vienna il 17 marzo 1750, e ne delinea i tratti caratteristici, in qualche modo tipici, di un personaggio della storia e del costume della sua epoca: la bellezza della donna, la sua fedele infedeltà al conte genovese, la sua profonda muliebre conoscenza di tutte le espressioni delle arti, degli artisti e degli intellettuali incontrati nel corso della vita a Vienna e a Venezia, a fianco del marito Giacomo, ovvero nel corso della “libertà” di concedersi le amicizie amorose come ripicca, e non solo, nei confronti del conte a seguito dell’infrazione ed avventura amorosa di questi con la ballerina e cantante Louise Joffroy Bodin, tutto viene narrato e quindi fatto compiutamente conoscere al pubblico dei nostri giorni, ai curiosi interessati al mondo a suo modo meravigliosamente osée del secolo XVIII prima della Rivoluzione Francese, e agli storici del periodo.

Ciononostante, malgrado la puntuale ricostruzione dei personaggi storici in tutte le loro umane predilezioni, libertà e debolezze, è come se invece che trovarci di fronte a personalità dotate di un preciso ruolo pubblico e quindi di una definita consapevolezza del giuoco a cui furono invitati come protagonisti, il quadro che si ricava dalla Mostra genovese del 2012 configura nella persona del conte Giacomo Durazzo il profilo di un’esistenza sottoposta ad un’implacabile processo entropico, ovvero ad una inarrestabile ed irreversibile perdita ed annullamento progressivo di quell’energia e di amore per la vita, per l’arte e la bellezza con cui aveva saputo conquistare l’ammirazione degli imperatori Asburgo e di tutta la loro corte fin dal suo arrivo a Vienna nel 1749, così da unire al suo destino di nobile ed intellettuale maudit la stessa bellissima moglie, Ernestine Ungnad von Weissenwolf.

Il ruolo da protagonista della scena culturale e politica settecentesca del conte Giacomo Durazzo e il suo trasferimento a Vienna fu favorito dall’amicizia contratta a Torino e a Parigi con il principe Wenzel Anton Kaunitz-Rietberg, Cancelliere degli Asburgo durante il regno di Maria Teresa e Francesco Stefano di Lorena.

Sappiamo, infatti, che il conte genovese a seguito dell’amicizia contratta con il Kaunitz-Rietberg a Parigi venne scelto dal doge come ambasciatore dell’antica e gloriosa repubblica marinara a Vienna presso gli Asburgo.

Perché uno tra i personaggi più potenti dell’Impero asburgico protesse Giacomo Durazzo contribuendo alla sua ascesa sociale a Vienna tanto da promuoverne addirittura  il matrimonio con Ernestine Ungnad von Weissenwolf, figlia del Governatore dell’Alta Austria, nella primavera del 1750, quando ormai il ruolo diplomatico di Durazzo volgeva positivamente alla conclusione, negli interessi della sua Genova e con soddisfazione degli stessi imperatori viennesi?

A questa domanda si può  rispondere che, paradossalmente, l’alleanza di Genova con la Francia ed altre grandi potenze europee contro gli Asburgo nella Guerra di Successione austriaca spinge il Kaunitz a sfruttare la condizione di inferiorità della repubblica marinara e del suo diplomatico al fine di entrare, con l’aiuto di Durazzo, nella guardia dell’antica rivale, la Francia, con la quale si preparano le condizioni di nuove inaudite intese in funzione anti-prussiana.

A tale obiettivo può giovare anche la considerazione di una ripresa dei tradizionali prestiti/finanziamenti agli Asburgo provenienti da Genova e, in particolare, a partire dal Seicento proprio dalla famiglia dei dogi Durazzo. In cambio del ripristino dei rapporti finanziari, dopo la conclusione della Guerra di Successione austriaca, verrà garantita alla Repubblica di Genova l’intoccabilità delle sue antiche pertinenze in Monferrato e in Lunigiana e, al tempo stesso, il pieno recupero nell’orbita politica dell’Impero.

Questa serie complessa di motivazioni – peraltro non esplicitate nel Catalogo della Mostra, soprattutto in relazione ai prestiti finanziari di Genova agli Asburgo – confortano la scelta del Cancelliere a persuadere Maria Teresa nel 1752 ad assegnare al conte genovese il ruolo di assistente e sostituto del principe Esthérazy nella gestione dei pubblici teatri imperiali, il Kärtnertortheater e il Burgtheater,  esterni ai teatri della Corte, ottenendo due anni dopo, nel 1754, la nomina in esclusiva di Durazzo a GeneralSpektatelDirektor, ovvero di arbitro assoluto della vita teatrale di Vienna.

