Saverio Mattei e Pietro Metastasio:
breve storia di uno straordinario sodalizio a
distanza, dall’arrivo di Maria Carolina alla crisi
dell’Ancien
régime nel regno
napoletano di Ferdinando IV
In questa relazione
ci si occuperà essenzialmente del contributo di
Saverio Mattei e di Pietro Metastasio alla vita
politica, artistico-culturale pubblica dei
regni/imperi dell’Ancien régime ai
quali ognuno di loro appartenne.
La loro amicizia
servì allo scopo, determinato dalla funzione
pubblica acquisita, affinchè i valori
etico-artistici espressi come eminenti letterati e
poeti consentisse loro di svolgere nell’Impero e
nel Regno di Napoli una benefica influenza sia sui
poteri politici dominanti sia nella cerchia degli
intellettuali dell’epoca con i quali entrambi
strinsero intensi e numerosi rapporti.
Saverio Mattei
Pietro Metastasio
Possiamo perciò dire
che i rapporti epistolari tra Saverio Mattei e
Pietro Metastasio offrono l’occasione per colmare le
vistose lacune, segnalate da molti, riguardo, in
particolare, alla rilevante funzione dell’illustre
figlio di Montepaone nella storia e nei gruppi
intellettuali italiani e napoletani del XVIII
secolo.
Allo scopo di fare
emergere in tutto il suo valore il ruolo esercitato
da Saverio Mattei nel suo tempo non ci si può
limitare, comunque, ad analizzare esclusivamente
l’importante e lungo carteggio con Pietro Metastasio,
Poeta Cesareo a Vienna, oramai anziano, carico di
gloria e prestigio in tutta Europa: è necessario,
piuttosto, chiamare in causa le personalità e le
figure storiche e politiche direttamente o
indirettamente coinvolte nello straordinario
sodalizio a distanza sia da parte dell’allora
giovane protagonista napoletano delle lettere,
antiche e moderne, della musica e della
giurisprudenza, sia appunto da Pietro Metastasio,
massima autorità nel teatro musicale del secolo,
nonché rivolto personalmente, non solo a motivo di
nostalgie giovanili, seppure anche queste siano
presenti nello scambio epistolare tra i due poeti, a
rinsaldare negli anni Sessanta i legami con Napoli e
il suo mondo culturale, politico ed artistico nel
quale avvenne nel lontano 1724 l’esordio clamoroso e
fortunatissimo nel melodramma con Didone
abbandonata.
In ogni caso, la
ricostruzione del contesto culturale, storico e
politico non può che essere compresa tra le date di
inizio e di fine della lunga relazione epistolare
dei nostri amici.
Intrapresa su
iniziativa del giovane Saverio Mattei nei primi mesi
del 1766 – (manca la data della prima lettera del
Mattei, e purtroppo anche molte delle successive, a
quanto finora risulta, non essendo state tutte
riportate, se non poche, nelle varie edizioni de
I libri poetici della Bibbia) – il carteggio
Napoli-Vienna-Napoli, con la prima risposta del
Cesareo il 1° aprile 1766, sarà chiuso da Pietro
Metastasio il 3 agosto del 1781 con una missiva alla
quale non sappiamo il Mattei abbia mai fatto seguire
un’altra sua. Fatto sta che il Poeta Cesareo
concludeva la sua esistenza otto mesi dopo, il 12
aprile del 1782 a Vienna. Conosciamo, quindi, quasi
esattamente, grazie alla funzione di copia-lettere
di Metastasio assolta da Giuseppe Martinez e
soprattutto dal sig. Ercolini, le lettere
indirizzate dal Poeta Cesareo al Mattei che
assommano al rispettabile numero di 56.
Le condizioni
storico-politiche derivate dai conflitti bellici in
Europa susseguenti alla guerra dei Sette anni
(1757-1763) ebbero l’effetto di promuovere il
sodalizio artistico-letterario tra il Mattei e il
Poeta Cesareo.
Maria Teresa,
infatti, alla ricerca di un nuovo sistema di
alleanze in grado di fronteggiare l’ascesa della
potenza prussiana nel centro-Europa, nonché
l’indebolimento della monarchia francese nei
riguardi dell’Inghilterra risultata vittoriosa nel
dominio delle colonie d’oltre Oceano sia ad Ovest
che ad Oriente, in Asia e in Africa, tre anni dopo
la fine della guerra dei Sette anni, nel 1766,
proponeva l’alleanza con Napoli facendo sposare una
delle sue figlie, l’arciduchessa Giuseppina, con il
giovane Ferdinando IV, Re delle Due Sicilie.
Giuseppina, purtroppo, moriva di vaiuolo a Vienna
nell’ottobre del 1766 e Maria Teresa era costretta a
sostituire questa con lo sposalizio per procura con
Ferdinando di Borbone di un’altra sua figlia, la
giovanissima Maria Carolina.
