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1.
Le origini politico-letterarie del dramma
Alcuni dati biografici
di Pietro Metastasio, Leo Vinci, Egidio Romualdo Duni, incrociati con
le vicende sociali e politiche di Roma, Napoli e Vienna tra gli anni Venti
e gli anni Quaranta del Settecento, rendono particolarmente interessanti
i rinvii e i confronti tra testo letterario, intonazioni musicali, con
i ruoli esercitati da questi artisti nel contesto di un’esperienza
storica che, in qualche misura, orienterà il loro stesso futuro.
Peraltro, il viaggio del Vinci nella storia musicale e politica del secolo
termina prematuramente a Napoli nel 1730, dove il compositore muore a
circa quarant’anni, avvelenato, pare, da un marito geloso.
Alla luce dei rinvii, rapporti e connessioni tra testi poetici e musicali,
da una parte, e destinazione e ruolo di questi nelle vicende storico-politiche
degli anni Venti del Settecento, dall’altra, la rappresentazione
del Catone in Utica assume un senso e un significato
emblematici riguardo alla funzione sociale assegnata in generale al melodramma
nella sua epoca e, nell’occasione, assunta dal dramma di Metastasio,
messo in scena la prima volta nel 1728.
Metastasio, dunque, tornato a Roma dopo i successi napoletani e veneziani,
compone Catone in Utica nella seconda metà
del 1727, impegnandosi a consegnare il libretto per l’intonazione
di Leo Vinci entro la prima decade del gennaio 1728. Il poeta, infatti,
condivide insieme al compositore napoletano e alla cantante Marianna Benti
Bulgarelli, la gestione artistica del Teatro delle Dame.
Metastasio e Leo Vinci mantengono virtuosamente gli impegni presi con
la proprietà del teatro: il 13 Gennaio Catone in Utica
viene rappresentato nel più grande e famoso teatro privato di Roma,
già proprietà del conte Giacomo d’Alibert.
Il musicista, dopo avere contribuito nel 1724 con il Farnace
di Antonio Maria Lucchini alle fortune del teatro, chiamatovi dal suo
protettore, Giacomo III re della Gran Brettagna - (in realtà
questi è solo il pretendente al trono inglese dopo la sconfitta
e la cacciata della dinastia Stuart, cattolica, e l’avvento dei
protestanti Orange) -, non solo mette in musica, nel 1726, a Venezia il
fortunatissimo Siroe di Metastasio (con Marianna
Benti Bulgarelli interprete nella parte di Emira), ma lo stesso anno,
a Roma, dà una nuova intonazione a Didone abbandonata.
Il dramma, dopo la prima rappresentazione a Napoli con le musiche del
Sarro, la seconda a Reggio Emilia con l’intonazione del Porpora,
la terza a Venezia con le musiche dell’Albinoni, viene condotto
con quelle del Vinci a straordinario successo il carnevale 1726 nel rinnovato
ex teatro Alibert, ormai Teatro delle Dame, tanto da far scrivere
al dotto gesuita Giulio Cesare Cordara: “Il popolo dimenticò
per allora i pregiudizi del Gravina, che si dicevano passati nel suo figliolo
adottivo, ed assordito dall’incanto dell’opera non pensò
all’autore. Ogni scena fu un continuo batter di mani”.
Leo Vinci, quindi, pone le basi affinché il poeta in Arcadia Artino
Corasio, alias Pietro Metastasio, possa esordire al Teatro delle Dame
con un nuovo dramma appositamente composto per rinnovare ed accrescere,
nello stesso teatro, il clamoroso successo di Didone abbandonata.
D’altro canto, il compositore è bene accetto proprio all’Alibert
che ha mantenuto la protezione dello Stuart anche con la nuova proprietà,
emanazione pressoché diretta degli ambienti filo-gesuiti.
In occasione della prima rappresentazione di Catone in Utica
la tragica fine dell’eroe repubblicano, scritta da Metastasio nel
rispetto della verità degli eventi storici, provoca sconcerto e
la contestazione di una parte degli spettatori. Il poeta ha inteso rendere
un omaggio postumo proprio a quel Gravina i cui “pregiudizi”
– come il “dotto” gesuita Cordara ha ricordato a proposito
dell’accoglienza entusiastica per Didone abbandonata
– sono costati al discepolo nel 1719 il trasferimento a Napoli in
cerca di “miglior fortuna”. L’omaggio e al tempo stesso
la sfida consistono nel recupero e nella rievocazione dell’elegia
La morte di Catone , che offre forti analogie
rispetto al dramma, sia per la scelta del tema sia nel taglio etico-politico.
L’elegia, composta in età giovanile da Metastasio in terza
rima dantesca, sotto la diretta influenza del maestro, è espressione
della concezione che questi aveva della tragedia
e del tragico come fondative ispirazioni di
moralità.