Sarà in questa veste che Giacomo Durazzo, già profondo conoscitore, come ospite del Teatro del Falcone nel palazzo avito di Strada Balbi a Genova, del melodramma italiano e delle opere di Pietro Metastasio in particolare, intonate dai maggiori musicisti di scuola napoletana e veneziana, potrà compiere l’ambiziosa e temeraria operazione di rinnovare il gusto dello spettacolo teatrale di Vienna e degli Asburgo sia come autore di libretti ed ispiratore della scenografia, che come riformatore dell’opera seria italiana, prendendo come sorta di modello innovativo lo spettacolo teatrale francese.

La chiave di volta per determinare la profonda riforma dell’opera seria italiana, conservandone peraltro la struttura poetico-narrativa tipicamente metastasiana, sarà quindi per Durazzo prima l’opéra francese da cui accoglierà e diffonderà la versificazione strofica più corta nei recitativi accompagnati, quasi a portare rapidamente all’acmé i dialoghi e gli svolgimenti drammatici dei personaggi del teatro musicale, e, a seguire, subito dopo con l’introduzione a Vienna dell’opéra-comique e con l’inserimento in scena del ballo pantomimo, grazie all’appoggio da Parigi di Charles Simon Favart da cui si farà spedire i testi per le rappresentazioni viennesi, dandone l’affidamento per la messa in musica a Ch. Willibald Gluck.

Jean-Etienne Lyotard, Ritratto di Charles-Simon Favart

Nel 1761, con Orfeo ed Euridice (versi di Ranieri de’ Calzabigi e musica di Gluck), i rapporti con l’opera seria francese anche e soprattutto per una riforma dell’opera italiana (Metastasio) si faranno sempre più stretti.

Il poeta Ranieri de’ Calzabigi fino a tutti gli anni Cinquanta sincero entusiasta estimatore del melodramma metastasiano tanto da intrattenere non solo una fitta corrispondenza con il Poeta Cesareo, ma addirittura curando l’edizione delle Poesie a Parigi presso la veuve Quillau nel 1755, con un’encomiastica sua lunga introduzione, butta all’aria e rigetta completamente l’amicizia e il sodalizio artistico-letterario con Metastasio, con lo scoperto intento di associarsi al compositore Gluck e al conte Durazzo nel rimuovere e sostituire con il loro “melodramma riformato” il Poeta Cesareo e la sua opera nel cuore dei Viennesi e della famiglia Asburgo.

Viceversa, aumenteranno le avversioni nei confronti di Giacomo Durazzo sia da parte del Kapellmeister Georg Reutter, sia, molto più pericolosamente per il genovese, da casa Asburgo dove Maria Teresa, e il figlio, l’arciduca Giuseppe, futuro imperatore, mostrano di non apprezzare affatto le simpatie pressoché esclusivistiche per il teatro musicale di Francia, nonostante la guerra dei Sette anni, ancora in corso agli inizi degli anni Sessanta, avesse ormai suggerito al Sacro Romano Impero Germanico di accelerare il capovolgimento delle alleanze con il riavvicinamento definitivo alla Francia, in funzione anti-prussiana.

La corte viennese e gli stessi imperatori Asburgo vedono infatti nel conte Durazzo non già chi avrebbe potuto e, in certo modo, dovuto promuovere, nel ruolo di arbitro della scena teatrale e musicale a Vienna, l’opera seria in lingua tedesca, quanto piuttosto il responsabile di una vera e propria subalternità culturale, artistica ed estetica al teatro musicale francese.

Il capitolo dei rapporti tra Durazzo e Pietro Metastasio, Poeta Cesareo, riveste un’importanza tutta particolare e determinante per la stessa sorte del nobile intellettuale genovese.

Giovanni Steiner, Paolo Caronni - Ritratto di Pietro Metastasio, incisione
Milano, Museo teatrale alla Scala, Biblioteca Livia Simoni

Metastasio non ha suscitato nel cuore dell’imperatore Carlo VI soltanto ed esclusivamente affetto ed ammirazione per la perfetta macchina del suo teatro musicale, quanto ancora di più per aver  rappresentato in questo i valori laici/virtù universali come ispirazione e fondamento del Potere, moderna attualizzata eredità del sistema politico dell’impero romano.

Per questo fine cruciale, la rappresentazione della giustizia, del perdono, della magnanimità, dell’amore patrio, lo spazio deputato per la poesia del teatro musicale del Poeta Cesareo sarà sempre quello dei teatri interni alla Hofburg, la cittadella degli Asburgo, ovvero a Schönbrunn e a Laxenburg, la residenza di caccia di Carlo VI dove Metastasio nella tarda primavera del 1730 venne personalmente ricevuto dall’imperatore e nel colloquio entrambi strinsero una intesa estetico-politica che non sarebbe mai venuta meno né si sarebbe mai incrinata, proseguita con Maria Teresa anche dopo l’improvvisa morte di Carlo VI nel 1740.