Il matrimonio,
sebbene nato non sotto buoni auspici, sarebbe durato
a lungo e avrebbe segnato tumultuosi passaggi
d’epoca: prima la modernizzazione filo-spagnola di
Napoli, auspice il primo ministro, il toscano
Bernardo Tanucci, poi la estromissione di
quest’ultimo da parte di Maria Carolina per favorire
l’autonomia del Regno napoletano dalla Spagna con la
promozione di stampo regalistico di riforme
giurisdizionali, culturali, economiche e sociali, ed
infine la crisi del sistema feudale illuminato a
Napoli determinato dalla Rivoluzione francese e
dall’avvento della Repubblica partenopea del 1799.
Ferdinando IV di Borbone
Maria Carolina d'Asburgo
Nel quadro storico
generale del Regno delle Due Sicilie l’arrivo di
Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, per iniziativa
dell’azione di governo del Tanucci, nell’ottobre
1767 era preceduto dalla decisione di espellere i
Gesuiti da Napoli e dal Regno, allineandosi così
alla decisione di Carlo III in Spagna a difesa
dell’assolutismo monarchico insidiato e contestato
dalla Compagnia di Gesù in tutti i sistemi politici
europei dell’Ancien régime.
Bernardo Tanucci
Carlo III di Borbone
Potremmo già
osservare che la cornice o contesto storico-politico
del rapporto durato quindici anni tra Saverio Mattei
e Pietro Metastasio è talmente ricco e complesso per
i mutamenti destinati a coinvolgere in questo lasso
di tempo tutte le classi sociali, dalla nobiltà al
popolo basso ai gruppi intellettuali, dalla
Chiesa al potere dei sovrani di Napoli, tanto da
sollecitare ad interrogarci se Saverio Mattei, alla
fine degli anni Sessanta giovane intellettuale in
ascesa sotto i trenta anni di età, e il famoso e
maturo Pietro Metastasio, veleggiante verso i
settanta anni, abbiano saputo interpretare i tempi
nel ruolo loro proprio di rappresentanti, nelle
arti e nella cultura, delle rispettive corti a
Vienna e a Napoli.
Dal lato di Saverio
Mattei, l’arrivo a Napoli di un’arciduchessa di casa
Asburgo, Giuseppina, già promessa sposa fin dal 1766
del giovane Ferdinando di Borbone, definitosi poco
dopo tra il 1767 e il 1768 con l’arrivo di Maria
Carolina, spingerà il traduttore dalla lingua
ebraica de I libri poetici della Bibbia ad
entrare in diretto contatto con il Poeta Cesareo,
quale non solo modello di una poesia alla quale
Mattei ispira la sua versificazione italiana delle
antiche scritture, ma come massimo interprete di una
intera tradizione culturale – la classicità greca e
latina – che ha ottenuto in Europa l’universale
riconoscimento, da parte della più importante casata
regnante, l’impero degli Asburgo, di costituire la
matrice comune da cui è scaturita un’intera civiltà
e tutte le sue genti nelle differenze di lingue e
credenze religiose.
L’accordo
diplomatico, infatti, tra Impero e Regno delle Due
Sicilie, promosso da Maria Teresa, a distanza di
oltre trent’anni dalla sconfitta del padre
l’imperatore Carlo VI, cioè dalla estromissione e
dalla conclusione nel 1734 del vice-Regno asburgico
a Napoli, sembra stemperare, mandando
definitivamente nell’oblio, le storiche rivalità
alla luce in particolare del fattore unificante non
solo delle nozze reali tra le due casate ma anche
della comune assoluta rilevanza a Vienna e a Napoli
delle arti, della poesia e di quel teatro musicale
che neutralizza ogni barriera politica ed ogni
velleità bellicistica facendo risuonare nelle
rispettive capitali, costantemente, nel trascorrere
dei decenni, i drammi di Metastasio con le musiche
dei compositori della scuola napoletana (dal sassone
Hasse a Niccolò Porpora a Niccolò Jommelli) e di
quel Ch. W. Gluck, astro nascente in Centro Europa
dell’opera seria di cui vorrà proporsi come
riformatore dopo, peraltro, avere messo in musica
per il San Carlo nel 1752 La clemenza di Tito
di Metastasio.
