Il ruolo di Pietro
Metastasio riguardo all’influenza esercitata dalla
scuola musicale napoletana sul Classicismo
viennese è strettamente legato alla sua funzione di
Poeta Cesareo a Vienna, a seguito della nomina da
parte dell’imperatore Carlo VI già alla fine degli
anni Venti del Settecento, carica assunta da
Metastasio nella primavera del 1730.
È
importante fare notare che se pure è vero che la
diffusione e la conoscenza in tutta Europa delle
composizioni di musicisti come Niccolò Porpora, Leo
Vinci, Giambattista Pergolesi, Leonardo Leo, Johann
Adolph Hasse nella prima metà del XVIII secolo
percorre le strade peculiari dell’arte tonale,
proprie degli intensi scambi tra i diversi centri in
Europa, scambi assecondati e favoriti sia dalle
pubblicazioni delle partiture sia anche, se non
soprattutto, dal lavoro instancabile della
riproducibilità di questo linguaggio dell’arte da
parte di un vero e proprio piccolo esercito di
copisti, sarà decisiva per il ruolo pubblico presso
le diverse corti d’Europa, realmente occupato dai
musicisti di scuola napoletana, la funzione, il
prestigio e la fama via via acquisite da Pietro
Metastasio sul palcoscenico viennese, il centro
politico ed artistico più rilevante in Europa
centrale, sul quale palcoscenico, dal 1730 al 1782,
anno della sua morte, egli godrà di un’autonomia
artistico-culturale all’interno del sistema tardo
feudale del Sacro Romano Impero Germanico a
pochissimi altri personaggi delle arti e
dell’intellighenzia concessi in quel secolo.
Leo Vinci (a sinistra), Johann Adolph Hasse (a
destra)
Infatti, la
predilezione e collaborazione avviata da Metastasio
prima di tutto a Napoli con i maggiori compositori
della scuola napoletana dal 1719 al 1724 contribuirà
in modo determinante ad accrescere e a rendere
stabile quella sorta di egemonia sul teatro musicale
in Occidente, se è vero come è vero che al periodo
giovanile napoletano seguirà quello altrettanto
importante, seppure più breve, della fondamentale
esperienza romana come vero e proprio impresario del
Teatro delle Dame (ex-Alibert) dal 1727 al 1730, in
simbiosi artistica con Leo Vinci e Marianna Benti
Bulgarelli.
Il completo successo
e il decollo a Roma del melodramma metastasiano
sulla scena dello spettacolo di massa del tempo
costituiscono perciò il passaporto per
l’affermazione in tutta Europa sia dell’opera per
musica di Metastasio sia dei compositori napoletani
che hanno intonato i versi del poeta romano.
I nomi dei
compositori, ben noti a tutta la storiografia
musicale degli anni Venti e Trenta del Settecento,
come ho prima già ricordato, rispondono oltre a
personalità come quelle di Niccolò Porpora, di
Alessandro e Domenico Scarlatti, soprattutto a
quella di Leo Vinci, la cui collaborazione con la
poesia per il teatro musicale di Metastasio, copre
sia il periodo napoletano sia quello di Roma,
concludendosi, purtroppo, proprio nel 1730, pochi
mesi dopo la partenza definitiva del poeta alla
volta di Vienna, con la improvvisa e in qualche modo
misteriosa morte del musicista di Strongoli.
Il rapporto di
stretta e diretta collaborazione tra i musicisti di
scuola napoletana e Pietro Metastasio va integrato
con le intonazioni dei drammi del Poeta Cesareo cui,
in tutta la sua vita, metterà mano Johann Adolph
Hasse, sassone, ma appartenente di diritto e
formazione alla scuola musicale napoletana, e con
quelle di G.B. Pergolesi e di Leonardo Leo.
Pompeo Batoni, Ritratto di Leonardo Leo (a
sinistra) - Ritratto di G.B. Pergolesi (a destra)
Sia le musiche di
Hasse che quelle di Pergolesi e di Leonardo Leo,
composte sui drammi di Metastasio prescindono,
specie per il secondo e per il terzo, da un diretto
rapporto di collaborazione artistica con il poeta,
sia nella fase napoletana sia in quella romana,
mentre con l’Hasse le intese per vie indirette si
faranno via via sempre più forti sino
all’affidamento al sassone dell’intonazione del
dramma Attilio Regolo (Dresda, 1750), l’opera
che segna (e in parte conclude) l’acmé della
funzione didascalico-etico-politica degli Asburgo
così come Metastasio ha voluto rappresentarla lungo
il decennio 1730-1740. Sia le musiche di Pergolesi
sia quelle di Leonardo Leo sono determinanti per
capire l’estendersi di una vera e propria egemonia
artistico-culturale del dramma per musica italiano e
di scuola napoletana in tutta Europa fino al
manifestarsi del classicismo viennese nella
parte conclusiva del XVIII secolo.
