METASTASIO E CATONE IN UTICA

Relazione di Mario Valente esposta alle Giornate di Studio, Matera 28-29 Agosto, Festival Duni 2005

 

 

2. Il ruolo di Egidio Duni nella vicenda romana del dramma

La scelta teorico-politica di Pietro Metastasio, risultata comunque non bene accetta al pubblico romano, o fraintesa, se non addirittura contrastata dalle antiche fazioni filo-gesuitiche e filo-borboniche, sembra mettere in discussione il suo ritorno a Roma sotto la protezione dell’Arcadia e dell’Ottoboni, così come mette a rischio anche il contributo e il ruolo assunto dal Vinci come musicista non appartenente al partito filo-imperiale – (che ha la sua roccaforte al Teatro Capranica) – . Il Vinci è peraltro indispensabile al poeta romano in quanto capace di esaltare la trama e lo svolgimento dei recitativi e delle arie con la freschezza e con il colore delle melodie popolari di scuola napoletana, ormai quasi affatto depurate dalla sapienza contrappuntistica seicentesca.
Metastasio si libera dall’impaccio, cercando e trovando nel cardinale Niccolò Coscia, fautore del rinnovamento dei rapporti tra Chiesa ed Impero, il destinatario politico della sua drammaturgia musicale, ossia di coerenti scelte artistiche ed ideologiche, recenti e passate. Al potente segretario dei Memoriali dedica il nuovo dramma di argomento storico romano, l’Ezio, acconsentendo che ad intonarlo sia il musicista avellinese Pietro Antonio Auletta, protetto del cardinale.
La collaborazione con l’amato Leo Vinci si interrompe così soltanto in occasione dell’Ezio (messo in scena al Teatro delle Dame il 26 Dicembre 1728), come mero segnale di discontinuità rispetto al musicista le cui composizioni sono state eseguite sempre per l’ex-Alibert, cioè nel teatro che tra Sei e Settecento è stato il palcoscenico dell’ala più intransigente della supremazia religiosa, culturale e politica della cattolicità, e, infine, della corrente filo-gesuita.

La scelta operata da Metastasio di avvicinarsi al cardinale Coscia interviene mentre a Roma questi è divenuto ormai arbitro del governo della Chiesa, a seguito del sempre più frequente ritirarsi di papa Orsini, Benedetto XIII a Benevento e nella vicina Solofra per dedicare il resto della sua esistenza allo spirito e alla preghiera. Il cardinale Coscia che verrà accusato oltre che di pratiche nepotistiche anche e soprattutto di aver abusato delle finanze della Chiesa, alla fine degli anni Venti sta concludendo, in accordo con la politica del pontefice e la collaborazione di esponenti di spicco della curia cardinalizia, rilevanti trattative per stipulare Concordati con l’Impero e con il Regno di Sardegna riguardo al Tribunale della Monarchia.

PIER LEONE GHEZZI, Clemente XI Albani visita il Campidoglio

La complessa vicenda diplomatica riguarda direttamente e indirettamente la vita e la carriera artistica di Metastasio. Infatti, l’antica istituzione del Tribunale della Monarchia, risalente addirittura a Roberto il Normanno e a Ruggero re di Sicilia, vassalli del papa, è in grado di preservare ai sovrani d’Europa la giurisdizione su beni e persone dei loro regni, insidiata dai titoli di sovranità e dalle immunità ecclesiastiche rivendicati ab antico dalla Chiesa sui medesimi territori. La restituzione formale a Carlo VI dei poteri del Tribunale della Monarchia, cancellati da Clemente XI nelle convulse fasi di passaggio della Sicilia dai Savoia agli Asburgo, è oggetto di lunghe trattative con i papi negli anni Venti, dopo la morte di Gianfrancesco Albani. Anche a Napoli, durante la permanenza di Metastasio, cioè sotto il vice-regno austriaco, ogni trasformazione sociale ed economica è stata condizionata proprio dalla conservazione dei privilegi ecclesiastici in materia fiscale e giurisdizionale da cui hanno tratto vantaggi gli esponenti della nobiltà di origine spagnola. Nonostante Carlo VI eviti di colpire gli antichi privilegi feudali, i poteri dell’imperatore sono ancora più limitati dall’interdizione papale al funzionamento del Tribunale della Monarchia, atto a dirimere ogni contenzioso inutilmente discusso dinanzi alle magistrature di Napoli, rese impotenti da contrastanti legislazioni: l’ecclesiastica, la feudale e quella dell’imperatore. Metastasio, indirettamente, pur con il favore accordatogli a Napoli dalla nobiltà filo-asburgica, è coinvolto nei conflitti di una città che egli giudica non ancora dominante, cioè non governata da un unico e sovrano potere. E’ questo il giudizio che il poeta ha espresso in una lettera a Francesco d’Aguirre fin dal suo arrivo nella città nel 1719, e che egli conserva abbandonando Napoli nell’estate del 1724. Nelle trattative di riappacificazione tra l’Impero e la Chiesa, intraprese per volontà di Benedetto XIII (e dal suo predecessore, Innocenzo XIII), ma portate a compimento da Niccolò Coscia, il concordato stipulato a Vienna tra Carlo VI e il papato stabilisce ruoli e limiti dei rispettivi poteri, ripristinando la funzione del Tribunale della Monarchia. La ratifica del concordato è sottoscritta a Vienna nel 1729 attraverso i buoni uffici del cardinale Alvaro Cienfuegos, già plenipotenziario dell’imperatore in Spagna, del conte Luigi Pio di Savoia e, a quanto appare probabile stando alle informazioni contenute nell’Eloge de Duny, dell’inviato del cardinale Coscia, il giovane compositore Egidio Romualdo Duni (mi riferisco all’Eloge de Duny par une Société de Gens de Lettres, Paris, 1776).

