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2.
Il ruolo di Egidio Duni nella vicenda romana del dramma
La
scelta teorico-politica di Pietro Metastasio, risultata comunque non bene
accetta al pubblico romano, o fraintesa, se non addirittura contrastata
dalle antiche fazioni filo-gesuitiche e filo-borboniche, sembra mettere
in discussione il suo ritorno a Roma sotto la protezione dell’Arcadia
e dell’Ottoboni, così come mette a rischio anche il contributo
e il ruolo assunto dal Vinci come musicista non appartenente al partito
filo-imperiale – (che ha la sua roccaforte al Teatro Capranica)
– . Il Vinci è peraltro indispensabile al poeta romano in
quanto capace di esaltare la trama e lo svolgimento dei recitativi e delle
arie con la freschezza e con il colore delle melodie popolari di scuola
napoletana, ormai quasi affatto depurate dalla sapienza contrappuntistica
seicentesca.
Metastasio si libera dall’impaccio, cercando e trovando nel cardinale
Niccolò Coscia, fautore del rinnovamento dei rapporti tra Chiesa
ed Impero, il destinatario politico della sua drammaturgia musicale, ossia
di coerenti scelte artistiche ed ideologiche, recenti e passate. Al potente
segretario dei Memoriali dedica il nuovo dramma di argomento storico romano,
l’Ezio, acconsentendo che ad intonarlo
sia il musicista avellinese Pietro Antonio Auletta, protetto del cardinale.
La collaborazione con l’amato Leo Vinci si interrompe così
soltanto in occasione dell’Ezio (messo
in scena al Teatro delle Dame il 26 Dicembre 1728), come mero segnale
di discontinuità rispetto al musicista le cui composizioni sono
state eseguite sempre per l’ex-Alibert, cioè nel teatro che
tra Sei e Settecento è stato il palcoscenico dell’ala più
intransigente della supremazia religiosa, culturale e politica della cattolicità,
e, infine, della corrente filo-gesuita.
La scelta operata da Metastasio di avvicinarsi al cardinale
Coscia interviene mentre a Roma questi è divenuto ormai arbitro
del governo della Chiesa, a seguito del sempre più frequente ritirarsi
di papa Orsini, Benedetto XIII a Benevento e nella vicina Solofra per
dedicare il resto della sua esistenza allo spirito e alla preghiera. Il
cardinale Coscia che verrà accusato oltre che di pratiche nepotistiche
anche e soprattutto di aver abusato delle finanze della Chiesa, alla fine
degli anni Venti sta concludendo, in accordo con la politica del pontefice
e la collaborazione di esponenti di spicco della curia cardinalizia, rilevanti
trattative per stipulare Concordati con l’Impero e con il Regno
di Sardegna riguardo al Tribunale della Monarchia.
La complessa vicenda
diplomatica riguarda direttamente e indirettamente la vita e la carriera
artistica di Metastasio. Infatti, l’antica istituzione del Tribunale
della Monarchia, risalente addirittura a Roberto il Normanno e a
Ruggero re di Sicilia, vassalli del papa, è in grado di preservare
ai sovrani d’Europa la giurisdizione su beni e persone dei loro
regni, insidiata dai titoli di sovranità e dalle immunità
ecclesiastiche rivendicati ab antico dalla Chiesa sui medesimi territori.