Il piacere quindi derivante dalla poesia del teatro musicale di Metastasio è strettamente promosso e significato dalla narrazione scenica di un Potere sovrano ed assoluto giustificato non dall’arbitrio ma dall’universalità dei valori, a cui si conformerà l’azione di governo dell’imperatore Asburgo come regola invalicabile sia per chi esercita tali poteri che per i destinatari, gli individui e i popoli amministrati.

In questa alleanza par la poésie et la musique tra la famiglia Asburgo e il loro Poeta Cesareo, Giacomo Durazzo cerca di aprirsi un corridoio, certamente non agevole né ampio, allo scopo di coinvolgere il popolo viennese dei teatri pubblici alla riforma dell’opera seria con un rinnovata rappresentazione delle pulsioni affettive e sentimentali percepite e suscitate mediante una stretta aderenza tra poesia e musica.

Il patto tra Carlo VI e i suoi figli con il loro Poeta Cesareo affinchè la scena teatrale sia l’espressione e la comunicazione ai popoli dell’Impero di un Politico ispirato e guidato dal cogente esercizio della Giustizia e della Magnanimità sarà definitivo ed irrevocabile per tutto il Settecento fino alla Rivoluzione francese.

Invece, la finalità perseguita dal conte Durazzo intende intercettare il senso e i gusti del fantastico, delle emozioni e dei sentimenti affettivi propri dei comuni individui, ed è per questo che il modello di riferimento per il GeneralSpektakelDirektor tende ad allontanarsi sempre più da Vienna e da Metastasio, e ad avvicinarsi progressivamente all’opéra francese, fino a comprendere l’opéra-comique.

È come se lo spettacolo della vita debba irrompere sulla scena e, dai teatri aperti a tutto il pubblico viennese, il Kärtnertortheater e il Burgtheater, superando le mura della Hofburg faccia qui ritorno  per essere offerto alla famiglia imperiale, ed illustrare e quasi codificare il piacere e la felicità del vivere come espressi e coltivati a Parigi.

Il progetto del conte Giacomo Durazzo fa di lui, pertanto, un tipico intellettuale cosmopolita del secolo, anche se egli sa di giuocare una partita in cui gli avversari – la famiglia imperiale, i musicisti di corte e Metastasio, Poeta Cesareo – sono in attesa che tutte le sue carte siano scoperte sul tavolo per contrastare e sconfiggere definitivamente il suo cosmopolitismo, estraneo ed inviso all’etica politica di Vienna e del Sacro Romano Impero Germanico.

Espresso mediante una sorta di popolarità teatrale-musicale, il cosmopolitismo dei Durazzo-Calzabigi-Gluck è rivolto a infrangere e spezzare il legame solidamente costituitosi, intorno all’opera di Metastasio, tra la rappresentazione del giusto unico Potere laico degli Asburgo e le attese di Buon Governo da parte dei Viennesi e degli altri popoli dell’Impero.

L’intricata rete di rapporti tra Giacomo Durazzo e il Poeta Cesareo, solidamente nel cuore di Maria Teresa, già sua allieva da granduchessa fino ad essere tentata a ricoprire addirittura ruoli attoriali da imperatrice nella festa teatrale L’asilo d’amore, si tinge di giallo, cioè di un piccolo sgradevole complotto a danno di Pietro Metastasio, allorché nel maggio del 1754 egli riceverà da Roma una lettera del marchese Giovanni Patrizi, foriere maggiore di papa Lambertini, Benedetto XIV. Il Patrizi si fa latore, dicendo di scrivere a Metastasio a nome e per conto del sommo pontefice, della richiesta che il Poeta Cesareo torni per sempre nella città eterna per illustrare con i suoi ormai famosissimi meriti poetici la vita teatrale-musicale e culturale della Roma del cattolicesimo universale.

Anche Leopoldo Trapassi, avvocato residente a Roma, fratello di Pietro, è sollecitato dal marchese Patrizi ad esercitare le più adeguate pressioni, psicologiche e familiari per convincere il Poeta Cesareo a tornare nella città natìa. Dulcis in fundo, il foriere maggiore del Sommo Pontefice, per i buoni uffici che Leopoldo porrà nel fare tornare a Roma il famoso fratello, promette riconoscimenti e compensi venali…a cose fatte!

