lo spettacolo è trasmesso in diretta da Rai Radio3
La sorpresa, perché lo è
stata veramente, è stato assistere al Teatro Olimpico in
Roma, sede storica delle messe in scena dell’Accademia
Filarmonica Romana, ad una vera e propria jam-session
teatral-musicale del cant-attore Elio (al secolo,
Stefano Belisari) nei panni non solo di Gian Burrasca,
la creatura primo novecentesca di Vamba (al secolo,
Luigi Bertelli), ma anche in quelli di tutti gli altri
personaggi, vittime designate della trasgressività
simil-futurista del giovanissimo birbante, a suo modo
iconoclasta delle sorti felici e progressive sognate dal
benpensantismo borghese dell’Italia giolittiana.
La performance di
Elio, ispirata alle 8 puntate dirette da Lina Wertmuller
per la RAI-TV nel 1964, come è noto e conosciuto dagli
italiani di una certa età, ha ancora una volta
beneficiato della supervisione della regista, di recente
insignita del David di Donatello alla carriera, e dopo
avere viaggiato per l’Italia, da Venezia a Messina,
nell’adattamento dei testi e nella selezione delle scene
per l’Atto unico della durata di quasi un’ora e mezza, è
arrivata finalmente e dulcis in fundo a Roma,
forse non a caso, come avremo modo di argomentare tra
poco.
In quest’unica
rappresentazione l’Accademia Filarmonica Romana ha
colto l’opportunità di celebrare anche il centenario
della nascita di Nino Rota le cui musiche svolsero un
ruolo fondamentale nel decretare un successo senza
precedenti a quel Giornalino di Gian Burrasca, lo
sceneggiato televisivo destinato al sabato della grande
famiglia italiana ancora in fiduciosa attesa dei
mirabolanti e promessi sviluppi dell’italico
novecentesco miracolo economico degli anni Sessanta.
«Elio,
il Gian Burrasca del nuovo millennio»,
come ha detto Lina Wertmuller, vestiti i panni alla
marinara degli adolescenti di inizio Novecento, dopo un
ingresso sul palcoscenico in monopattino, canta le scene
del Giornalino di Vamba con le musiche di Nino
Rota dando vita al suo personaggio a partire dagli
antefatti precedenti la catastrofica partecipazione alle
nozze della sorella Virginia con l’avvocato Maralli.
Il centro focale e
drammatico del Gian Burrasca del nuovo millennio si
sviluppa quindi attraverso il protagonismo attivistico e
irriverente sul microcosmo sociale familiare, e sulle
figure determinanti il suo destino di adolescente in
lotta con le convenzioni e i conformismi, le ipocrisie e
le doppiezze sociali di cui la allargata famiglia
Stoppani è esempio vivente.
Elio alterna al canto di
alcuni tra i testi della Wertmuller (1964) la
recitazione della parte di personaggi come Carlo Nelli
(nello sceneggiato televisivo interpretato da Francesco
Aluigi), dell’avvocato Maralli (nel 1964 interpretato
dal grande Arnoldo Foà), della sorella Virginia (già
messa in scena da Milena Vukotic), del vecchio e sordo
Signor Venanzio (a suo tempo interpretato da Odoardo
Spadaro), dal cui benessere e dalla cui eccentrica
volontà dipenderanno le fortune e le sfortune della
coppia Stoppani-Maralli, del Sig. Stanislao (nel 1964
interpretato magistralmente da Sergio Tofano), il
direttore del collegio in cui Gian Burrasca viene
relegato per le malefatte ai danni dell’avvocato Maralli,
della signora Gertrude (impersonificata da
un’indimenticabile Bice Valori, costretta a recitare
piegata in due sulle ginocchia per mimare la grassa e
bassa Gertrude), di Tito Barozzo (nel 1964 intepretato
da Edoardo Nevola), lo sfortunato e perseguitato
compagno di collegio di Gian Burrasca per il quale Vamba
mette in bocca alla sua “birba” una commovente e
malinconica esaltazione dell’amicizia.
La narrazione
melodrammatica del Giornalino, grazie all’energia
instancabile di Elio, al controcanto dei music-attori
del formidabile complesso cameristico alle sue spalle,
disponibili ad uscire dai ruoli precostituiti e ad
entrare in scena appena il protagonista e la circostanza
scenica gliene offrano il destro, non subisce né perdita
di ritmo e coerenza-godibilità comunicativa, tanto da
suscitare gli applausi mentre si svolge ancora l’azione,
anche e soprattutto da parte di un piccolo, agguerrito
ed entusiasta gruppo di giovanissimi spettatori,
ironicamente rimproverato da Elio-Gian Burrasca quasi a
voler far credere di dovergli portare rispetto nella
parte di interprete e custode della rappresentazione
teatrale: «Così
non si fa…adesso sono problemi vostri!».
