Il magico informale
di Mikhail Koulakov

Marianna e Misha
a San Vito di Narni, 1988


La mostra del pittore russo Mikhail Koulakov, ormai per sua libera elezione italiano in Umbria dove risiede e ha il suo studio dalla seconda metà degli anni Settanta, inaugurata il 9 marzo a Roma presso il Museo H.C. Andersen rimarrà esposta fino al 29 maggio 2011, rappresenta con le oltre 50 opere (disegni, collage, dipinti, oggetti ed una installazione) una sintesi eccezionale del percorso di uno tra i più significativi ed originali artisti del Novecento e di questo scorcio del III millennio.

La mostra, sotto l’egida della Galleria Nazionale d’Arte moderna, a cura di Matilde Amaturo, direttrice del Museo Hendrik Christian Andersen, è accompagnata da un utilissimo Catalogo introdotto da Maria Vittoria Clarelli, Soprintendente GNAM, stampato per i tipi di Gangemi Editore, Roma 2011.

Nel Catalogo il cui titolo, Mikhail Koulakov la spiritualità del segno, sintetizza efficacemente cinquanta anni di attività creativa dal 1960 al 2010, i contributi saggistici di Enzo Bilardello, critico d’arte tra i più assidui nel seguire in questi ultimi decenni i percorsi del maestro russo, di Karmen Korak, Note sui disegni, un’intervista di Matilde Amaturo, Tre domande a Mikhail Koulakov, una Biografia, a cura di Carmela Rinaldi, e una Bibliografia, a cura di Benedetta Marcelli, offrono un ausilio indispensabile per avvicinare ed intendere nel modo più perspicuo questa Mostra che costituisce un vero e proprio doveroso omaggio, anche in forma di bilancio, all’intera attività artistica del pittore russo.

Già nel 2008 a Mosca, Galleria Tretiakov, 10 Settembre-5 Ottobre, e a Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, 30 Ottobre-30 Novembre, la Mostra intitolata Fiori Celesti aveva sancito il ruolo eminente, di primissimo piano,  raggiunto dalla pittura di Koulakov nel panorama artistico contemporaneo.

Ma non poteva essere occasione migliore quella offerta dall’Anno della Cultura e della lingua italiana in Russia e della Cultura e della lingua russa in Italia nel corrente 2011, che l’individuare proprio nell’opera pittorica di Mikhail Koulakov il ponte che unisce entrambe le grandi espressioni artistiche e linguistiche della nostra Europa, se teniamo presente, come è vero, che ad ognuna di esse egli si è ispirato e continua ad alimentare l’inesauribile vena creativa.

L’interesse e l’amore per l’Italia risale agli anni Cinquanta del Novecento allorchè Koulakov, visitando Leningrado, racconta:

«[…] uscii di senno per la bellezza dell’architettura dell’antica capitale dell’impero russo: il mio rapporto con l’Italia ebbe inizio con l’ammirazione per i palazzi costruiti da architetti italiani come Rastrelli, Tomà, Quarenghi, Rossi, ecc…

Altri due impulsi interiori da cui nacque la mia attrazione per l’Italia furono il fatto che sono nato a due passi dalla Galleria Statale Tret’jakòv e che, poco lontano, frequentavo il Museo delle Belle Arti intitolato a A.S. Puskin per ascoltare le conferenze sulla Divina Commedia di Dante.

Questi tre fattori mutarono radicalmente il corso della mia vita: nacque in me il sogno di diventare un artista e di recarmi in quella terra benedetta che è l’Italia.

Trascorsi non pochi anni della mia odissea, ebbi di nuovo fortuna e feci la conoscenza della mia futura moglie che era di origine italiana – (Marianna Molla, n.d.r.) – e mi aiutò a trasferirmi all’estero.

Una volta in Italia ebbi ancora una volta fortuna: conobbi il famoso critico Enrico Crispolti […]

Così avvenne la mia seconda nascita, quella italiana. Crispolti mi regalò il libro contenente la sua corrispondenza con Lucio Fontana, del quale mi entusiasmò non solo il suo uscir fuori dalla superfie della tela, ma anche il suo giovanile periodo espressionistico».

 

Proprio Enrico Crispolti ha scritto forse le considerazioni e le analisi più lucide e penetranti, finora, sulla pittura di Mikhail Koulakov:

«L’accento cosmogonico sembra essersi fatto più pressante nelle prove più recenti di Koulakov, in un reiterato uso di linguaggio d’ascendenza informale, segnico-materico, come nella sontuosa cosmogonia materica di Cascata di Fuoco […]. Ma su cartoni del 1987 e  ’88 (Il Volo, 1987, Spruzzi, 1988) al contrario il segno si essenzializza in danzanti efflorescenze. […]

Koulakov vi conferma quella sua sorta di metafisica del gesto pittorico, esercizio di ascesi spirituale. E che, occorre avvertire ancora una volta, sarebbe improprio leggere in senso ‘semplicemente’ neoinformale. Mentre è da intendersi appunto invece nel senso di un’ascesi espressiva che ha indubbiamente rapporti con la propria profonda frequentazione e pratica del pensiero estremorientale (l’altra componente basica appunto della cultura di Koulakov).

Il gesto nel suo esito segnico individuato è lo strumento figurale di una essenzialità e istantaneità di comunicazione spiritualistica. Esattamente di tensione unitaria fra sé e il cosmo. Non tanto tuttavia un’integrazione panica, quanto uno scavo interiore nella scoperta del sé più vitale in consonanza profonda con il tutto. Un gesto che nel suo esito segnico singolo si confronta continuamente con lo spazio enucleandosi come presenza vitale colta sul fatto, attualizzata: lo spazio del foglio, o della tela, o delle costruzioni oggettuali che traversa. […] Questa è l’avventura che continuamente si rinnova nelle proposizioni figurali di Koulakov, tracciando un itinerario segnico spiritualistico che corre (…) dal surrealismo astratto all’oggettualità spaziale. E costituisce ormai un punto di riferimento di un possibile dialogo tra due polarità della cultura europea: quella materialistica e quella spiritualistica. Attraverso una pratica della quale ultima, Koulakov stabilisce un ponte ideale con la cultura estremorientale e la sua diversa visione dei valori della realtà».

Che la dimensione spiritualista del pittore russo-umbro-italico abbia trovato le sue radici nell’antica arte marziale cinese del thai chi chuan non appare a chi scrive fare ombra o porre soverchie condizioni alle altrettanto radicate ascendenze artistico-spirituali desunte dalla frequentazione con la pittura dei Jackson Pollock, Georges Mathieu, Vasily Kandinsky, Kazimir Malevic, e Vladimir Tatlin, rielaborate peraltro attraverso le matrici di un segno linguistico che ha le sue origini nella terra che ha dato i natali a Koulakov, matrici che hanno visto il loro continuo rinnovarsi nella ispirazione libertaria scoperta nella sua benedetta terra d’Italia.

Ad entrambe queste due matrici, infatti, occorre sempre risalire per cogliere anche in questa ultima mostra romana la poetica di un magico vitalismo che Mikhail Koulakov e la sua arte astratta riescono a far emergere e quasi ad imprimere in ogni raffigurazione, naturale e umana, di cui egli scopre ed esalta le essenziali e spirituali linee di forza, creando così quella dialettica tra materia e spirito, grande parte del fascino e della maturità formale ed espressiva della sua pittura.

Roma, Aprile 2011

Mario Valente

 

 

 

 

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