Pietro Metastasio, nel pieno dell’offensiva durazziana per dare vita a quella che si configurerà di lì a poco come il tentativo di riformare l’opera seria italiana, avverte immediatamente nelle avances direttamente indirizzategli dal Patrizi e indirettamente riproposte attraverso il fratello Leopoldo, da quale luogo sia nata la sorprendente iniziativa: non da Roma né dal pontefice Benedetto XIV, bensì da Vienna e quindi dai circoli della corte imperiale interessati a ridurre fortemente l’egemonia a Vienna del teatro musicale italiano, da una parte, e a favorire dall’altra un più consistente legame con il teatro francese e con la sua opéra-comique, in attesa che possa nascere l’opera seria in lingua tedesca, sull’esempio, appunto, di quella francese. L’operazione potrà e dovrà concludersi con lo spontaneo abbandono di Vienna da parte del protagonista del melodramma italiano, cui seguirà certamente la perdita d’influenza e di egemonia nei teatri e nelle corti europee dei suoi musicisti di scuola napoletana e veneziana.

Il 6 maggio del 1754, Pietro Metastasio invia al fratello Leopoldo a Roma la sua risposta al marchese Patrizi che verrà consegnata dallo stesso Leopoldo, non prima di aver spiegato a questi, in una lettera a parte, come tenere a bada gli autori della macchinazione senza peraltro doversi scontrare con la loro malafede.

Nella lettera riservata a Leopoldo, Pietro scrive:

[…] convien ch’io vi parli del signor marchese Patrizi per cui vi mando l’annessa risposta che, letta, suggellata e per mio consiglio a vostro uso trascritta, consegnerete poi al cavaliere insieme con un mondo di riverenze a mio nome. Egli mi scrive una lunghissima lettera ortatoria al viaggio di Roma, mi assicura benevola e benefica la Santità Sua e, combinando le sue espressioni co’ discorsi tenuti con esso voi, pare che intenda di parlare di trasmigrazione totale, più tosto che di visita passeggiera. La lettera ha fisionomia d’essere stata dettata o almeno commessa; e quando anche non fosse né l’uno né l’altro, la prudenza esige di ricordarsi, rispondendo, che potrebbe esserlo (nostra sottolineatura). […] Io, per dirvi il vero, son molto grato al desiderio che costì si mostra di me; ma non intendo come si pensi sulla facilità di trasportarmi. La prima difficoltà è ch’io non sono capace di piantar così senza motivo una padrona che mi ha sempre beneficato e distinto; e quando su questo punto il presente pontefice si accordasse con l’imperatrice, di cui si trova amico e corrispondente, mi darebbe egli l’equivalente di cinquemila annui fiorini in circa, che godo dalla beneficenza augustissima? Il Papa omnia potest, ma bisogna vedere si omnia vult: ed io so come si pensa sul Quirinale. È possibile che mi credano costì così poco onesto e così gocciolone da lasciare senza ragione una tal padrona ed un tal soldo sulle speranze delle beneficenze d’un pontefice octogenario? S’egli avesse veramente questa voglia, Papa omnia potest, e senza taccia dell’onor mio e senza danno di veruna fatta mi avrebbe, credo, a’ suoi piedi. Ma la volontà non è efficace quando si vuole appagare a spese altrui o non impiegare che la discreditata moneta delle belle speranze: onde, caro fratello, non correte al rumore.

Per concludere, infine, la sua disincantata analisi della sorprendente proposta ricevuta: fare i bagagli, abbandonare Vienna dopo quasi un quarto di secolo di ininterrotti trionfi del suo teatro musicale, e tornare a Roma per sempre, senza nessuna concreta garanzia né morale né economica, Pietro mette in guardia il fratello riguardo alla forma e alla sostanza delle profferte rivolte a Roma allo stesso Leopoldo dal marchese Patrizi perché agisca opportunamente sul Poeta Cesareo con il “ricatto” della ricomposizione degli affetti familiari:

Come non vi siete irritato all’ingiuriosa miseria de’ bassi canonicati che vi han proposti? Si può pensar più deplorabilmente? […] Bisogna essere un buon figlio come son io per non risentirsi contro una madre che mi offende più quando si ricorda di me che quando se ne dimentica.

I rapporti diretti di Metastasio con il conte Durazzo si sviluppano tra il 1753 e il 1755, prima dell’invito del marchese Patrizi, e l’anno successivo al gentile rifiuto opposto a quest’ultimo a trasferirsi a Roma.