J. A. Hasse
N. Jommelli
Ch. W. Gluck
Dal lato di
Metastasio, d’altro canto, l’arrivo a Napoli di una
delle sue giovanissime illustri allieve alla corte
viennese nel canto e nella musica, Maria Carolina
tra le più giovani figlie di Maria Teresa insieme
all’amata sorella Maria Antonietta, era stata
seguita quasi passo dopo passo, quasi con le premure
di un padre che vede con trepidazione staccarsi
dalla casa di famiglia una tra le sue creature più
innocenti, ancora ignare del mondo, tanto da farla
accompagnare al matrimonio con il figlio di Carlo
III – ormai da quasi dieci anni Re di Spagna a
Madrid – dalla contessina Maria di Canale, figlia
del suo più stretto amico a Vienna, il conte Luigi
Malabaila, ambasciatore del Re di Sardegna alla
corte di Vienna. Così scrive Metastasio da Vienna il
18 aprile 1768 al fratello Leopoldo, come se
assistesse direttamente alle diverse fasi
dell’avvicinamento di Carolina a Napoli e allo sposo
promesso:
Leggendo voi questa
lettera sarete più vicino alla reale sposa siciliana
[così Metastasio chiama la giovanissima Carolina
d’Asburgo, sposata per procura a Ferdinando di
Borbone, n.d.r.], di quello ch’io sono ora
scrivendola. Ella sarà sulle mosse delle rive
dell’Arno alla volta del Lazio [passando per
Firenze, al corteo viennese si era unito Leopoldo di
Toscana, fratello di Carolina, per volontà di Maria
Teresa, con l’intento di condurre la sposa
all’altare in rappresentanza della casata Asburgo,
n.d.r.], poiché il dì 11 dell’imminente maggio
passerà (secondo lo stabilito itinerario) l’impositum
saxis candentibus Anxur [Terracina, n.d.r.] e
sarà consegnata alle matrone e commissari
partenopei. Quindi il suo seguito austriaco
ritornando indietro verrà in Roma e alloggiando
nella Villa Medici (a quel che mi assicurano) vi si
tratterrà otto o dieci giorni. In questi convien che
voi procuriate […] di vedere e rivedere la signora
contessina di Canale munito delle plenipotenze
paterne e mie. Voi non troverete nella figura di
questa donna il diminuitivo di contessina; ella
contende con Pallade di spirito, di virtù, di
decenza e di statura. Ditele […] ch’io non pretendo
al primo, ma non cedo il secondo luogo a nessuno dei
moltissimi che sospirano il suo felice
ritorno.
Il Poeta Cesareo
confessava in qualche modo, raccomandandosi ai buoni
uffici del fratello Leopoldo, di essersi impegnato
con l’amico Luigi Malabaila conte di Canale a far
tornare sana e salva la figlia a Vienna dopo averla
inviata come nume tutelare al seguito
dell’arciduchessa/regina, e a non imitare la sua
augusta protetta, evitando di incorrere quindi in
impreviste ed imprevedibili tentazioni matrimoniali.
Occorre comunque
ricordare che Carolina, appena varcato proprio a
Terracina il confine di Napoli, dopo avere fatto lì
la conoscenza di Ferdinando di Borbone andato a
riceverla, così riferiva alla madre le impressioni
del suo primo incontro con lo sposo, mostrando fin
ab initio sia una consapevolezza del ruolo
assegnatole sia, con una singolare premonizione,
quello che sarà un lungo e tormentato rapporto
matrimoniale, politico ed esistenziale, promessa di
infeliticità e di tragiche contraddizioni alle quali
sarebbe andata incontro a causa di ben altri
imprevisti, determinati soltanto indirettamente,
dalla diplomazia dei matrimoni di Maria Teresa:
È assai brutto, ma
a quello ci si abitua.
[chiaro riferimento a Ferdinando di Borbone, n.d.r.]
Per quanto riguarda il suo carattere, è assai
migliore di quanto me lo avessero dipinto. Devo
confessare che lo amo per sentimento di dovere.
(In ossequio ai suoi
sentimenti di dovere, Maria Carolina ebbe dal
consorte ben 17 tra figlie e figli, nonché per lo
meno tre amanti per compensare l’obbediente
dedizione alle prescrizioni diplomatiche della
madre, Maria Teresa).
Il ritorno a Napoli
degli Asburgo nelle vesti della giovanissima Maria
Carolina, consentirà comunque a Bernardo Tanucci di
reggere la barra politica affidatagli appunto dal re
di Spagna nel quadro preferenziale del patto di
famiglia – ben noto agli storici del XVIII
secolo – nel quale sono iscritti i non semplici né
facili interessi da difendere e promuovere dei
Borbone assisi sui troni di Francia, Napoli e della
penisola iberica. L’influenza del Tanucci durerà
fino al 1776, anno nel quale Maria Carolina, avendo
dato alla luce l’atteso erede maschio a Ferdinando,
ottenendo di entrare nel Gran Consiglio della
Corona, di fatto manderà in pensione lo strenuo
difensore dell’autonomia politica della casata dei
Borbone di Napoli.