La restituzione formale a Carlo VI dei poteri del Tribunale della
Monarchia, cancellati da Clemente XI nelle convulse fasi di passaggio
della Sicilia dai Savoia agli Asburgo, è oggetto di lunghe trattative
con i papi negli anni Venti, dopo la morte di Gianfrancesco Albani. Anche
a Napoli, durante la permanenza di Metastasio, cioè sotto il vice-regno
austriaco, ogni trasformazione sociale ed economica è stata condizionata
proprio dalla conservazione dei privilegi ecclesiastici in materia fiscale
e giurisdizionale da cui hanno tratto vantaggi gli esponenti della nobiltà
di origine spagnola. Nonostante Carlo VI eviti di colpire gli antichi
privilegi feudali, i poteri dell’imperatore sono ancora più
limitati dall’interdizione papale al funzionamento del Tribunale
della Monarchia, atto a dirimere ogni contenzioso inutilmente discusso
dinanzi alle magistrature di Napoli, rese impotenti da contrastanti legislazioni:
l’ecclesiastica, la feudale e quella dell’imperatore. Metastasio,
indirettamente, pur con il favore accordatogli a Napoli dalla nobiltà
filo-asburgica, è coinvolto nei conflitti di una città che
egli giudica non ancora dominante, cioè non governata
da un unico e sovrano potere. E’ questo il giudizio che il poeta
ha espresso in una lettera a Francesco d’Aguirre fin dal suo arrivo
nella città nel 1719, e che egli conserva abbandonando Napoli nell’estate
del 1724. Nelle trattative di riappacificazione tra l’Impero e la
Chiesa, intraprese per volontà di Benedetto XIII (e dal suo predecessore,
Innocenzo XIII), ma portate a compimento da Niccolò Coscia, il
concordato stipulato a Vienna tra Carlo VI e il papato stabilisce ruoli
e limiti dei rispettivi poteri, ripristinando la funzione del Tribunale
della Monarchia. La ratifica del concordato è sottoscritta
a Vienna nel 1729 attraverso i buoni uffici del cardinale Alvaro Cienfuegos,
già plenipotenziario dell’imperatore in Spagna, del conte
Luigi Pio di Savoia e, a quanto appare probabile stando alle informazioni
contenute nell’Eloge de Duny, dell’inviato del cardinale
Coscia, il giovane compositore Egidio Romualdo Duni (mi riferisco all’Eloge
de Duny par une Société de Gens de Lettres, Paris,
1776).
L’incontro tra Metastasio e Duni avviene quindi nella
cerchia dei collaboratori del cardinale Niccolò Coscia, a cui il
futuro musicista di numerosi drammi e oratori del poeta romano è
legato per avere servito a Benevento Monsignor di Targa, Filippo Coscia,
fratello del cardinale.
Il concordato stipulato a Vienna, prima che Benedetto XIII nell’estate
dello stesso anno si ammali e nel febbraio del 1730 cessi di vivere, pour
cause consente a Pietro Metastasio, nello stesso anno, di ricevere
ed accettare l’offerta pervenutagli da Luigi Pio di Savoia di trasferirsi
nella capitale dell’Impero come Poeta Cesareo di Carlo VI, succedendo
ad Apostolo Zeno.( Il decisivo contributo di Egidio Duni alla partenza
per Vienna di Metastasio ha una diretta influenza sulla stessa carriera
come compositore dell’opera seria, a partire dalla seconda metà
degli anni Trenta, dopo cioè che le malversazioni del cardinale
Coscia saranno giudicate e condannate da papa Corsini, Clemente XII, lasciando
libero il musicista materano, prestato alla diplomazia, di dedicarsi completamente
all’originaria vocazione artistica).
Nelle trattative intavolate per lettera tra Metastasio
e il conte Luigi Pio di Savoia ancora una volta compare il cardinale Alvaro
Cienfuegos. A questi Metastasio deve rivolgersi per ottenere i denari
occorrenti alle spese di trasferimento a Vienna, secondo quanto gli viene
prescritto dal conte nel novembre 1729. Metastasio comunque rinvia la
partenza per Vienna al Carnevale del 1730, cioè fino alla realizzazione
degli impegni contratti con il Teatro delle Dame, rispetto ai quali, però,
appare preminente l’attesa di entrambe le parti riguardo al decorso
della malattia di Benedetto XIII. Soltanto la morte di papa Orsini permette
a Metastasio nel marzo 1730 di partire per Vienna dove arriva nell’aprile
per assumere la funzione di Poeta Cesareo.
Se perciò la conclusione della carriera artistica nella città
natale è segnata dal rinnovato e risanato rapporto tra gli Asburgo
e la Chiesa, che cosa ha determinato il poeta a cogliere l’occasione
offertagli dall’invito di Luigi Pio di Savoia, soprattutto dopo
che egli, messosi con la composizione dell’Ezio
sotto la protezione del potente cardinale Niccolò Coscia e quindi
al riparo da altre malevoli incursioni della fazione filo-gesuita, può
di nuovo, liberamente, avere la collaborazione del Vinci e fare rappresentare
i suoi drammi sempre nel Teatro delle Dame?
La risposta ai non semplici quesiti è offerta, da un lato, dalla
crisi del potere politico nello Stato della Chiesa che potrebbe direttamente
coinvolgere lo stesso Metastasio.