 

FILIPPO JUVARRA, veduta del Campidoglio da nord, 1709

 


L’incontro tra Metastasio e Duni avviene quindi nella cerchia dei collaboratori del cardinale Niccolò Coscia, a cui il futuro musicista di numerosi drammi e oratori del poeta romano è legato per avere servito a Benevento Monsignor di Targa, Filippo Coscia, fratello del cardinale.
Il concordato stipulato a Vienna, prima che Benedetto XIII nell’estate dello stesso anno si ammali e nel febbraio del 1730 cessi di vivere, pour cause consente a Pietro Metastasio, nello stesso anno, di ricevere ed accettare l’offerta pervenutagli da Luigi Pio di Savoia di trasferirsi nella capitale dell’Impero come Poeta Cesareo di Carlo VI, succedendo ad Apostolo Zeno.( Il decisivo contributo di Egidio Duni alla partenza per Vienna di Metastasio ha una diretta influenza sulla stessa carriera come compositore dell’opera seria, a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, dopo cioè che le malversazioni del cardinale Coscia saranno giudicate e condannate da papa Corsini, Clemente XII, lasciando libero il musicista materano, prestato alla diplomazia, di dedicarsi completamente all’originaria vocazione artistica).

Nelle trattative intavolate per lettera tra Metastasio e il conte Luigi Pio di Savoia ancora una volta compare il cardinale Alvaro Cienfuegos. A questi Metastasio deve rivolgersi per ottenere i denari occorrenti alle spese di trasferimento a Vienna, secondo quanto gli viene prescritto dal conte nel novembre 1729. Metastasio comunque rinvia la partenza per Vienna al Carnevale del 1730, cioè fino alla realizzazione degli impegni contratti con il Teatro delle Dame, rispetto ai quali, però, appare preminente l’attesa di entrambe le parti riguardo al decorso della malattia di Benedetto XIII. Soltanto la morte di papa Orsini permette a Metastasio nel marzo 1730 di partire per Vienna dove arriva nell’aprile per assumere la funzione di Poeta Cesareo.
Se perciò la conclusione della carriera artistica nella città natale è segnata dal rinnovato e risanato rapporto tra gli Asburgo e la Chiesa, che cosa ha determinato il poeta a cogliere l’occasione offertagli dall’invito di Luigi Pio di Savoia, soprattutto dopo che egli, messosi con la composizione dell’Ezio sotto la protezione del potente cardinale Niccolò Coscia e quindi al riparo da altre malevoli incursioni della fazione filo-gesuita, può di nuovo, liberamente, avere la collaborazione del Vinci e fare rappresentare i suoi drammi sempre nel Teatro delle Dame?
La risposta ai non semplici quesiti è offerta, da un lato, dalla crisi del potere politico nello Stato della Chiesa che potrebbe direttamente coinvolgere lo stesso Metastasio.

Il rinvio della partenza per Vienna può voler dire per Metastasio accertare i rapporti di forza che la morte di Benedetto XIII, protettore del Coscia, rimescola e mette in discussione. Se è vero che dopo l’Ezio Metastasio ha fatto mettere in scena al Teatro delle Dame, con successo, e il favore del pubblico romano Semiramide riconosciuta e Alessandro nell’Indie (1729), a Palazzo Altemps la festa teatrale La contesa de’ Numi (1729), di nuovo alle Dame Artaserse, l’ultimo dramma del periodo romano, prima della partenza per Vienna (tutte messe in musica dal Vinci), e la composizione dell’oratorio La passione di Gesù Cristo, destinato a Carlo VI per l’esecuzione nella Cappella reale nella Settimana Santa del 1730, tutte queste opere hanno dovuto abbandonare il tema a cuore al poeta, cioè la destinazione popolare dei suoi drammi, incentrata come nel Catone e nell’Ezio sulla pubblica virtù dei governanti, sugli obblighi e i doveri del Politico.
Dall’altro lato, forse anche il cambiamento dei drammi di argomento storico e dai forti contenuti etico-politici ha contribuito alla riaccettazione di Metastasio all’interno dei circoli curiali filo-gesuiti e dell’Arcadia, dopo il momentaneo avvicinamento al Coscia; per cui il dopo-Benedetto XIII non dovrebbe essergli insopportabile. E’ comunque certo che la mancanza anche a Roma, dopo Napoli, di un’unica e sovrana autorità politica, cioè di uno Stato, potrebbe esporre il poeta a ben più gravi e pericolosi condizionamenti di quelli già manifestatisi con il Catone, sottoponendo la sua poesia per il teatro musicale ai capricci dei cantanti, agli interessi di proprietari e impresari teatrali, e soprattutto agli scopi e a strumentalizzazioni dei gruppi di potere che, influendo sul magistero spirituale del pontefice possono avere da questi mano libera per le tradizionali e storiche pratiche nepotistiche.
Nello Stato della Chiesa la rappresentazione di valori come la libertà civile e politica e la magnanimità chiama in causa, laicamente, obblighi e doveri della suprema autorità politica e di coloro che del suo agire sono i destinatari naturali, cioè i cittadini del popolo di Roma. Ma nella città dei papi la suprema autorità dello spirito, cioè della universale religione cattolica ha la possibilità di divenire il destinatario principale per la realizzazione anche di un giusto e laico potere sovrano?