Saverio Mattei e
Pietro Metastasio possono dunque essere considerati,
negli otto anni che Maria Carolina impiegherà a
conseguire la maggiore età politica nel regno
napoletano, fautori e/o sostenitori del Tanucci, o
piuttosto della prospettiva neo-filo-asburgica quale
futura configurazione e dislocazione del Regno
delle Due Sicilie nel contesto europeo?
Metastasio che non ha
mai interrotto i rapporti con Napoli, che anzi ha
conservato con cura nei lunghi anni che ormai lo
separano dai mitici esordi partenopei degli anni
Venti, come un diplomatico di grande esperienza, e
navigato, diremmo oggi, entrando – guarda caso – in
corrispondenza con Giacomo Martorelli, il dottissimo
maestro/revisore nelle nobili antiche classiche
lingue di Saverio Mattei, alle richieste del famoso
grecista tiene un profilo basso, quasi schermendosi
di non potere fare di più per promuovere a Vienna
l’opera di uno studioso così insigne, mentre pochi
mesi dopo allo stesso Mattei dichiarerà la sua
aperta stima per il ministro Tanucci.
Il 30 ottobre 1769,
perciò, Metastasio risponde con olimpica calma al
Martorelli che scrivendo al Cesareo alla fine di
luglio, più di tre mesi prima, aveva unito la sua
traduzione a stampa de L’elogio di Omero di
Alexander Pope, traduzione dedicata allo stesso
Metastasio, dopo, peraltro, avere addirittura
pubblicato una lettera sempre di Metastasio sulle di
lui preferenze riguardo alla poesia di Ariosto e del
Tasso, e in ultimo guarnendo – come scriveva
Metastasio al fratello Leopoldo il 22 maggio 1769 –
la traduzione del libretto del Pope con l’incisione
del volto di Omero insieme a quella di un immagine
del Cesareo con intorno un testo in greco che
paragonava sullo stesso piano Metastasio ad Omero:
Che posso io dir
mai della bellissima lettera, quanto affettuosa e
parziale, con cui cotesto illustre Comune
[Napoli, n.d.r., che in ogni caso ha fatto propria e
sostenuto l’iniziativa editoriale del Martorelli]
ha voluto così eccessivamente onorarmi
indirizzandomi l’elegante traduzione dell’elogio di
Omero scritto dal celebre Pope? Che mai posso dir
io, mio caro signor Martorelli, della strana
esaltazione dell’immagine mia collocata al fianco
del padre delle Muse? Nella giusta confusione che mi
rende muto, non sono capace di pronunciar altro per
ora che questa candida verità, cioè di non aver mai
per l’addietro così bene scoperta tutta la mia
picciolezza, come al presente la scopro negli
amorosi sforzi della mia diletta Partenope per farmi
grande. […] Voi, amico impareggiabile, voi che con
l’autorità del vostro voto avete tanto conferito a
procurarmelo[con il celebrarlo, intende
Metastasio, n.d.r.], valetevi, ve ne supplico,
delle armi medesime per far comprendere a cotesto
benefico Comune che io posso accettar l’amor suo
senza del tutto usurparlo come un generoso
contraccambio di quello con il quale io,
nell’incominciare a fare uso della ragione,
incominciai, benché a più giusti titoli, a
prevenirlo. Avrete assertori di questo vero in tutti
coloro che mi hanno sentito finora, e che in
avvenire mi sentiranno parlare della mia Napoli.
Moltissimi l’han creduta perciò, e la credono mia
patria, ed io, con una illusione che tanto mi
lusinga, giungo non di raro ad ingannar me medesimo
[…].
(Lettera di
Metastasio, Vienna 30 ottobre 1769 a Giacomo
Martorelli, IV, pp. 770-1)
La bellissima densa
lettera – sincera quanto splendida espressione di
argomentazioni retoriche – continua con altri
ringraziamenti per il dono anche del libro
dell’abate Passeri l’Etruria omerica, ma,
allorché Metastasio nel post-scriptum risponde alle
richieste del Martorelli, ecco emergere il ruolo
diplomatico, in nome e per conto di Maria Teresa,
che egli sa di non poter interpretare ad esclusivo
suo arbitrio, ben prima poi che siano riusciti a
manifestarsi a Napoli per gli Asburgo i benefici
effetti del recente matrimonio con l’inversione
della tendenza che vede Partenope troppo dipendere
da Madrid:
Sono
sensibilissimo all’amichevole vostro generoso
pensiero di provvedermi de’ vostri dottissimi
volumi, ma non son meno imbarazzato di voi nel
rintracciar le vie di farli trasportare. Gl’involti
di qualche mole mancando ogni specie di commercio
mercantile tra Napoli e Vienna sono difficilissimi a
trasmettersi con sicurezza
[…] L’unica ottima occasione è il ritorno d’alcun
nostro ministro da cotesta a questa Corte, ch’abbia
la compiacenza d’accrescere il suo bagaglio. Io
starò su l’avviso […].