Con il Catone in Utica, Metastasio ritiene così
di rendere giustizia al maestro, dopo essersi messo al sicuro –
egli crede – non solo per il successo del 1726 conseguito alle Dame
dalla sua Didone , ma anche a seguito dell’esecuzione dell’oratorio
Per la festività del SS. Natale, nella
cui seconda parte ha esaltato la spiritualità di papa Benedetto
XIII, rassicurando le figure della Fede e della Speranza
con la visione provvidenziale e profetica dell’Amor divino,
con i cui versi Metastasio rappresenta la dedizione alla Chiesa del suo
papa, il domenicano Orsini:
FEDE, So che sempre
il governo /Del commesso naviglio a man fedele/ Passar dovrà
dal condottier primiero./ SPERANZA, Oh qual ordine io spero/ Di successori
illustri, /Somiglianti nell’opre al gran nocchiero!/ AMOR DIVINO
Ma fra quanti saranno/ All’ardua cura eletti,/ Uno il Ciel ne
darà che sia verace/ D’umiltà, d’innocenza
esempio al mondo./ Questi, l’ore defraudando a’ suoi riposi,/
Or suderà ne’tempii, o al vero Nume/ Sacrando are novelle,
o al puro fonte/ L’altrui macchie lavando; or di sua mano/ Imprimerà
nell’alme/ I caratteri sacri; ed in ogni opra/ Fia de’ riti
divini/ Rigido osservator. Tanto la terra/ L’ammirerà,
che il benedetto nome/ Sarà speme agli afflitti,/ A’ rei
spavento e riverenza a’ regi.
Oltre
a tessere l’elogio spirituale di Benedetto XIII, Metastasio provvede
anche a celebrarne la politica sia riguardo all’esecuzione a Palazzo
della Cancelleria dell’oratorio, i primi giorni del Gennaio 1728,
sia per la rappresentazione di Catone in Utica,
pochi giorni dopo. All’esecuzione dell’oratorio, infatti,
per consiglio del cardinale Ottoboni, è invitata, ospite d’onore,
Violante di Baviera. La principessa di Toscana è in visita ufficiale
a Roma. Ella, imparentata con gli Asburgo, intende trattare con la Chiesa
e con il cardinale Coscia il destino di Firenze, dopo l’estinzione
della dinastia dei Medici, vassalli del papato. La stampa del libretto
di Catone in Utica, per la messa in scena al
Teatro delle Dame, reca la dedica di Metastasio proprio alla
stessa Violante di Baviera. La presenza quindi della nobildonna all’esecuzione
dell’oratorio e la dedica rivoltale dal poeta possono anche essere
interpretati come una sorta di rinnovato segnale di Metastasio a Vienna,
dove fin dai tempi giovanili, egli spera di “trovare asilo”.
Nonostante il poeta si sia messo sotto la protezione di
Violante di Baviera, abbia reso omaggio al papa e alla sua politica di
buoni rapporti con l’Impero, deve comunque assistere agli sfoghi
e al sarcasmo che una parte del pubblico rivolge al dramma nel vedere
Catone morire in scena.
Sulla statua di Pasquino appare l’irridente invito alla Compagnia
della Buona Morte “a dar sepoltura al cadavere giacente nel
teatro d’Aliberti detto comunemente delle Dame”, mentre,
durante le repliche del dramma, sul parapetto dell’orchestra, viene
lasciato un cartello con i versi:
Metastasio crudel, tu ci hai ridotto
Tutti gli eroi del Tebro in un condotto.
Francesco Algarotti , in rapporto epistolare
con Metastasio per lungo tempo, suo grande ammiratore, sempre disponibile
ad accogliere suggerimenti e consigli del Poeta Cesareo per i suoi componimenti
poetici, a proposito della tragica conclusione del Catone
in Utica e della prima intonazione del Vinci, scrive nell’Epistola
a Fillide:
Dover di Vinci in
sui bemolle or ora/ Con lunghi trilli e florida cadenza/ Sua
Morte gorgheggiar Porzio Catone.
Le pasquinate, fuori e dentro il teatro,
rivelano paradossalmente, proprio con il rifiuto dello scioglimento tragico
dell’azione drammatica, il conseguimento da parte del poeta della
finalità dell’opera, e la ragione, sempre da lui manifestata
fino ad età avanzata, della particolare predilezione per il suo
Catone.