Metastasio cerca perciò un nuovo rapporto con il pubblico popolare rinnovando soprattutto la sua partecipazione al teatro drammatico affinché gli spettatori non siano perennemente obbligati – come lo stesso poeta scrive nell’Estratto della Poetica d’Aristotile – “a dover inorridire eternamente ed eternamente a compiangere”, e quindi l’immedesimazione partecipativa del pubblico non si riduca alla sterile commiserazione delle vittime e all’altrettanta vana deprecazione dei loro carnefici.

PIETRO METASTASIO, Estratto dell'Arte Poetica d'Aristotile, Novecento Editrice, Palermo 1998, a cura di E. Selmi


Era questa l’applicazione dominante del tragico e della tragedia, tratta da un’interpretazione scolastica della Poetica di Aristotele, secondo la quale interpretazione la liberazione catartica da funeste e insane passioni dell’animo umano poteva essere indotta soltanto ed esclusivamente con la rappresentazione dei delitti esecrabili a cui le passioni in conflitto inesorabilmente e naturalmente conducevano l’agire degli individui.
Metastasio, che considera le passioni i “venti naturali” atti a muovere l’agire umano, affida il governo di queste alle virtù-valori costituenti la profonda natura della socialità e della religiosità di ogni essere umano, al fine di promuovere un nuovo rapporto tra il teatro musicale drammatico e il pubblico popolare. Infatti, come egli scrive nell’Estratto della Poetica d’Aristotile:

…gli affetti nostri non si restringono al solo terrore ed alla compassione: l’ammirazione, la gloria, l’avversione, l’amicizia, l’amore, la gelosia, l’invidia, l’emulazione, l’avida ambizione degli acquisti, l’ansioso timore delle perdite…son pure, anch’essi, fra quei venti che ci spingono ad operare e che convien imparare a reggere, se si vuol procurar la nostra privata e la pubblica tranquillità. Ci dimostra la continua esperienza che lo spettatore, anche più malvagio, ammira i grandi esempi delle eroiche virtù, che secondano le utili o trionfano delle dannose passioni, e si compiace di vederle rappresentare.
Quando veggiamo un innocente figliuolo sagrificare generosamente la propria gloria e la vita per la conservazione d’un padre, scordarsi un amico di se stesso per non mancare all’amico, posporre un cittadino la propria alla felicità della patria, rinunciare un beneficato, per non essere ingrato al suo benefattore, all’acquisto d’un regno o d’un caro e degno oggetto delle più tenere sue speranze, trascurare un offeso la facile vendetta d’una sanguinosa ingiuria…; quando veggiamo (dico) le rappresentazioni d’azioni così lodevoli e luminose, s’ingrandisce l’animo nostro nella gloria della nostra specie che ne crediamo capace, ci lusinghiamo d’esser atti ancor noi ad eseguirle e, nutriti di così nobili idee, si può anche sperar che tal volta ci rendiamo utili ad imitarle.

Ispirazione ed obiettivi dell’opera seria metastasiana, consegnati a queste pagine del trattato di poetica drammaturgica, concluso nel maturo periodo viennese degli anni Sessanta, ci consentono compiutamente di intendere senso e significati non solo di capolavori come il Catone in Utica , ma di connettere l’intera produzione drammatica del poeta romano, da Venezia a Roma a Vienna, sotto il segno di un’estetica teatrale, tipicamente settecentesca, che, dilettando, intende educare pubblico e sovrani ad una pratica dei rapporti sociali e politici improntata a quei forti valori morali che la finzione scenica mette in campo.


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ROBERT van AUDENAERD, Ritratto del cardinale Pietro Ottoboni

 

 

GIROLAMO de ROSSI, ritratto di Clemente XI

 

 

Ritratto del cardinale Niccolò Coscia

 

 

Ritratto di Benedetto XIII, Pierfrancesco Orsini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Solofra, chiesa di S. Domenico Soriano

 

Solofra, Collegiata di S. Michele

 

G. BUSATO (disegno) - A. VIVIANI (incisione), frontespizio de La passione di Gesù Cristo

         

 

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EGIDIO ROMUALDO DUNI, Sonata II a tre, Allegro