L’altro
commendabilissimo vostro disegno di offerire i libri
sudetti all’imperatrice regina per arricchirne l’imperial
Biblioteca non incontra minori inciampi. Saprete già
che n’è bibliotecario il signor baron Vansuitten
[M. deforma in vario modo il cognome originario di
Gerhard e Gottfried Van Swieten, padre e figlio,
funzionari di alto rango degli Asburgo, n.d.r.],
e che questi non limita l’autorità della sua carica
ne’ confini della Biblioteca, ma dispone di tutto
ciò che è res libraria. […] Dopo
queste premesse converrete che sarebbe imprudente e
dannoso l’incamminare qualunque progetto letterario
per altro canale che per questo. Io perciò ho
fatto proporre da un suo confidente al signor barone
suddetto il nostro pensiero, con la preghiera di
secondarlo: ma egli ha risposto di non avere più
l’arbitrio di fare alla sovrana somiglianti offerte,
poiché il torrente degli omaggi letterari che
inondavano ne’ tempi scorsi la reggia ha prodotto la
risoluzione di non accettarne più alcuno. Io non mi
accheterò alla prima repulsa, tenterò di nuovo il
guado: ma non con molta speranza, poiché il
soprannominato signor barone si mostra in tutto
fortem et tenacem propositi virum. (Ibidem,
p. 773)
Non di meno, quasi
due anni dopo la pressoché negativa risposta circa
l’ingresso dei tomi del Martorelli nella Biblioteca
imperiale viennese, Metastasio scriveva al grecista
napoletano che Gottfried Van Swieten aveva di buon
grado accolto nella suddetta Biblioteca gli scritti,
come a sottolineare il riconoscimento del merito
dello studioso grazie, peraltro, e forse
soprattutto, al peso che alla corte viennese avevano
i giudizi e il ruolo del Poeta Cesareo:
Non ho mai
dubitato che il signor baron Wansvitten
[ennesima deformazione da parte di M. del cognome “barbarico”
e “arcivandalico” del potente consigliere
della corte asburgica, permessa soltanto a chi si
sarebbe come vantato con Charles Burney in visita a
casa sua l’anno dopo 1772 che egli in oltre 30 anni
di permanenza a Vienna conosceva solo poche parole
in tedesco, e soltanto «per sopravvivere»]
avrebbe resa a V.S. illustrissima nella sua risposta
tutta la dovuta giustizia, ma mi sono sommamente
compiaciuto nel leggere così ben verificata la
mia [ns. sottolineatura] espettazzione…e
nel vedere in qual alto pregio sia tenuta la sua
dottrina e gli scritti suoi da un così illuminato
conoscitore […], essendo egli uomo candido e franco
e di temperamento non lusinghiero.
(Lettera di
Metastasio a Giacomo Martorelli, Vienna 29 agosto
1771, V, p. 104)
La medesima prudenza
riguardo agli attesi ma non ancora attivi sviluppi
politici dell’arrivo di Maria Carolina alla corte di
Napoli fa consigliare a Metastasio nella
corrispondenza sempre più fitta con Saverio Mattei –
(i cui Salmi ed un Miserere vengono
messi in musica con piena soddisfazione dell’autore
e dallo stesso Poeta Cesareo da Marianna Martinez) –
di tenere in grande e rispettosa considerazione
l’azione di governo del Tanucci. Questi, fine
letterato egli stesso, oltre che grande giurista, è
pienamente disponibile e consenziente che i dotti e
i poeti esprimano nelle loro opere le più felici
speranze riguardo al matrimonio tra i rampolli della
casate Asburgo-Borbone, ma pur chiamando proprio il
Mattei a ricoprire l’insegnamento della grammatica
greca nel collegio ex gesuitico di S. Salvatore, si
tiene ancora ben lontano dal conferire agli
intellettuali napoletani, così propensi ad esaltare
questa unione, incarichi istituzionali – (ossia nel
caso del Mattei, avvocato e giurisdizionalista,
destinato alla toga di magistrato) – che possano in
qualche modo incidere sulle profonde modificazioni
dell’assetto feudale – che egli tiene saldamente ed
esclusivamente nelle proprie mani – quanto all’uso
della grande proprietà terriera della sua rendita e
delle attese intraprese produttivo-manifatturiere
che vengono poste in essere dal Tanucci anche per
marcare in particolare la totale autonomia statuale
e pubblica di Napoli e del regno dalle pretese di
sovranità ancora rivendicate dalla casata d’Austria,
e insieme dai consistenti privilegi di vassallaggio
pretesi dalla Chiesa di Roma, insieme alla
conservazione di una rilevante proprietà terriera ed
immobiliare. Dopo la presa del potere da parte di
Maria Carolina, ovvero dopo la messa in pensione
proprio del Tanucci, al regalismo di questi la
regina e Ferdinando di Borbone non potranno che dare
seguito per il consolidamento degli indubbi vantaggi
conseguiti dal politico e giurista toscano per
l’economia del Regno e per l’erario; anzi, nel 1778,
Ferdinando, sviluppando l’azione del Tanucci
inaugurerà quel capolavoro sociale e manifatturiero
della colonia operaia di San Leucio destinata alla
produzione della seta e di veli, sotto la protezione
più tardi, nel fatidico 1789, di un apposito Codice
di leggi emanato dallo stesso sovrano.