Metastasio sia nel 1753, a seguito della preghiera di Francesco Stefano di Lorena di assecondare e assistere il direttore dei pubblici Teatri imperiali nella preparazione dei suoi spettacoli, sia nel 1755, limita le sue osservazioni entro la misura di un giudizio strettamente tecnico-artistico, dal quale comunque affiorano e traspaiono elementi di un sostanziale disaccordo poetico-estetico rispetto alle impostazioni estetico-artistiche del Durazzo.

Nella lettera ad Antonio Tolomeo Trivulzio del 2 agosto 1753, Metastasio scrive:

L’augustissimo padrone [Francesco Stefano di Lorena, n.d.r.] mi ha fatto dire «che vedrebbe volentieri ch’io assistessi di consiglio i cavalieri direttori d’un opera ch’egli ha ordinata per il giorno di Santa Teresa». Sicchè dipenderà la mia mossa e lo spazio dell’assenza mia dal bisogno che il signor marchese Durazzo crederà aver di me, per sua modestia. Si sa già la compagnia, ma la meta non è qui affatto conosciuta, e v’è gente che mette in problema se sia migliore la condizione di questa o dell’altra meta.

Ed ancora nella lettera al fratello Leopoldo del 7 luglio 1755, Metastasio esprime dubbi ed un olimpico disaccordo riguardo allo spettacolo messo in scena dal Durazzo con il parziale impiego di suoi versi nelle arie:

Si è rappresentata in musica nel teatro imperiale di Laxenburg due settimane sono, e ieri nel pubblico teatro di questa città, una festa teatrale intitolata Le cacciatrici amanti, scritta da un (n.d.r.) conte Durazzo genovese, che ha qui la superior direzione degli spettacoli. La versificazione è sufficientemente facile, e adattata alla musica, onde il componimento sarebbe assai ragionevole, se lo scrittore si fosse proposto qualche cosa da rappresentare. Nulla di meno la mancanza di soggetto si nasconde tanto quanto nella frequenza delle arie, nella leggiadria de’ balli e nella magnificenza d’una macchina felicemente eseguita. Non è oziosa questa relazione. Altre volte vi ho veduto dubitare se dovevate trattare da parenti alcune composizioni sparse costì per mie figliuole; onde prevengo l’abbaglio che potreste per avventura prendere in questa, nella quale non ho altra parte che l’avere raffazzonato qualche verso scarmigliato.

Migliore sorte riguardo ad intese pur sempre precarie tra il conte genovese e il Poeta Cesareo toccherà alla festa teatrale L’innocenza giustificata nel dicembre 1755, rappresentata al Burgtheater messa in musica da Gluck con arie di Metastasio e recitativi composti dallo stesso Durazzo.

Ritratto di Tommaso TraettaAnche la rappresentazione dell’Armida, melodramma messo in versi da Giovanni Migliavacca su un testo letterario del conte Durazzo, con la musica di Tommaso Traetta, convocato a Vienna da Parma da parte del GeneralSpektatelDirektor, andato in scena al Burgtheater nel gennaio 1761, rafforzò al tempo stesso il tentativo di fusione tra l’opera seria italiana e quella francese e, in qualche modo, migliorò anche le relazioni con Metastasio, poiché il Migliavacca aveva un vero e proprio rapporto di discepolanza con il Cesareo, riconfermato nella stessa elaborazione del libretto dell’Armida rivisto ed approvato prima della rappresentazione dallo stesso Metastasio.

Ma quando nel 1762, dopo la prima a Parigi di Orfeo ed Euridice nel 1761, venne rappresentato il melodramma di Ranieri de’ Calzabigi intonato da Ch. Willibald Gluck, al conte Durazzo si appalesò finalmente l’opportunità che l’opera seria tradizionale a Vienna di stampo metastasiano avesse trovato una compiuta alternativa, anche con l’introduzione sulla scena durante l’azione drammatica del ballo pantomimico, con la guida prima del maestro di ballo imperiale, Franz Hilverding, cui seguirà quella del famoso Gasparo Angiolini.

Unitamente alla sempre più decisa ansia di rinnovamento dello spettacolo teatrale musicale con l’opera buffa italiana - l’allestimento del Finto pazzo di Niccolò Piccinni, anch’egli importato da Parigi – alla rappresentazione nel 1764 del gluckiano Les pélerins de la Mecque seguì da parte del conte Durazzo la sua missione a Parigi per mettere sotto contratto Carlo Goldoni e portarlo così a Vienna; Goldoni rifiutò l’invito per coerenza morale ed intellettuale. Pochi anni prima, infatti, il commediografo veneziano aveva chiesto a Metastasio di potergli dedicare l’edizione a stampa delle sue commedie in francese.