È
stata questa la migliore dimostrazione, forse, che Elio,
il Gian Burrasca del nuovo millennio, ha raggiunto
l’obiettivo più importante dell’ultima
impersonificazione della creatura di Vamba: suscitare il
desiderio di un’autenticità morale, ossia di valori
universali, oggi non solo negletti e disprezzati come
l’amicizia e la solidarietà, presso tutte quelle giovani
generazioni e nuove energie che possano affermare la
necessità inequivoca della verità contro le
falsificazioni sociali provocate dall’imperante
affermazione di un possessivo individualismo di massa
alla perenne ricerca del consumo egoistico di beni, di
merci e di denaro.
Nel contesto storico,
politico ed economico degli anni Sessanta del Novecento
l’adattamento televisivo dell’opera di Vamba, affidato
alla Wertmuller con un cast di interpreti di primissimo
livello, da Rita Pavone a Ivo Garrani, da Milena Vukotic
ad Arnoldo Foà, da Bice Valori a Paolo Ferrari, da Elsa
Merlini a Mario Maranzana, intese forse fornire al
pubblico di casa l’occasione di interpretare e giudicare
con compiaciuto divertimento la distanza che separava l’Italietta
del primo benessere dei ceti medi, ancora incerto ed
insicuro, intriso di impauriti conformismi, di ipocrisie
morali e formalismi, succube di grottesche
contraddizioni, rispetto alla padronanza e sicurezza dei
propri mezzi, meriti e competenze raggiunta dagli
Italiani grazie alle ampie e diffuse opportunità di
lavoro, conseguenti al decollo dell’Italia quale potenza
industriale dell’Occidente, e alla realizzazione,
seppure in fieri, dei diritti e doveri affermati
dalla Costituzione del 1948 nata dalla vittoriosa guerra
di Resistenza al Nazi-Fascismo.
Vent’ anni dopo la fine
della II Guerra mondiale, la Democrazia Cristiana, il
partito fino ad allora dominante pressochè in
solitudine, grazie ad Aldo Moro, si apprestava a dare
forma politica ad un’epocale trasformazione sociale
riconoscendo il ruolo svolto dai ceti subalterni e dalla
classe operaia nel progresso civile ed economico del
paese con il promuovere la nascita del centro-sinistra e
chiedendo al Partito Socialista di assumere
responsabilità di governo politico e nelle istituzioni.
Nell’ironica canzonetta
Viva la pappa col pomodoro, testo della
Wertmuller, musica di Nino Rota, interpretato dalla
scatenata Rita Pavone del tempo, nella parte di Gian
Burrasca, lo sceneggiato televisivo rappresentava
un’ironica e in qualche modo disincantata lettura delle
fin troppo ottimistiche attese e prospettive del
miracolo economico e della nuova alleanza politica del
centro-sinistra, quasi a suggerire una misura di
distacco critico (e premonitore) grazie al ruolo
esercitato nel Giornalino da un personaggio come
l’avvocato Maralli, impiombato, nelle sue aspirazioni di
conquista di un seggio parlamentare nelle fila del
Partito Socialista del tempo, dall’innocente nonché
intempestiva comunicazione alla stampa da parte di Gian
Burrasca, cognato orgoglioso e intraprendente, che
l’anticlericale avvocato socialista s’era sposato in
chiesa con la sorella del terribile giovinetto.
A distanza di 46 anni
dallo sceneggiato televisivo prodotto in piena epoca di
centro-sinistra, l’oggettività di una rappresentazione
rivolta ad esaltare allora con la trasgressione delle
convenzioni sociali, morali, e politiche dominanti,
esemplificate dalla figura del Gian Burrasca del 1908,
il diritto di cittadinanza alla libertà di espressione
di ogni sensibilità individuale e a suo modo creativa,
l’Atto unico costruito oggi da Lina Wertmuller e da Elio
ha preferito sottolineare in Giovannino Stoppani, la
necessità, in qualche modo disperata, della
determinazione della verità, che forse soltanto i
bambini, gli adolescenti, idest gli innocenti,
sono in grado di raggiungere ed aderirvi.
Non a caso, quindi,
riteniamo che la rappresentazione di questo Atto unico
sia arrivata alla fine a Roma, quasi a voler
sottolineare che nel luogo del potere politico nazionale
oggi sono messi in campo proprio quei controvalori che
intendono irretire e annullare qualsiasi aspirazione e
diritto di accesso alle libertà democratiche, di
partecipazione attiva e consapevole alla costruzione
della vita politica di tutti gli italiani, pur di
impedire di svelare così in tutta la sua miseria
l’occultamento della verità e il suo rovesciamento
nell’arbitrio e nell’autoritarismo.
In tale direzione ci
sembra si sia mosso il senso dell’interpretazione
teatrale di Elio, e del controcanto corale, a scena
aperta – anch’esso felicemente inusuale –, degli
altrettanto bravi e divertiti-divertenti music-attori
che, prima dell’esibizione quasi-monologo di Elio, hanno
eseguito magistralmente le fascinose musiche da film di
Nino Rota.