Metastasio
parteciperà da Vienna ai grandi mutamenti in Napoli,
sia corrispondendo con gli esponenti della nobiltà,
dalla principessa Anna Francesca Pignatelli di
Belmonte al successore del Tanucci, il marchese
Giuseppe Beccadelli della Sambuca, già da lui
conosciuto nella capitale imperiale come
ambasciatore di Napoli, sia con gli intellettuali,
sostenitori di profondi e a volte radicali
cambiamenti dell’assetto sociale culturale e
politico di Napoli, da Domenico Diodati a Domenico
Forges Davanzati a Michele Torcia.
Ma un vero capitolo a
parte è il rapporto che avrà con Saverio Mattei fin
dall’occasione di approvare la prudente attesa
dell’amico sotto il governo Tanucci
dell’affermazione dei suoi talenti letterari,
giuridici e di grande studioso delle lingue antiche.
A Saverio Mattei,
quindi, dopo averlo informato che l’invio in versi
metastasiani delle sue traduzioni dei Salmi biblici
a Vienna sta avendo da Marianna Martinez una
partecipe ed entusiastica intonazione musicale,
Metastasio conferma la sua approvazione alla
rispettosa considerazione dovuta a Bernardo Tanucci:
Alla graziosa
Memoria da lei a cotesto così dotto come saggio
ministro signor marchese Tanucci indirizzata, sono
ben giustamente dovuti quegli applausi che
universalmente riscuote. Essa è facile, decente,
ingegnosa e piena di quella urbana festività che fa
ispirare ilarità senza il soccorso di alcun tratto
scurrile
[…] I suoi tentativi possono servir per modelli.
Io sono ormai sì convinto che per lei non vi sia
cosa impossibile, che se le venisse il capriccio a
volare, non dispererei di vedermela comparire
improvvisamente in camera per la fenestra. Ritrovo
ogni dì più meravigliosa l’estensione de’ talenti
de’ quali la natura l’ha abbondantemente arricchita;
e perché l’amo quanto l’ammiro, vorrei pure che la
fortuna nel favorirla prendesse esempio dalla
natura. (lettera di Metastasio, Vienna 17
settembre 1771, V, p. 50).
È così che Metastasio,
bongré malgré, tiene a mettere in guardia
l’amico Mattei dal pretendere da lui stesso e
dall’arrivo di Maria Carolina il rapido manifestarsi
di magnifiche sorti e progressive nel regno.
Nei riguardi di don Saverio il Poeta Cesareo mostra
ormai una sincera ammirazione, quasi al limite di
una confessione di umiltà a fronte della giovanile
sapiente energia dello studioso, così come verso
un’altra giovane poetessa, Eleonora de Fonseca
Pimentel, con la quale egli intesserà un importante
scambio epistolare.
L’appena sedicenne
Eleonora, presentata a Metastasio dal dottissimo
ecclesiastico pugliese Domenico Forges Davanzati,
aveva inviato al Cesareo l’Epitalamio, Il tempio
della Gloria, il componimento con il quale essa
celebrava le nozze nel 1768 tra Ferdinando IV Re
delle Due Sicilie con Maria Carolina arciduchessa
d’Austria. Il 9 agosto 1770, Metastasio rispondeva
al Davanzati unendo insieme una lettera di risposta
alla de Fonseca e pregando questi di consegnargliela
egli stesso. Al Davanzati, in fine di lettera, il
Cesareo così definiva la giovanissima poetessa: «la
valorosa protettrice di Dante», anticipando così
all’amico il giudizio di sincera ammirazione per il
talento fuori dal comune della letterata di origine
portoghese, ribadito nella lettera all’autrice
dell’Epitalamio con altrettanto sincero candore:
I saggi poetici, e
specialmente l’Epitalamio, di cui ha la V.S.
illustrissima l’obbligante cura di provvedermi, così
per la nobile ed armoniosa franchezza con cui son
verseggiati, come per la vivace immaginazione che
gli anima e gli colora, e non meno per l’abbondanza
delle notizie istoriche e mitologiche onde sono
arricchiti, sarebbero già degnissimi di somma lode
considerati unicamente in se stessi; ma dove si
rifletta esser questi le prime produzioni de’ felici
talenti d’una gentil donzella che ha incominciata
appena la carriera del quarto lustro, crescono a
dismisura di merito ed assumono ragion di portenti.