Occorre infatti
considerare che, nonostante Metastasio sia stato
obbligato dalla corte viennese e dagli imperatori
Asburgo a servirsi per le intonazioni dei suoi
drammi, feste teatrali e oratori dei musicisti di
corte Caldara, Reutter, Porsile, Bonno, Gassmann
fino a Salieri, il nucleo estetico-emozionale
sfocerà ed entrerà in fusione con gli stilemi
musicali propri del classicismo viennese degli
Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert, grazie sì alla
varietà creativa ed interpretativa appunto della
scuola musicale napoletana, ma in virtù, anche,
dell’organismo poetico metastasiano, razionalmente
strutturato attraverso il mirabile alternarsi dei
recitativi, in funzione narrativa, con le arie
rivolte ora ad espandere e rafforzare le pulsioni
delle passioni e dei sentimenti, ora a creare una
sapiente e misurata presa di distanza dai tumulti
dei moti del cor. (È bene comunque ricordare
che Giuseppe Porsile e Giuseppe Bonno, maestri di
cappella alla corte viennese, furono bene accetti a
Metastasio, se non da lui stesso scelti, provenendo
anch’essi per studi e formazione dalla scuola
musicale napoletana).
Sarebbe già semplice
dimostrare la reciproca interazione tra poesia e
musica nell’opera di Metastasio, quale modello di
riferimento per la Wiener Klassik,
ricordando quale influenza abbia esercitato, ad
esempio sulla formazione musicale di Joseph Haydn,
per la stessa ammissione di questi, la lezione di
Niccolò Porpora nel suo passaggio a Vienna negli
anni Cinquanta del Settecento, allorchè Porpora
dando lezioni di canto e musica nella casa viennese
di Metastasio alla giovanissima Marianna Martinez,
figlioccia del Cesareo, si faceva aiutare da Haydn
nell’accompagnare al cembalo le prove musicali della
fanciulla sulle sue partiture, mentre andava
severamente rimbrottando lo stesso Haydn spesso
incapace di intendere ed eseguire correttamente i
passaggi contrappuntistici e di accompagnamento
delle musiche.
Così Albert Christoph
Dies, pittore paesaggista, inviato dal principe
Nikolaus Esterházy a raccogliere dal vecchio Haydn a
Vienna le memorie della sua vita, registra e
trascrive l’apprendistato del musicista di Rohrau
presso l’ormai anziano Porpora:
Niccolò Porpora
Ricordai a Haydn
la sua soffitta e volli sapere come riuscì ad
andarsene
[nella soffitta della Michaelerhaus, sopra casa
Metastasio, pioveva e le coperte e gli indumenti
erano spesso zuppi, n.d.r.]«Feci la conoscenza
del famoso maestro di cappella Porpora, le cui
lezioni erano molto richieste e che, forse a causa
dell’età, cercava un giovane assistente, e lo trovò
nella mia persona. Tra gli allievi c’era una giovane
fanciulla tra i sette e i nove anni. Il famoso
Metastasio era il benefattore della madre e della
figlia, a cui faceva dare lezioni di canto da
Porpora a proprie spese»
La Grosses Michaelerhaus e la Michaelerkirche in una
stampa del 1750. In questa casa Metastasio visse
cinquantadue anni e qui Burney visitò il Poeta
cinque volte.
Per queste lezioni
il vecchio Porpora si servì del giovane Haydn, il
quale si assunse con gioia l’incarico, […] e fu
assai felice di guadagnare due fiorini al mese.
Porpora insegnava il canto alla ragazza e Haydn, che
accompagnava al cembalo, ebbe una preziosa occasione
di conoscere a fondo e di praticare il metodo
italiano sia nell’accompagnamento sia nel canto.
