Maestro concertatore e Direttore
Renato Palumbo Maestro del
Coro Andrea Giorgi
Regia Filippo Crivelli
Impianto scenico Andrea Miglio
Costumi Anna Biagiotti
Video designer Michele
della Cioppa Coreografia
Gillian Whittingham Disegno
luci
Agostino Angelini Nuovo allestimento ispirato ai bozzetti
originali di Camillo Parravicini
Le
sette rappresentazioni del Mefistofele di Arrigo Boito, la
prima martedì 16 Marzo e l’ultima replica martedì 23 Marzo, hanno
costituito un grande avvenimento artistico e spettacolare per la
stagione 2010 del Teatro dell’Opera di Roma, cui ha arriso un notevole
successo di pubblico e della critica.
Seppure ridotta ad un’esecuzione di poco
più di 2 ore e cinquanta minuti dalle oltre quattro ore della già
rimaneggiata rappresentazione voluta da Boito nel 1871, dopo
l’insuccesso del primo Mefistofele nel 1868 della durata di cinque ore e
mezzo, il nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma si è avvalso
di tutti i migliori strumenti multimediali oggi disponibili, a
cominciare dalle proiezioni video sul telo e sul fondale del
palcoscenico ispirate ai bozzetti originali creati da Camillo
Parravicini per le esecuzioni del 1955 e del 1961 alle Terme di
Caracalla.
Questo strumento ha consentito una lettura
dell’opera lirica di Arrigo Boito non soltanto di grande fascinazione
per la rievocazione delle atmosfere culturali profonde e di crisi
respirate dalla società e dalla borghesia intellettuale italiana uscite
da pochi anni dalle imprese risorgimentali con la difficile e tormentata
conquista dell’unità nazionale, ma ha anche conferito all’ambiziosa
Gesamtkunstwerk il completamento appunto di quell’Opera
totale alla quale Arrigo Boito, librettista e musicista del
Mefistofele, certamente aspirava, sulle tracce di quel Richard
Wagner, presente non a caso tra i personaggi che affiancano Faust nel
suo divenire preda del Male.
La riscoperta di questa opera lirica da
parte del Teatro dell’Opera di Roma, dopo che Mefistofele è
entrato con qualche difficoltà nel repertorio dei teatri italiani ed
europei, offre l’opportunità di ripensare e riesaminare il ruolo assolto
dal melodramma ottocentesco nello sviluppo dei grandi temi etici,
culturali e scientifici, sociali e politici, dibattuti negli anni
seguiti alla nascita dello Stato unitario, del quale nel 2011 avremo le
celebrazioni del 150° anniversario.
Vogliamo in particolare riferirci al
rapporto dialettico, ora di rivalità, ora di difficile ma sempre
ricercata collaborazione tra Giuseppe Verdi e Arrigo Boito.
La chiave per capire il ruolo assolto
dall’opera lirica italiana nella costruzione di senso e significati
della coscienza nazionale nel climax risorgimentale ottocentesco,
sembra proprio offerta dalla rappresentazione del rifiuto con cui questo
Mefistofele riesce a mettere sotto scacco un ordine morale, culturale,
scientifico, sociale e politico sovraordinato ed imposto ad ogni sorte e
destino degli italiani di qualsiasi condizione e ceto sociale
individuale.
La sensibile trasfigurazione scenografica
della comune memoria e tradizione religiosa cattolica alla fine del
prologo sinfonico con l’apparizione di Mefistofele sulla torre meccanica
che immette nel configurarsi delle cattedrali quali fabbriche
dell’industria capitalistica dissacra ogni illusione di partecipazione
individuale verso la costruzione di una comunità coesa, cioè unita da
consapevoli fini realizzabili.
La stessa ricerca da parte di Faust
dell’immortalità conquistata nel sapere scientifico, con l’aiuto di
Mefistofele, entra in insanabile contrasto con la ricerca della felicità
individuale e familiare rappresentata dall’amore per Margherita condotta
dal Male a negare e sopprimere gli affetti più sacri pur di conquistare
anch’essa la propria autonoma sovranità.
La sconfitta dell’egoismo possessivo di
cui ognuno dei protagonisti è a suo modo artefice, con diversi scopi e
mezzi, tra loro pressoché incomunicabili, rivela nell’opera lirica di
Arrigo Boito il fallimento della possibilità della declinazione della
storia post-risorgimentale nella prospettiva virtuosa del noi,
cioè dei valori etico-religiosi della tradizione cristiano-cattolica ed
in quella della koyné popolare e populistica cantata dalla grande
opera verdiana.
Se
questo – come riteniamo – è il contributo del disincanto cui approda il
cinismo critico di Arrigo Boito dopo avere partecipato egli stesso alla
III guerra di Indipendenza, al di là di ogni retorica dei valori e di
ogni sorte felice e progressiva, questa esecuzione del suo Mefistofele
consente di riscoprire anche un compositore per nulla affatto né
semplice né scontato, anzi estremamente agguerrito nel produrre
assonanze, suggestioni e avvicinamenti, con il linguaggio della musica,
al senso della crisi che ha investito ormai un’intera epoca.
Forse più che con l’influenza di Nietzsche
riteniamo che il compositore forse più colto della generazione della
seconda metà dell’Ottocento vada misurata con quella della noluntas
di Arthur Schopenhauer, ovvero con il tentativo di contenere più
possibile il desiderio come motore del vivere, fino all’annullamento
della stessa illusione della contemplazione, esemplificata nell’ultimo
Atto con la dissacrazione del mito arcadico e di Elena, emblema
dell’amore classico ed apollineo.
La direzione orchestrale del M° Palumbo si
è rivelata tra le più misurate ed accorte nell’assecondare una partitura
piena di discontinuità armoniche e melodiche, rivolta all’enfatizzazione
del canto narrante dei personaggi, dei quali è soprattutto piaciuto per
presenza scenica e portanza vocale il basso Orlin Anastassov nella parte
di Mefistofele, mentre il tenore Stuart Neill in quella di Faust ha dato
un’ennesima dimostrazione delle sue doti interpretative anche se forse è
parso non completamente a suo agio nella figura tormentata e irresoluta
del suo personaggio.
Ottimo il contributo del coro,
perfettamente preparato nel rappresentare l’attore collettivo-popolare
non-decidente.
Infine, un sincero plauso al libretto di
sala come pochi denso di interessanti notazioni storico-culturali e
completo nell’informazione artistica, anche se l’analisi letteraria e
filosofica della figura e dell’opera di Arrigo Boito risulta trattata
come a compartimenti stagni, cioè non esaurientemente vagliata alla luce
della più recente storiografia.
Roma, 26 Marzo
2010 Mario Valente