Ha ben ella veduto che cotesta specie d’usurpazione
dei dritti del sesso e dell’età mia avrebbe potuto
essere in me per avventura cagione di qualche geloso
rincrescimento: e, cortese quanto ingegnosa, me ne
ha somministrato l’antidoto, asserendosi debitrice
della luminosa fermentazione del nativo suo fuoco
poetico all’assidua lettura degli scritti miei. Io
presto ben volentieri, senza verun esame, tutta la
mia fede a cotesta puramente ufficiosa asserzione,
contentissimo di poter congiungere, al dovere della
giustizia che le rendo, anche l’interesse dell’amor
proprio.
La prima bellissima
lettera di Metastasio ad Eleonora de Fonseca
Pimentel – ne seguiranno per amore della precisione
altre 11 per un totale di 12, fino all’ultima del 12
settembre 1776 – (l’anno, si noti la non casuale
coincidenza, come abbiamo già ricordato, della
conclusione dell’egemonia politica del Tanucci e
dell’avvento dell’astro di Maria Carolina alla guida
informale del governo di Napoli) – è la
dimostrazione del profondo legame intellettuale,
culturale e, potremmo esplicitamente dire,
soprattutto politico nella chiave ideal-tipica
del Potere (così come Max Weber l’avrebbe definita
con le sue categorie teoretico-sociologiche) mai
interrotto tra il partito degli intellettuali
partenopei e il Poeta Cesareo nell’arco di oltre
quattro decenni. Ora erano mature le condizioni
perché fossero finalmente declinati e vissuti i
valori positivi del genere umano: la giustizia la
lealtà l’amore di patria, la magnanimità, l’amicizia
e il perdono, in cui potevano sperare e specchiarsi
sia le classi nobiliari, sia sentirsi rappresentati
e garantiti i ceti popolari e le classi medie.
A Napoli, più che ed
oltre Vienna, la poesia insieme alla musica
avrebbero rappresentato per il genere umano la
parusia del Bene, sensibilmente offerto e
mostrato, perché la rigenerazione delle coscienze
producesse le trasformazioni di un vivere secondo le
necessità e le opportunità di una benefica natura.
La de Fonseca, dopo
l’ultimo scambio epistolare con il Cesareo, inizierà
a collaborare nel 1776 con Maria Carolina nel gruppo
di intellettuali di cui la regina si attornierà per
intraprendere a Napoli le riforme tipiche
dell’assolutismo monarchico illuminato di marca
asburgica; poi, con la crisi politica del ’97-’98 e
il successivo avvento della Repubblica partenopea
del ’99, sarà artefice del periodico rivoluzionario
Il Monitore Napoletano che, insieme alla
totale dedizione alla causa della Repubblica, le
costerà la vita a seguito della reazione sanfedista
e per decisione proprio di Maria Carolina che,
sentitasi tradita da colei cui aveva affidato la
cura della sua biblioteca e la sua protezione per
farne una protagonista a Napoli del riformismo
“illuminato”, la farà impiccare a piazza Mercato il
20 agosto 1799.
La stessa sorte
toccherà a Gregorio Mattei, figlio di Saverio, il 28
novembre 1799, colpevole di aver fatto parte
dall’aprile dell’Alta Commissione militare della
Repubblica, e di avere pubblicato il periodico Il
Veditore Repubblicano, e forse di avere seguito
le orme paterne sia nella composizione di poesie e
sonetti in stile metastasiano, sia nell’aver
abbracciato gli studi di diritto contribuendo alla
critica di legittimità dei privilegi personali e
reali derivati dal feudalesimo dell’Ancien régime.
Saverio Mattei era
scomparso quattro anni prima, il 31 agosto del 1795,
dopo avere raggiunto sotto il regno di Maria
Carolina e Ferdinando di Borbone la maggior parte
degli obiettivi della sua carriera, scalando mano a
mano prima le cariche amministrative – anche per
raggiungere la sicurezza economica garantita dalle
cariche pubbliche –, a cominciare dalla nomina di
avvocato fiscale della giunta delle Poste
conferitagli dal primo ministro Giuseppe Beccadelli
nel 1779 sino al coronamento, dieci anni dopo
nell’aprile 1789, morto Ferdinando Galiani al quale
succedette, nel conseguire la toga di consigliere e
segretario del magistrato di Commercio. Insieme però
all’attività forense che esercitò sempre per vivere
sino a quando non divenne magistrato, Saverio Mattei
raggiunse l’apice delle sue più riposte ambizioni
allorchè nel 1790 fu incaricato dai regnanti di
presiedere, come delegato, la giunta del
Conservatorio della Pietà dei Turchini, coronando
così nella sintesi teorico-pratica gli studi sugli
intrinseci rapporti tra poesia e musica dagli
antichi, dal teatro greco, ai moderni della sua
epoca, così da poter documentare, grazie alla
creazione di un organico archivio musicale via via
arricchito da donazioni anche da parte di Maria
Carolina, l’evoluzione del teatro musicale verso
l’auspicata definitiva affermazione, sua e
dell’amato Metastasio, e dell’intrinseca necessità
di dare forma ad una comunicazione
poetico-letteraria popolare, ovvero semplice e
verosimile, a cui i toni della musica e il canto
sapessero fornire le vesti più appropriate per
accrescere la forza evocativa dell’una e dell’altra
arte, fra loro alleate, e per intenderne i
significati e il senso a tutti destinato.