Porpora esigeva assoluta obbedienza da Haydn, il
quale sopportava con pazienza tutte le sue sfuriate
e umilmente taceva quando quello gli urlava
«Bestia! Coglione! Asino!»
D’estate, quando doveva accompagnare Porpora in
campagna, addirittura gli lucidava le scarpe.
Tollerava tutto volentieri, perché da quell’uomo
imparava molto. Il destino di Haydn parve prendere
una svolta favorevole. Conobbe Metastasio, che gli
diede utili consigli e nella cui casa Haydn apprese
in fretta la lingua italiana. (A. Ch. Dies,
Notizie biografiche su Joseph Haydn/ redatte e
pubblicate/ in base ai suoi racconti orali, in
Haydn Due ritratti e un diario, a cura di A.
Lanza e E. Restagno, EDT, Torino 2001, p. 91).
Joseph Haydn
Ma ciò che potrebbe
assumere una mera valenza aneddotica per il rapporto
tra scuola musicale napoletana-Metastasio e Haydn
l’alfiere-portabandiera del classicismo viennese,
trova poi un riscontro rilevante nel lungo periodo
passato dal musicista alla corte del principe
ungherese Esterházy a Ŝopron, al cui servizio egli
non solo era chiamato a comporre e fare eseguire sue
musiche originali ma anche quelle di compositori di
scuola napoletana come, tra gli altri, Porpora,
Jommelli, Piccinni ed Anfossi, così come
testimoniato dalle loro partiture annotate dallo
stesso musicista di Rohrau presenti nella mostra
permanente del castello di Esterháza, nella cui
biblioteca, peraltro, non sorprenderebbe affatto
ritrovare, finalmente, le musiche manoscritte o in
copia di Andrea Luchesi…solo si avesse la pazienza e
la cura di cercarle.
Castello Esterházy-Fertòd
Ma occorre tornare a
Niccolò Porpora per ricordare che la fortuna di
Pietro Metastasio a Napoli e la collaborazione con
la scuola musicale napoletana ebbe inizio con quegli
Orti Esperidi, festa teatrale commissionata
al futuro Poeta Cesareo dal Vice-Re di Napoli,
Marc’Antonio Borghese, per celebrare il 28 agosto il
compleanno di Elisabetta Cristina, moglie
dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo, in cui esordì
sulle scene giovanissimo Carlo Broschi “Farinelli”,
allievo del Porpora nel canto. Proprio Niccolò
Porpora mise in musica la festiva composizione.
“Farinelli” sarebbe divenuto il sopranista più
famoso del XVIII secolo, richiesto da tutte le corti
d’Europa, l’amico inseparabile di Metastasio per
tutta la vita.
Nella parte di
Venere, Porpora chiamando ad interpretarla Marianna
Benti Bulgarelli “La Romanina” favoriva l’inizio di
un lungo sodalizio artistico e sentimentale che
avrebbe consentito a Metastasio l’esordio nel
melodramma con Didone abbandonata, portato ad
inaudito successo al Teatro San Bartolomeo di Napoli
nel carnevale del 1724 con le musiche di Domenico
Sarro e con la straordinaria interpretazione della
stessa “Romanina” nella parte della tragica regina
virgiliana.
«Marianna Benti detta la Romanina cantatrice e
moglie di Bulgarelli; feci questo stesso medesimo
disegno in medaglia per mandarlo in Inghilterra. Il
Cav. Ghezzi, il dì 14 Luglio 1728»
La collaborazione tra
Metastasio e Niccolò Porpora avrebbe avuto un
seguito nel 1726 a Venezia con la messa in musica
del Siface, libretto rielaborato quasi
completamente da parte del poeta romano su un
precedente testo di Domenico David, La forza
della virtù, dopo essersi ispirato e avere
rielaborato anche un altro libretto dello stesso
David, Creonte tiranno di Tebe. “Il
raffazzonamento del raffazzonamento” – come ha
giustamente osservato Lucio Tufano in Il
melodramma di Pietro Metastasio…a cura di A.
Caira Lumetti e E. Sala Di Felice, Roma, 1998, p.
197 – aveva l’effetto di raggelare pressoché per
sempre la stretta intesa tra il compositore
napoletano e il futuro Poeta Cesareo, in
considerazione di una sorta di tributo versato da
quest’ultimo, quasi obtorto collo, ad
un’eredità di genere e stile arcadica, più consona
al Porpora che non ormai al poeta romano che, sempre
a Venezia, dopo avere rinverdito il successo di
Didone abbandonata al S. Cassiano, rivista in
molte arie e recitativi e messa in musica da
Tomaso Albinoni), nello stesso 1726 componeva per il
Teatro S. Giovanni Grisostomo della famiglia Grimani,
Siroe re di Persia con le musiche di Leo
Vinci.