Difatti, è la libertà morale e politica il tema centrale
del dramma, coerentemente sviluppato pur entro le manifestazioni di affetti
e legami d’amore rappresentati dalle coppie Cesare-Marzia, Fulvio-Emilia,
mentre la figura di Arbace - (nella storia, Iuba, re dei Numidi) –
è qui depotenziata rispetto alla minacciosa figura di Iarba, re
dei Mori (il finto Arbace in Didone abbandonata),
rimanendo in bilico – quasi figura di un mondo barbarico
ormai spinto ad integrarsi nella civiltà romana – tra la
conquista del cuore di Marzia, l’alleanza con Catone, e l’accettazione
del potere della Roma di Cesare .
La riuscita drammatica impressa dal poeta nel Catone,
motivo dell’affetto sempiterno di Metastasio per la sua creatura,
è nel serrato procedere di avvenimenti e movimenti cui egli sottopone
le iniziative di incontro e contrasti tra i personaggi, primi fra tutti
quelli tra Catone e Cesare. Ed è al dittatore che Metastasio fa
pronunziare nel II Atto, sc.10, la sentenza politica – premonitrice
nei riguardi delle critiche condizioni in cui versa lo Stato della Chiesa
– con cui Cesare cerca di arginare lo sdegno repubblicano della
“fiera alma” di Catone, attraverso un confronto dialettico,
condotto senza un attimo di tregua, tra opposte teorie del potere:
CESARE E’ necessario
a Roma
Che un sol comandi.
CATONE E’ necessario a lei
Ch’egualmente ciascun comandi e serva.
CESARE E la pubblica cura
Tu credi più sicura in mano a tanti,
Discordi negli affetti e ne’ pareri?
Meglio il voler d’un solo
Regola sempre altrui. Solo fra’ numi
Giove il tutto dal ciel governa e move.
CATONE Dov’è costui che rassomigli a Giove?
Io non lo veggo; e se vi fosse ancora,
Diverrebbe tiranno in un momento.
CESARE Chi non ne soffre un sol, ne soffre cento.
[sottolineatura nostra]
CATONE Così parla un nemico
Della patria e del giusto. Intesi assai:
Basta così. (s’alza
Nel contrasto tra Catone e Cesare, rimane
certo un’ambiguità tra l’urgenza di risolvere nell’immediato
i problemi effettuali della politica e la prospettiva dell’edificazione
di uno Stato e di un governo delle cose umane improntati al giusto.
A tale proposito, basta ricordare un’ altra famosa allocuzione politica
di Metastasio nell’Adriano in Siria (Vienna,
1732), in cui l’imperatore di fronte al “barbaro” Osroa
che rifiuta dopo la sconfitta l’integrazione, rivendica l’autorità
civile e politica di Roma, informata alla giustizia del diritto:
ADRIANO Siam del giusto custodi. Al giusto serve
Chi compagni ci vuol, non serve a noi:
Ma la giustizia è tirannia per voi.
OSROA E chi di lei vi fece
Interpreti e custodi? Avete forse
Ne’ celesti congressi
Parte co’ numi? o siete i numi istessi?
Tra le due teorie del Politico,
quella, più vicina alle simpatie del poeta, sembra espressa da
Catone quando l’Uticense osserva: “…egualmente ciascun
comandi e serva”. La teoria della sostanziale parità di obblighi
e diritti, egualmente ripartita tra sudditi e sovrani è più
volte ripresa, e in vario modo rielaborata da Metastasio nei drammi viennesi,
volti a connotare la funzione di servizio del sovrano, nonché la
solitudine, prima fra tutti dell’amato Carlo VI, alieno dal perseguire
la privata e personale felicità rispetto al bene pubblico, e, non
a caso, il potere come servizio è proposto, dopo il Temistocle,
dall’Attilio Regolo, l’altro melodramma
ispirato alla storia romana nel quale l’adattamento alle “ragioni”
degli affetti e della poesia cede volentieri il campo al tema etico-politico,
maggiormente… a cuore al poeta.
Siamo così di fronte, in Catone,
all’esplicita manifestazione di una duplice soluzione per il Politico
– con la singolare ripresa dell’Adriano in Siria,
sia tematica sia nel linguaggio poetico, dramma che lo stesso poeta definì,
identificandosi nel personaggio dell’imperatore, in una lettera
famosa a Marianna Benti Bulgarelli, come espressione rivelatrice della
sua intima natura, estremamente dubbiosa e incerta –, come se il
poeta avvertisse in anticipo tutti i rischi dell’assolutismo illuminato,
equanime e paternalistico, inaugurato dagli Asburgo, eredi della Suprema
romana autorità, e non riuscendo nella dura realtà
dei rapporti politici di forza a trovare alcuna risposta credibile in
favore di un’alternativa collegiale del potere, fosse come costretto
(da profondo desiderio) a richiamare in vita le figure della
Roma repubblicana, custodi integerrime delle libertà civili e politiche,
quasi assegnando ad Osroa il ruolo e il pensiero di Catone.
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