All’innalzamento
culturale ed intellettuale dei ceti nobiliari come
della borghesia, del popolo basso come del clero,
Saverio Mattei e il Poeta Cesareo avevano dedicato
la loro esistenza, entrambi direttamente coinvolti
nel rendere popolari e quindi a tutti comprensibili
i rispettivi testi poetici, aumentandone e come
verificando la capacità di coinvolgimento
emozionale, sentimentale e razional-passionale
invocando l’adesione e la complice collaborazione
dei compositori di musica, degli orchestrali non più
considerati e tassati come meri artigiani ma liberi
professionisti – (“vili meccanici”, usava ancora
dirsi di loro in tempi non remoti) – dei cantanti,
degli impresari teatrali.
Se leggiamo la
lettera di Metastasio a Saverio Mattei del 9 luglio
1770 riscontriamo una straordinaria sintonia tra i
due poeti anche su tutti gli aspetti particolari
riguardo alle differenze tra la rappresentazione
della tragedia nello spazio teatrale del mondo
antico e le esecuzioni nel teatro modeno.
L’argomentare nella sua semplicità tali differenze
da parte di Metastasio rispondeva all’esigenza di
richiamare ancora una volta tutti i protagonisti del
teatro musicale del tempo alla necessità
irrinunciabile del
coinvolgimento del
pubblico per raggiungere quella compartecipazione
emotivo-emozionale già provata e auto verificata
dagli stessi autori dei drammi, poeti e musicisti,
prima di mettere al mondo le loro creature.
[…] il teatro per
tutta l’antichità drammatica ch’io conosco [M.
cita Eschilo, Tespi coetaneo di Solone, fra i Greci,
Livio Andronico tra i Romani], il teatro, dico, è
stato sempre un luogo all’aria aperta, capace d’un
popolo spettatore sino alla moderna invenzione delle
nostre anguste, coperte e limitatissime sale, che or
noi onoriamo del nome di teatri. Queste a creder mio
han promosso, favorito, e reso possibile il
compostissimo sistema della nuova musica tanto
dall’antico differente. […]
Chi canta a cielo
aperto ad un popolo intero ha bisogno, per farsi
sentire, di spinger la sua voce col maggior sforzo
possibile, e cotesto sforzo non è affatto
compatibile col nostro portentoso sminuzzamento de’
tempi, eseguibile unicamente a mezza voce ed in
luogo ristretto. Or, quando il canto è composto di
tanto minor numero di parti, è sommamente minore
anche il numero delle combinazioni che ne risultano,
e per necessaria conseguenza è notabilmente più
semplice
[…]
Basta una picciola
dose di teorica per ragionare decentemente d’un
arte; ma il divenire artista è dono privativo della
lunga indefessa pratica, maestra di tutto, senza escluderne la virtù medesima, ch’ha dovuto perciò esser definita da’
saggi habitus animi ratione consentaneus.
[…] Questo penoso, eterno esercizio occupa
comunemente tanto spazio della nostra breve vita,
che non ne lascia per gli altri che sono necessari a
rendersi atti agl’impieghi o militari o civili.
Raccogliendo la
provocazione dell’impossibilità di distinguere ciò
che allora, nel Settecento, come ai nostri giorni,
intendiamo come lavoro intellettuale applicato in
tutte le manifestazioni e i linguaggi delle arti e
delle scienze rispetto al lavoro intellettuale posto
in tutte le numerose e più diverse professioni ed
attività artigianali della vita civile ed
amministrativa, potremmo concludere che allora, come
ai nostri giorni, la politica come cura, direzione e
soddisfacimento delle giuste necessità di intere
collettività all’interno di stati, nazioni e tra i
più diversi e dissimili gruppi etnici per razza e
colore della pelle, allora come oggi, non ha ancora
raggiunto quell’habitus animi ratione
consentaneus, a cui si conformarono nella
teoria e nella pratica Saverio Mattei e Pietro
Metastasio.
(continua)
Mario Valente
Salerno-Fisciano
16 dicembre 2014