Teatro S. Giovanni Grisostomo, Venezia
Sia nel primo
melodramma sia nel Siroe, le parti della
protagonista femminile vedevano Marianna Benti
Bulgarelli contribuire potentemente al pieno
successo di entrambe le messe in scena. Il
protagonismo artistico di Niccolò Porpora non gli
avrebbe impedito altre intonazioni dei drammi di
Metastasio negli anni immediatamente successivi,
prima della partenza per Vienna – (capitale della
Mittel-Europa in cui sarebbe tornato più volte) –,
ed infine per Londra dove avrebbe esportato con la
sua grande conoscenza e maestria nell’arte del canto
e della migliore tradizione musicale napoletana
l’opportunità di contendere nel teatro di Haymarket
a Georg Friedrich Haendel la supremazia nell’opera
seria presso il pubblico aristocratico inglese, così
come propriamente espressa e sviluppata dalla
scuola musicale napoletana. A Londra all’impresa del
Porpora si sarebbe unita la inarrivabile maestria
dell’evirato cantore Farinelli, ormai universalmente
affermato ed applaudito sopranista, dopo il suo
passaggio a Vienna dove ebbe addirittura un
memorabile incontro e colloquio con l’imperatore
Carlo VI.
Haymarket Theatre, London
Anche se la
conclusione a Londra, nella seconda metà degli anni
Trenta, della presenza di Porpora e di Farinelli
rivela in qualche modo la vittoria di Haendel nella
tenzone musicale.
La strada per la
scuola musicale napoletana in Inghilterra era ormai
spianata per i decenni a seguire del Settecento,
tanto da costituire un modello di riferimento per
compositori come Thomas Arne, tra i maggiori
interpreti del melodramma metastasiano in terra
inglese.
Non è di poco conto
osservare allora che Charles Burney, considerato il
primo tra i moderni storici della musica
propriamente intesi, nonostante l’ammirazione per
Haendel e il suo stesso discepolato dal sassone,
abbia assunto la convinzione dalle esperienze dei
Porpora e dei Farinelli maturate nella sua terra,
insieme a quelle di molti altri musicisti napoletani
ospiti all’Haymarket londinese in tutto il corso del
Settecento, che la supremazia della musica italiana
nell’armonia, nella melodia, nel canto e quindi
nell’opera seria non avesse rivali in Europa,
neppure in quella Germania che pure poteva vantare
giganti dell’arte tonale come Georg Philipp Telemann
e Jh. Sebastian Bach, per non parlare di G.F.
Haendel, oramai acquisito alla causa
artistico-culturale inglese, dopo peraltro il
decisivo passaggio con maturazione
stilistico-espressiva a Roma a Napoli e a Venezia.
E a proposito di
Haendel, va osservato che il sassone al fine di
ritagliarsi a Londra uno specifico autonomo campo di
espressione musicale in cui non dovesse temere
concorrenza né da parte dei molti compositori
italiani né dai (pochi) conterranei germanici,
preferì nell’ultimo quindicennio della sua esistenza
dedicare pressoché tutte le energie compositive
all’Oratorio, riannodando il filo rosso di questa
ispirazione formale avviato con la rilevante
esperienza de La Resurrezione a Roma nel
1708, a contatto e in competizione con Arcangelo
Corelli, ma soprattutto e in particolare con altri
due esponenti di scuola napoletana, il vecchio
Alessandro Scarlatti, primo insegnante del Farinelli
a Napoli e grande interprete del genere oratoriale,
e di Domenico Scarlatti.
A Niccolò Porpora
che, come abbiamo visto, ritroveremo a Vienna negli
anni Cinquanta maestro iroso di J. Haydn, tra la
fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni
Cinquanta, subentrerà nel cuore del Poeta Cesareo un
altro eminente musicista di scuola napoletana, della
seconda generazione dopo i Vinci, Feo, Sarro,
Pergolesi e Leo, quel Niccolò Jommelli che
Metastasio si affretta a raccomandare a Farinelli,
ormai dominus alla corte di Madrid – insieme,
guarda caso, a Domenico Scarlatti –degli spettacoli
musicali e dell’opera seria, padrone degli affetti
di Barbara di Braganza e del marito Ferdinando VI di
Borbone.