Mentre Giacomo Durazzo era a Parigi, approfittando dell’assenza a Vienna di Giuseppe chiamato  a Francoforte per essere nominato e celebrato come Re dei Romani, Maria Teresa e il figlio Giuseppe decisero che la misura del comportamento trasgressivo del conte era ormai colma: lo sbilanciamento dello spettacolo musicale a favore di un’egemonia del teatro in lingua francese a Vienna era per entrambi gli Asburgo inaccettabile, e al ritorno da Parigi lo convocarono a corte e ne chiesero ed ottennero le dimissioni dalla carica fino ad allora ricoperta di Direttore degli Spettacoli imperiali.

La  terza ed ultima fase della carriera di Giacomo Durazzo si sarebbe quindi conclusa – grazie sempre all’onnipresente interessato favore del Kaunitz – con il ritorno alla funzione di diplomatico.

Il conte, peraltro, perdeva per sempre il connotato originario del suo arrivo a Vienna come ambasciatore della sua Genova e, per incarico dell’imperatrice Maria Teresa Asburgo che non l’aveva mai amato, considerandolo invero un intrigante e che pertanto non lo voleva più a Vienna, egli era mandato a Venezia divenendo ambasciatore delle Loro Maestà, ruolo che il conte avrebbe ricoperto fino al 1784.

Christian Vinazer, Busto di Pietro Metastasio, metà del secolo XVIII, marmo scolpito 36cm, Genova, Museo di Palazzo Reale

Qui a Venezia Giacomo Durazzo avrebbe ricevuto due lettere di Pietro Metastasio, in risposta ai suoi tentativi epistolari di ristabilire, attraverso il Cesareo, relazioni con Vienna e la corte che avrebbero potuto tornargli utili.

La prima risposta di Metastasio al conte, da Vienna il 6 novembre 1776, è la testimonianza di una olimpica benevolenza del Poeta Cesareo verso il conte, dopo il  decennio 1754-1764 pieno di aperte e sotterranee discordie e tensioni, “pacificazione” da interpretare in realtà più correttamente come relazione di non belligeranza tra personaggi entrambi capaci di leggere il grande libro del mondo, non più obbligati a contendersi il medesimo campo d’azione, e  ormai lontani l’uno dall’altro, anche se tutti e due, in forma e ruoli ben diversi, al servizio dell’Impero degli Asburgo:

Se io non fossi già a mille prove da lungo tempo convinto delle benevole disposizioni del generoso animo di Vostra Eccellenza a mio riguardo, non mi permetterebbe ora di travederle l’efficacia che hanno avuto a metterle in attività un sol ritratto e pochi miei versi, sino a procurarmi ne’ venerati suoi caratteri una invidiabile confermazione della sua da me tanto ambita quanto poco meritata parzialità. […]

Il giovane compositore signor Schuster, portatore dell’umanissimo foglio di Vostra Eccellenza, è stato due volte a favorirmi, e per quello ch’egli già è, non meno per quello che promette di divenire, parmi degno della protezione di cui Vostra Eccellenza l’onora; ed io mi auguro facoltà di utilmente assecondarla.

È soprattutto questa considerazione di Metastasio, nel finale della lettera in risposta a Giacomo Durazzo, a rilevare come le iniziative del conte riguardo alla scoperta di nuovi talenti nella composizione musicale,  dopo i  “durazziani” Gluck, Gassmann, Traetta, Piccinni, si proponessero di ricordare a Vienna pur sempre, anche dopo la sconfitta del progetto originario, che altri giovani musicisti emergenti chiedevano la sua protezione.

Joseph SchusterDa Venezia, nel suo forzato esilio, il conte Durazzo intendeva forse dimostrare al Poeta Cesareo che pur sempre la riforma dell’opera seria italiana, in salsa francese, gli apparteneva ed era riuscita? Egli poteva perciò permettersi di inviare a Vienna dal Poeta Cesareo il giovane musicista tedesco Joseph Schuster di Dresda, tra gli interpreti più interessanti del nuovo gusto musicale e delle rinnovate forme espressive, via via affermatisi grazie alla sua riforma.

Un altro illustre musicista di Dresda, gloria del secolo, ma di scuola napoletana, e tra i compositori più amati da Pietro Metastasio, Johann Adolph Hasse era presente a Venezia, trasferitosi con la moglie la famosa soprano Faustina Bordoni dal 1773. Qui Hasse concluderà la sua esistenza nel dicembre del 1783. Ma di Hasse, Giacomo Durazzo non si interesserà mai, neppure allo scopo di ingraziarsi il Poeta Cesareo nelle poche lettere scambiate, come a preferire allo Hasse il ben più giovane musicista Joseph Schuster, autore delle musiche dei drammi di Metastasio come Didone abbandonata e Demofoonte, e, proprio nel 1776, dell’oratorio La passione di Gesù Cristo.

