Raffaele Mellace
L’autunno del Metastasio
Gli ultimi drammi per musica di Johann Adolf Hasse

Firenze, Leo Olschki Editore, 2007, pp.312, €. 30,00
ISBN 978-88-222-5688-1

      

Nella bella ed importante collana musicale dell’editore Leo Olschki, «Historiae Musicae Cultores» diretta da Lorenzo Bianconi, il CX volume pubblicato presenta un complesso ed articolato studio di Raffaele Mellace, L’autunno del Metastasio/ Gli ultimi drammi per musica di Johann Adolf Hasse nel quale l’allievo di Francesco Degrada mette a frutto ricerche ed indagini di anni su Johann Adolf Hasse, tra i più rilevanti e famosi musicisti del XVIII secolo, prima dell’avvento dell’astro di W.A. Mozart.

L’Hasse fu tra i compositori dell’epoca e dell’opera di Pietro Metastasio tra i più amati dal Poeta Cesareo (insieme a Leo Vinci e a Niccolò Jommelli), con il quale il musicista ebbe un forte ed indissolubile sodalizio non solo artistico ma di fraterna  amicizia, rapporti entrambi corroborati dall’ammirazione di Metastasio per la cantante Faustina Bordoni, moglie dello Hasse, dalla pressoché contemporanea esperienza giovanile nella Napoli degli anni Venti durante la fioritura della scuola musicale napoletana (Durante, Alessandro Scarlatti, Sarro, Pergolesi, Porpora, Vinci, etc.), dal periodo viennese trascorso dal sassone accanto al poeta negli anni Sessanta-Settanta del Settecento, dopo la conclusione del ruolo di Kapellmeister di Hasse alla corte di Dresda, ed infine per essere Metastasio ed Hasse quasi coetanei, essendo nato il poeta nel 1698, il musicista un anno dopo nel 1699, quasi accomunati anche nella conclusione dell’esistenza avvenuta per Metastasio nel 1782 a Vienna, per Hasse a Venezia nel 1783.

Il momento più rilevante ed originale della collaborazione tra Metastasio ed Hasse è  costituito dalla famosissima lettera del 20 ottobre 1749 con cui il Poeta Cesareo con un vero e proprio trattatello di estetica e regìa teatrale suggeriva al sassone come e in quali momenti del dramma Attilio Regolo fare intervenire la sapiente elaborazione del linguaggio musicale ad esaltare il ductus dell’azione scenica.

Di questo memorabile ed inarrivabile topos dell’interazione tra linguaggio della poesia e linguaggio della musica nella storia del melodramma settecentesco, nonché nella storia stessa dei rapporti tra Metastasio ed Hasse, il Mellace esamina e riferisce soltanto come a Niccolò Jommelli che, nel marzo 1750, cinque mesi dopo la spedizione della lettera allo Hasse, ne chiedeva copia per ispirarsi egli stesso al magistero metastasiano nel mettere in musica a sua volta a Roma l’Attilio Regolo, ebbene al compositore napoletano, all’amato Jomella, Metastasio e lo stesso Hasse rifiutavano con diversi pretesti     (scuse?) l’invio della lettera. Il mistero che sembra ancora avvolgere la scelta di Metastasio di negare a Jommelli copia del suo progetto estetico-registico dell’Attilio Regolo alla luce degli avvenimenti storici degli anni Quaranta e Cinquanta del XVIII secolo, dopo la morte di Carlo VI d’Asburgo nell’ottobre 1740, in realtà tale non è se consideriamo che nell’eroe romano Metastasio raffigurava nel più alto grado le virtù dell’amato imperatore viennese, e in particolare che Jommelli visitando il Poeta Cesareo a Vienna proprio alla fine degli anni Quaranta era a conoscenza della lettera al collega Hasse:

In Regolo […] ho preteso di dar l’idea d’un eroe romano d’una virtù consumata non meno per le massime che per la pratica, […] rigido e scrupoloso osservatore così del giusto come delle leggi e de’ costumi, […] sensibile a tutte le permesse passioni dell’umanità, ma superiore a ciascuna, buon cittadino e buon padre, ma avvezzo a non considerarsi mai distinto dalla sua patria, e per conseguenza a non contar mai fra i beni o fra i mali della vita se non gli eventi o giovevoli o nocivi a quel tutto di cui  si trova egli esser parte; avido di gloria, ma come dell’unico guiderdone al quale debbono aspirare i privati col sacrifizio della propria alla pubblica utilità.