Teatro del Buen Retiro, Madrid
Nello stessa lettera
del 12 novembre 1749 in cui Metastasio da Vienna sta
definendo con Farinelli a Madrid l’invio per terra e
per mare di una muta di ben 16 grandi cavalli
Lichtenstein destinati alla corte dei sovrani di
Spagna e al primo ministro Ensenada, con tutta la
sua autorità di Poeta Cesareo conferisce al
musicista di Aversa una sorta di patente quale
compositore di livello europeo:
Corrado Giaquinto, Farinelli
Già che vi è carta
e che ho scritto sì poco
[in realtà Metastasio, in vena di autoironia, aveva
scritto una lunghissima lettera piena di
avvertimenti tecnico-logistici per la spedizione dei
cavalli da Vienna a Madrid, n.d.r.], vi
applicherò qui una notizia, non una raccomandazione.
Sappiate che ha composte qui due Opere mie un
maestro di cappella napolitano chiamato Niccolò
Jomelli, uomo di trentacinque anni in circa, di
figura sferica, di temperamento pacifico, di
fisionomia avvenente, d’ottime maniere e di costume
amabilissimo. Egli mi ha sopreso. Ho trovato in lui
tutta l’armonia del Sassone [Metastasio si
riferisce a Jh. A. Hasse, al quale da poche
settimane, in ottobre, ha commissionato a Dresda la
messa in scena dell’Attilio Regolo, intonato
dallo stesso musicista, insieme ad un suo memorabile
piano di regia teatrale, n.d.r.], tutta la grazia
tutta l’espressione e tutta la fecondità del Vinci.
Presentemente è corso a Venezia a mettere in iscena
il mio Ciro, e torna subito in Vienna per far
l’istesso servizio alla Didone; oltre di che
è fermato per l’anno venturo a comporre due opere
per questo teatro. Voi ne avrete certamente notizie
altronde, ma è bene che ne sappiate anche il mio
voto. Mi pare ch’egli desideri di farsi sentire
in Spagna. Se mai vi occorre, io vi
assicuro che vi farà onore. Egli verrà, se lo
volete, per un anno o per due: oltre le sue opere
che farà di nuovo, non avrà difficoltà d’accomodar
quelle opere vecchie che vorrete: e, se vi trovaste
più comodo a farlo scrivere e mandare le sue
composizioni, come si è fatto con Leo, accetterà
parimente il partito. Insomma è pasta da dargli
quella forma che si vuole. Fate uso della notizia,
che non è raccomandazione, e non esigge risposta
ostensibile. Addio, caro gemello, non ne posso più
per oggi. (Lettera a Carlo Broschi Detto
Farinello – Madrid, Vienna 12 Novembre 1749, in P.
Metastasio, Tutte le Opere, a cura di B.
Brunelli, Voll. I-V, Milano, Mondadori, 1943-954,
III, pp. 444-5.
Alla
non-raccomandazione di Metastasio, Farinelli
avrebbe immediatamente dato seguito facendo mettere
in scena nell’ordine a Madrid per i suoi amati
regnanti queste opere del Cesareo messe in musica
dallo Jommelli: Demetrio, il 23 settembre
1751 al Teatro del Buen Retiro, Didone
abbandonata, esattamente l’anno seguente, 1752,
ed infine nel 1753, sempre per il compleanno di
Ferdinando VI, Semiramide riconosciuta. Va
peraltro ricordato che già nel 1750, Metastasio
inviando a Madrid insieme ai 16 cavalli
Lichtenstein anche il libretto dell’Attilio
Regolo coltivava la speranza che fosse Jommelli
a metterlo nuovamente in musica, dopo l’Hasse a
Dresda, per una rappresentazione alla corte di
Spagna. I sovrani spagnoli, e Barbara di Braganza in
particolare, per motivi di opportunità
politico-culturale, essendo il dramma del Cesareo
un’evidente esaltazione dell’ispirazione
etico-politica del defunto Carlo VI Asburgo, non
ritennero di dare seguito al suggerimento, e
preferirono esprimere il loro apprezzamento e la
loro riconoscenza inviando a Metastasio un sontuoso
brillante, consentendo inoltre ben volentieri che
Niccolò Jommelli mettesse in musica altri drammi di
Metastasio a Madrid, rielaborati per l’occasione
dallo stesso poeta e curati dalla sapiente direzione
registico-teatrale di Farinelli. Nella
triangolazione Vienna-Madrid-Napoli, protagonisti
Metastasio-Farinelli-Jommelli, va notata nel 1757 la
nuova intonazione della Nitteti di Metastasio
al S. Carlo con le musiche di Niccolò Piccinni in
collaborazione con Gioacchino Cocchi, il maestro di
Andrea Luchesi, dopo la prima rappresentazione
assoluta del dramma a Madrid il 23 settembre del
1756 con la musica di Nicola Conforto. Sulle musiche
del Cocchi, peraltro ascoltate a Vienna per altre
composizioni, Metastasio avrebbe espresso nel suo
epistolario un giudizio quasi entusiastico.