Paradossalmente, la riforma dell’opera seria nella Vienna asburgica da Carlo VI a Maria Teresa a Leopoldo II così come ad essa dedicarono tutte le loro energie in primis il conte Giacomo Durazzo e i suoi artisti da Ranieri de’ Calzabigi a Ch. W. Gluck, da Marco Coltellini a Tommaso Traetta, da Charles-Simon Favart a Gasparo Angiolini, non influì minimamente sull’ethos viennese – così come era negli obiettivi del conte genovese – né dei sudditi degli Asburgo e neppure sulla corte imperiale.

Ranieri de' CalzabigiAl di là, infatti, della diffusione dell’opera buffa, dell’apporto all’opera seria di librettisti e poeti accreditati a corte, dal Coltellini a Ranieri de’ Calzabigi al Casti – non certo con il rango di Poeta Cesareo, ruolo istituzionalmente attribuito soltanto a Pietro Metastasio e, prima di lui, con molto minore successo, durata temporale e rilevanza culturale ad Apostolo Zeno – il contributo ai mutamenti della vita sociale e politica per un passaggio indolore d’epoca e quindi ad una alleanza tra il sistema feudale dell’ancien régime e la borghesia, così come evocata da una nuova rappresentazione della vita e dei sentimenti della gente comune, fu travolto dalla Rivoluzione Francese, cioè proprio nel paese simbolo e culla dell’Illuminismo e della nuova temperie storico-politica al quale si era ispirato il conte Durazzo, mentre a Vienna, invece, gli imperatori del Sacro Romano Impero Germanico aumentavano le iniziative riformistiche proprie del loro Dispotismo illuminato, già intraprese da Maria Teresa, assumendo la guida della massoneria e delle logge alle quali prendevano parte sia la nobiltà che la borghesia coinvolta negli affari di stato in particolare durante lo spericolato  esercizio del potere di Giuseppe II.

In questo contesto, l’ultimo scambio epistolare tra Giacomo Durazzo e Pietro Metastasio – siamo nel febbraio del 1781 – rivela il tentativo del conte genovese di sondare il Poeta Cesareo a seguito della mutata situazione politica a Vienna dopo la morte di Maria Teresa il 9 novembre 1780 e il pieno controllo del potere imperiale da parte di Giuseppe, al fine, forse, di un suo possibile ed ipotetico rientro a corte. Come per la precedente lettera di Giacomo Durazzo al Poeta Cesareo del novembre 1776 recata a mano dal musicista Joseph Schuster, anche questa viene recapitata a Vienna da un protetto del conte, Antonio Armato, come se l’ex GeneralSpektakelDirektor intenda premunirsi nei riguardi dei controlli sulla posta privata da parte della polizia imperiale. La risposta di Metastasio non consente alcun altra apertura di credito nei confronti del conte genovese all’infuori della stretta osservanza di rispetto riguardo alla sua richiesta di raccomandazione, dovuta all’ambasciatore a Venezia dell’impero asburgico:

Nei primi accessi della mia costernazione per la fatale irreparabil perdita da noi fatta [Metastasio si riferisce alla morte dell’imperatrice Maria Teresa avvenuta il 9 novembre 1780, n.d.r.] mi fu recato dal signor Antonio Armato il veneratissimo foglio di Vostra Eccellenza con l’esposizione dei distinti meriti del portatore e de’ comandi di Vostra Eccellenza perché qui se gli presti la necessaria assistenza, aprendogli le vie d’impiegar con facilità le sue lodevoli applicazioni. A dispetto del lagrimevole stato dell’animo mio, non trascurai di parlarne subito al signor Consigliere Martines, e lo trovai già informato vantaggiosamente del soggetto ed impaziente di servirlo. Ma il giovane raccomandato, qualunque ne sia la cagione, non è sino al presente giorno mai capitato nell’imperial Biblioteca, né più tornato in casa mia: onde io perfettamente ignoro se egli sia ancora in Vienna.

Giovanni David, Ritratto del Conte Giacomo Durazzo a Venezia, 1784

La lettera di Metastasio al conte Durazzo sarebbe stato il vero e proprio commiato non solo dalle controverse vicende teatrali musicali tra i due personaggi ma per il Poeta Cesareo anche dalla sua esistenza terrena conclusasi l’anno dopo, il 12 aprile del 1782, mentre era in corso la visita a Vienna di Giovannangelo Braschi, papa Pio VI per porre un freno e un limite alle pretese giurisdizionaliste di Giuseppe II sulle proprietà della Chiesa nel Sacro Romano Impero Germanico.