 

Ma allora, ci si chiederà, come mai e perché Pietro Metastasio che ha colmato di lodi sincere la musica di Niccolò Jommelli: «Egli mi ha sorpreso. Ho trovato in lui tutta l’armonia del sassone, tutta la grazia tutta l’espressione e tutta la fecondità di Vinci» (nostro corsivo), dando notizia della felicissima scoperta a Farinelli, l’adorabile gemello Carlo Broschi, a Madrid, con lettera da Vienna del 12 novembre 1749 (sempre nello stesso fatidico anno), tuttavia proprio al musicista napoletano negherà con raffinata diplomatica ipocrisia nel marzo 1750 la lettera inviata allo Hasse, ben sapendo Metastasio che Jommelli era a conoscenza della sua abitudine di farne copia, e quindi non v’era neppure bisogno di chiedere l’originale o un’altra copia allo Hasse.

Il fatto è che al puntiglioso esame complanare delle opere tarde di Metastasio e delle corrispettive intonazioni di Hasse, così come il Mellace racconta in questo Autunno del Metastasio, con ampie esegesi sia dei testi poetici che di quelli musicali, tabelle comparative, ancora esempi musicali hassiani, ampia citazione delle fonti e bibliografia aggiornata, è forse sfuggito – ci corre il sommesso obbligo di osservare riguardo a questo ambizioso lavoro dossografico – il contesto storico proprio dell’Impero in Europa dopo la fine della Guerra di Successione austriaca e la comprensione perspicua della funzione assolta da Pietro Metastasio alla corte degli Asburgo. È infatti proprio a partire dalla temperie storico-culturale che favorì sia la famosa  lettera allo Hasse che soprattutto la rappresentazione a Dresda dell’Attilio Regolo – (messa in scena sospesa sine die a seguito della morte di Carlo VI) – che è possibile comprendere e spiegarci  quale finale di partita ebbero in sorte  nell’ultima fase della loro esistenza sia Metastasio che Hasse.

Non è stato ancora studiato a sufficienza come mai e perché il Regolo fu rappresentato la prima volta nel 1750 a Dresda presso la corte di Federico Augusto II, Elettore di Sassonia e re di Polonia, inaugurando da quel momento una serie di non molte altre intonazioni del dramma. La richiesta di fare dono del libretto all’Elettore di Sassonia provenne da Maria Teresa che comandò l’invio a Metastasio. Non è quindi una decisione autonoma e squisitamente artistica, come oggi amiamo pensare nell’epoca della sacralità e piena libertà dell’arte (presunte per lo più a dire il vero) e dei suoi interpreti, quella che indusse Metastasio a mettere in moto il processo che si concluderà con l’intonazione dell’amico Johann Adolf Hasse. Pietro Metastasio scrisse di questa occasione, da lui presentata come occorsa quasi per caso e di cui egli è tenuto a non approfondirne più di tanto le ragioni, a Napoli ad Anna Francesca Pignatelli di Belmonte il 13 dicembre 1749:

In Sassonia si desiderò di leggerlo [il mio Attilio Regolo], e la mia augustissima padrona mi comandò di farne a’ quei sovrani un libero dono. Si produrrà colà fra breve; e l’ordine più premuroso, di cui ho incaricata la persona da me spedita ed istrutta [si trattò del Signor Ercolini, uomo di fiducia e copia lettere di Metastasio] per regolarne la rappresentazione, è stato quello d’indirizzare a Vostra Eccellenza il primo esemplare stampato ch’ei possa trovarne.

I motivi del comando impartito da Maria Teresa al suo Poeta Cesareo vanno individuati nella politica di riavvicinamento tra le corti di Dresda e di Vienna dopo la conservazione agli Asburgo della titolarità del Sacro Romano Impero Germanico e con il progetto dell’imperatrice di mettere in moto l’inversione delle alleanze in Europa, in funzione anti-prussiana, che avrebbe fatto presto della Francia e della Sassonia, già facenti parte della coalizione a lei avversa nella Guerra di Successione austriaca, monarchie cointeressate all’equilibrio europeo guidato da Francesco Stefano di Lorena e dalla stessa Maria Teresa.

Il senso simbolico-politico della rappresentazione del Regolo con l’omaggio postumo all’imperatore Carlo VI sia da parte dell’Elettore di Sassonia, che riconosce la continuità della dinastia asburgica al vertice dell’Impero (dopo avere peraltro assecondato le mire destabilizzanti della Prussia), sia da parte di Maria Teresa che riceve il primo segnale favorevole all’assestamento del suo potere dopo la guerra, non potrebbe essere meglio comunicato. Questa opera seria, tra finzione e realtà storica, racchiude in sé il senso della totale dedizione del potere autocratico all’interesse collettivo, idest al bene pubblico fino al supremo sacrificio della sorte privata dell’individuo. L’incarico dell’intonazione del Regolo allo Hasse da parte della corte di Dresda discende direttamente da questo progetto simbolico-politico e per rispondere adeguatamente all’obiettivo si richiede la massima collaborazione tra il librettista e il compositore.