Si può quindi
sostenere che l’ottima considerazione in cui ormai è
tenuta la composizione musicale di Niccolò Jommelli,
alle corti di Vienna e di Madrid, con il dichiarato
esplicito ed entusiastico parere di Metastasio abbia
influito nella decisione del duca Carl Eugen di
Württemberg di nominare il musicista di Aversa come
kapellmeister a Stoccarda (e poi a
Ludwigsburg) dal 1° gennaio del 1754, dopo averlo
incontrato a Roma nella veste di maestro della
Cappella Giulia in S.Pietro e averne ammirato le
musiche oratoriali nella chiesa dei tedeschi di S.
Maria dell’Anima.
A Stoccarda e a
Ludwigsburg per oltre tre lustri Jommelli avrebbe
esercitato un’influenza di rilievo, universalmente
riconosciuta, su tutta la produzione musicale del
centro Europa, tanto da essere raggiunto, fra gli
altri desideranti visitatori, il 6 luglio del 1763
da Leopold e Wolfie Mozart – allora prodigioso
musicista di sette anni che riuscì ad eseguire nella
casa di Jommelli, alla presenza del maestro, insieme
alla sorella Nannerl, un piccolo concerto. Ottenne
da Jommelli soltanto tiepide approvazioni e una
breve lezione, cosicchè il padre potrà scrivere ad
un amico: «Il sommo
Jommelli è talmente prevenuto contro la musica
tedesca che si è molto stupito di come un bambino
austriaco possa avere un simile genio musicale,
tanto spirito e tanto ardore».
Ludwisgburg, Castello dell'Elettore
Sette
anni dopo nel 1770, Wollfie Mozart a 14 anni, nel
suo viaggio in Italia passava per Napoli ed
assisteva alla rappresentazione di Armida
abbandonata al S. Carlo con le musiche di
Jommelli, che tornava definitivamente a Napoli dopo
avere rinunciato forzatamente, a seguito del
deterioramento dei rapporti con il duca Carl Eugen,
alla carica di maestro di cappella a Stoccarda e a
Ludwigsburg. W.A. Mozart in qualche modo così
ricambiava la tiepida accoglienza di 7 anni prima
con questo giudizio sulla musica dell’aversano:
«È
bella - scrive Wolfgang in una lettera al padre
datata 7 giugno 1770 - ma ben troppo dotta, e
antiquata, per il teatro».
L’arrogante sicurezza
ante-litteram di tale giudizio senza appello
riguardo al maestro di Aversa parrebbe essere
sottolineata dalla messa in musica dell’Oratorio di
Pietro Metastasio, Betulia liberata, che W.A.
Mozart compose l’anno dopo nel 1771 in gara con
altri due musicisti a seguito della committenza dei
nobili padovani che invitarono, oltre al giovane
salisburghese, Giuseppe Callegari e il ceco Josef
Myslivecek.
L’Oratorio, però, non
venne eseguito né allora per la Quaresima del 1772 e
neppure nel corso dei decenni successivi, tanto che
nel 1784 Wolfie richiese l’invio a Vienna del
manoscritto al padre Leopold che lo aveva conservato
in casa a Salisburgo, mentre, stranamente, la
partitura di Myslivecek, non è mai stata trovata.
Wolfie aveva
conosciuto a Bologna nel 1770 Myslivecek, aveva
stretto con lui una sincera amicizia, ricevendo dal
compositore praghese sincere espressioni di
affettuosa stima per il rimarchevole talento messo
in mostra.