La parabola esistenziale di Giacomo Durazzo sarebbe durata invece sino ad assistere da Venezia all’inizio della Rivoluzione Francese, alla messa a morte di Luigi XVI e di Maria Antonietta d’Asburgo sino alla crisi del radicalismo giacobino di Robespierre. Il conte genovese moriva il 15 ottobre del 1794 nella città lagunare, esattamente tre anni prima che Venezia perdesse definitivamente la sua sovranità politica, ceduta da Napoleone Bonaparte all’Impero degli Asburgo in cambio del riconoscimento e del passaggio della Repubblica Cisalpina sotto la sfera di influenza della Francia.

CONCLUSIONI

La figura del conte Giacomo Durazzo corrisponde quasi perfettamente a quella dell’intellettuale cosmopolita con in più, a favore del suo profilo, la funzione politica che ne farà prima un plenipotenziario della Repubblica di Genova Vienna, poi l’ambasciatore a Venezia del Sacro Romano Impero Germanico. In questo percorso, Giacomo Durazzo appartiene per intero alla temperie propria dell’Ancien Régime, della quale non sembra avvertire il sopraggiungere della crisi e il capovolgimento dell’intero sistema politico e sociale.

Per contro, Pietro Metastasio, il Poeta Cesareo degli Asburgo dal 1730 alla sua scomparsa dalla scena nel 1782, tenutosi volutamente e consapevolmente ai margini della vita politica viennese combatte in tutta la sua esistenza per l’affermazione di una centralità del potere fondato su valori universali, e ne comunica l’autonomia etico-politica attraverso l’intera produzione della sua poesia destinata al teatro musicale. Quando però si accorge che al posto dell’esclusiva responsabilità del potere monarchico/imperiale e dei suoi obblighi di buon governo nei confronti dei popoli e degli individui, la politica degli Asburgo tende, negli ultimi decenni del Settecento, a suddividere i suoi oneri e doveri con la borghesia nascente degli affari e a delegare a questa parti importanti del suo Potere, Metastasio comprende che un mondo intero sta completando e finendo il suo tempo.

Le lettere di Metastasio al monsignore Agostino Gervasi, teologo a Vienna dal 1763 al 1768, rivelano il manifestarsi di un individualismo possessivo che ormai pervade ogni aspetto e ogni classe nella vita sociale dell’impero asburgico.

In particolare, il Poeta Cesareo nella lettera del 15 maggio 1775 al Gervasi tornato in Italia e nominato vescovo prima a Gallipoli, poi a Melfi e quindi prefetto degli studi a Napoli sotto Ferdinando IV di Borbone, segnala l’inarrestabile diffusione del pensiero roussoviano e di Carlo Antonio Pilati, seguace dell’autore de Il contratto sociale, come prodromi e suggestioni teoriche che avviano la crisi dell’ancien régime:

Voi deplorate a gran ragione la sfrenata regnante licenza nelle massime e nei costumi: questo è il frutto, monsignore riveritissimo, della moderna velenosa ma seduttrice dottrina che pretende di render felice l’umana società sciogliendola da tutti i più sacri e più solidi legami che la formano e la mantengono. È vero che non può eternamente sussistere questo universale stravagante deliro, e che gl’insopportabili inconvenienti ne’ quali si andrà necessariamente urtando di giorno in giorno obbligheranno i sedotti or nell’una or nell’altra cosa malgrado loro a correggersi. Ma la cura è lunga, e le molte Olimpiadi ch’io mi sento gravitar sulle spalle non mi permettono di trovarmi alla resipiscenza.

Ma è nella lettera di Metastasio ad Agostino Gervasi del 30 gennaio 1782, pochi mesi prima della morte del Poeta Cesareo nell’aprile dello stesso anno, che si coglie la lucida diagnosi della forma politica in cui la libertà di intrapresa per render felice l’umana società avrà sbocco e compimento definitivo, ovvero la riforma promossa da Giuseppe II della proprietà fondiaria ed immobiliare della Chiesa trasferita ope legis et imperatoris auctoritate dalle mani di Roma cattolica in quelle delle classi popolari e borghesi dell’impero:

La facilità con la quale s’intraprende la riforma dei stabiliti dalla pratica antichissimi sistemi, prova che non se ne conosce la difficoltà, e dee per necessità urtarsi in iscogli non preveduti ed insuperabili, e si abbatterà l’asilo dove da tanto tempo si abita, senza avere stabilito dove rifugiarsi.

(segue)

Roma, giugno 2015                                                        Mario Valente

 

 

 

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