Pur essendo entusiasta delle doti creative di Niccolò Jommelli, Pietro Metastasio non può destinare le raccomandazioni estetico-registiche che a quell’unicum costituito dalla rappresentazione di Dresda in cui figuralmente e politicamente viene sancito il ruolo postumo di Carlo VI per la funzione che la dinastia asburgica avrà nel futuro a venire  dell’Europa.

A Niccolò Jommelli che soltanto nel 1753 nel Teatro delle Dame a Roma vedrà messo in scena il Regolo con la sua musica sarà liberalmente consentito – e lontano da Vienna e da Dresda non poteva essere altrimenti – di produrre nel libretto quei cambiamenti che l’impresario Gaetano Maccarani secondo i riti teatrali dovrà comunque giustificare: «L’opera, che vi presento, parto felice del noto suo chiarissimo Autore, se per indispensabile necessità di servire al Teatro, si scorgesse in qualche piccola parte diversa dalla prima Impressione, non vi debba sembrar ardimento, qualor si sappia che ciò non altera punto l’economia del Drama, e che quanto si è in esso inserito, è tutto raccolto del medesimo Fonte da cui deriva».

Pietro Metastasio che ben conosceva le abitudini dei teatri in tutte le città europee non poteva consentire che l’opera seria, destinata a racchiudere i valori più autentici etico-educativi e il senso profondo del suo teatro musicale al servizio di Carlo VI e della sua missione politica, venisse scambiata e alterata dalle necessità «di servire al Teatro».

In breve, le raccomandazioni allo Hasse, nella famosa lettera, sarebbero state del tutto inappropriate per qualsiasi pubblico che non fosse stato quello di Dresda e, soprattutto, la loro incongrua e fortuita applicazione, a seguito di inevitabili mutamenti del testo poetico, avrebbe significato agli occhi di Maria Teresa un’ imperdonabile colpa nei riguardi della memoria e del ruolo assolto dal padre.

Il recupero dell’opera seria prodotta da Metastasio ed Hasse dopo la Guerra dei Sette anni rivela piuttosto la parabola discendente dell’accoglienza da parte di un pubblico che non è più rappresentativo delle idee dominanti di un ceto nobiliare illuminato dal paternalismo dell’ancien régime, quanto invece dalle pulsioni, dagli interessi e dalle istanze desideranti dei nascenti ceti medi e delle borghesie della burocrazia statale e degli affari.  A questi nuovi destinatari, sia Metastasio che lo Hasse potevano offrire ancora una sapienza di significati linguistici ed espressivi di intensa valenza sentimentale ed anche erotica – come d’altronde l’esegesi poetica e musicale del Mellace ha messo in luce – ma non già più l’esito di tali significati e senso nell’educazione alla rinuncia del proprio particolare a favore dell’eroica ricerca ed affermazione dei valori universali del bene pubblico.

Ad ogni modo e in conclusione ci sia permesso ancora di osservare  in quest’Autunno del Metastasio – in gloriosa analogia con il famosissimo Autunno del Medioevo di Johann Huizinga – che viene del tutto ignorata come la fase autunnale attribuita al Poeta Cesareo, al di là dell’accoglienza destinata alla sua opera seria, fosse molto poco declinante se è vero che il suo ruolo culturale era ancora nient’affatto trascurabile: a lui Maria Teresa fece ricorso ancora una volta, alla metà degli anni Cinquanta, tramite il Trautson di Falkenstein, arcivescovo principe di Vienna, perché suggerisse al pittore Gregorio Guglielmi i temi degli affreschi che avrebbero abbellito la volta della prima Università di Vienna, cui sarebbero seguiti gli affreschi nei saloni della piccola e grande Galleria di Schoenbrunn. Ma qui Metastasio non ebbe voce in capitolo…in apparenza.

Sarebbe stato bene anche ricordare che Metastasio negli anni Sessanta non soltanto portava a termine la stesura dell’Estratto dell’Arte poetica d’Aristotile e considerazioni su la medesima, una vera e propria sistemazione teorica ed estetica dell’opera seria, non soltanto si dedicava al futuro imperatore Giuseppe II istruendolo nell’apprendimento della lingua italiana, ma seguiva la preparazione della pubblicazione completa delle sue opere in una grande e ricca edizione che l’abate Giuseppe Pezzana avrebbe stampato a sua cura a Parigi, ancora in vita il Poeta Cesareo, dal 1780 al 1782-1783.

Più difficile, si potrebbe dire, fu l’autunno di Hasse benché a lui Maria Teresa avesse a destinare cospicui riconoscimenti anche dopo l’insuccesso del Ruggiero, forse memore e riconoscente della musica composta dal sassone per il Regolo del 1750 a Dresda.

Agosto 2010                                                      Mario Valente

 

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