Joseph Myslivecek
Il praghese
acconsentiva volentieri alle richieste per lettera
di Leopold Mozart di consigliare e seguire il figlio
nella difficile arte della composizione musicale.
Niccolò Jommelli si
era, a sua volta, già cimentato con l’intonazione
della metastasiana Betulia liberata nel
lontano 1743 a Roma su committenza della
Congregazione di San Filippo Neri – (replicata poi
fino al 1785 ben 15 volte in Italia e a Praga) –,
così da far ritenere non del tutto infondato il
sospetto che il giovane W.A. Mozart abbia ricevuto
sotto forma di sapiente ammaestramento compositivo
proprio da Myslivecek la partitura della Betulia
– andata misteriosamente perduta – dalla quale,
quanto meno, dovette prendere forte ispirazione per
condurre a compimento la rivalsa nei confronti di
Jommelli e mettere su carta, cioè in forma
musicalmente irreprensibile e perfetta, la
trasformazione dell’Oratorio in una vera e propria
rappresentazione teatrale di argomento sacro.
Di queste vendette e
rivalse incrociate le vicende dei compositori della
Wiener Klassik (e non soltanto di questi) è piena
la storia della musica del XVIII secolo, specie nei
confronti dei compositori della scuola napoletana
mal sopportata dai musicisti di lingua e nazionalità
tedesca, indispettiti dalla incontrastata presenza
dei primi in tutte le corti d’Europa, ed in qualche
modo anche verso lo stesso Metastasio se ricordiamo
che ancora W.A. Mozart per risolvere a suo favore la
crisi politica, economica ed artistico-culturale a
Vienna, scatenatasi con l’ascesa al trono imperiale
di Leopoldo II dopo la morte improvvisa del fratello
Giuseppe II, dovette decidersi a «ridurre a vera
opera» La clemenza di Tito (con l’aiuto del
librettista Caterino Mazzolà), al fine di essere
ammesso all’incoronazione del nuovo imperatore a
Praga e a Francoforte, così da riottenere, grazie
all’emblematica clemenza metastasiana quale
attribuzione etico-politica propria degli Asburgo, i
perduti favori della corte viennese per gli sprechi,
le malversazioni e gli intrighi subiti dai teatri di
corte, tutte colpe imputate a Da Ponte, Salieri e
allo stesso Mozart durante il governo di Giuseppe II.
Sappiamo che pochi
mesi dopo l’infruttoso tentativo con la
rappresentazione a Praga della Clemenza di Tito
il 6 settembre del 1791, ridotta dal Mazzolà in due
atti, il 5 dicembre dello stesso anno, Mozart
terminava la sua esistenza, vittima della
bastonatura, andata oltre il segno, comminatagli da
sicari inviati da Franz Hofdemel, funzionario di
tesoreria degli Asburgo, compagno della stessa
loggia massonica il cui dominus era stato lo
stesso imperatore Giuseppe II. Dal suo canto
Costanza Weber, moglie di W.A. Mozart, assente da
Vienna mentre il marito moriva, continuava a
sfruttare le sue opere musicali, sia quelle
autenticamente composte sia quelle a mala pena
iniziate, come il Requiem, quasi
completamente scritto dall’allievo Sussmayr e da
Eybler.
Antonio Salieri,
coinvolto anch’egli in parte nell’emarginazione
dalla vita e dai ruoli artistici a corte, dopo la
condanna all’esilio di Lorenzo Da Ponte e lo
scandalo della morte di Mozart, sopito e segretato
da Gottfried van Swieten, consigliere di Leopoldo II,
non solo continuava ed accresceva la funzione di
trasmettere al mondo musicale del nuovo classicismo
viennese la poesia e l’opera seria di Pietro
Metastasio, al cui culto si era d’altronde
incamminato già con l’arrivo a Vienna al seguito di
Florian Gassmann nel lontano 1766, ma si incaricava
di curare l’educazione e la formazione musicale di
Carl Thomas Mozart, raccogliendo così nell’agire
reale della vita l’eredità dell’etica dei valori e
delle eroiche virtù rappresentate dalla poesia per
il teatro musicale di Metastasio come beneficio
educativo per i comuni mortali e regole universali
per l’esercizio del potere da parte dei Sovrani
assoluti dell’Europa del XVIII secolo.