Il rinvio della partenza per Vienna può voler dire
per Metastasio accertare i rapporti di forza che la morte di Benedetto
XIII, protettore del Coscia, rimescola e mette in discussione. Se è
vero che dopo l’Ezio Metastasio ha fatto
mettere in scena al Teatro delle Dame, con successo, e il favore del pubblico
romano Semiramide riconosciuta e Alessandro
nell’Indie (1729), a Palazzo Altemps la festa teatrale
La contesa de’ Numi (1729), di nuovo
alle Dame Artaserse, l’ultimo dramma del
periodo romano, prima della partenza per Vienna (tutte messe in musica
dal Vinci), e la composizione dell’oratorio La passione
di Gesù Cristo, destinato a Carlo VI per l’esecuzione
nella Cappella reale nella Settimana Santa del 1730, tutte queste opere
hanno dovuto abbandonare il tema a cuore al poeta, cioè la destinazione
popolare dei suoi drammi, incentrata come nel Catone
e nell’Ezio sulla pubblica virtù
dei governanti, sugli obblighi e i doveri del Politico.
Dall’altro lato, forse anche il cambiamento dei drammi
di argomento storico e dai forti contenuti etico-politici ha contribuito
alla riaccettazione di Metastasio all’interno dei circoli curiali
filo-gesuiti e dell’Arcadia, dopo il momentaneo avvicinamento al
Coscia; per cui il dopo-Benedetto XIII non dovrebbe essergli insopportabile.
E’ comunque certo che la mancanza anche a Roma, dopo Napoli, di
un’unica e sovrana autorità politica, cioè di uno
Stato, potrebbe esporre il poeta a ben più gravi e pericolosi condizionamenti
di quelli già manifestatisi con il Catone, sottoponendo la sua
poesia per il teatro musicale ai capricci dei cantanti, agli interessi
di proprietari e impresari teatrali, e soprattutto agli scopi e a strumentalizzazioni
dei gruppi di potere che, influendo sul magistero spirituale del pontefice
possono avere da questi mano libera per le tradizionali e storiche pratiche
nepotistiche.
Nello Stato della Chiesa la rappresentazione di valori come la libertà
civile e politica e la magnanimità chiama in causa, laicamente,
obblighi e doveri della suprema autorità politica e di coloro che
del suo agire sono i destinatari naturali, cioè i cittadini del
popolo di Roma. Ma nella città dei papi la suprema autorità
dello spirito, cioè della universale religione cattolica ha la
possibilità di divenire il destinatario principale per la realizzazione
anche di un giusto e laico potere sovrano?
Metastasio cerca perciò un nuovo rapporto con il
pubblico popolare rinnovando soprattutto la sua partecipazione
al teatro drammatico affinché gli spettatori non siano perennemente
obbligati – come lo stesso poeta scrive nell’Estratto
della Poetica d’Aristotile – “a dover
inorridire eternamente ed eternamente a compiangere”, e quindi l’immedesimazione
partecipativa del pubblico non si riduca alla sterile commiserazione delle
vittime e all’altrettanta vana deprecazione dei loro carnefici.
Era questa l’applicazione dominante del tragico e della tragedia,
tratta da un’interpretazione scolastica della Poetica
di Aristotele, secondo la quale interpretazione la liberazione catartica
da funeste e insane passioni dell’animo umano poteva essere indotta
soltanto ed esclusivamente con la rappresentazione dei delitti esecrabili
a cui le passioni in conflitto inesorabilmente e naturalmente conducevano
l’agire degli individui.
Metastasio, che considera le passioni i “venti naturali” atti
a muovere l’agire umano, affida il governo di queste alle virtù-valori
costituenti la profonda natura della socialità e della religiosità
di ogni essere umano, al fine di promuovere un nuovo rapporto tra il teatro
musicale drammatico e il pubblico popolare. Infatti, come egli
scrive nell’Estratto della Poetica d’Aristotile:
…gli affetti nostri non si restringono al solo terrore ed alla
compassione: l’ammirazione, la gloria, l’avversione, l’amicizia,
l’amore, la gelosia, l’invidia, l’emulazione, l’avida
ambizione degli acquisti, l’ansioso timore delle perdite…son
pure, anch’essi, fra quei venti che ci spingono ad operare e che
convien imparare a reggere, se si vuol procurar la nostra privata e la
pubblica tranquillità. Ci dimostra la continua esperienza che lo
spettatore, anche più malvagio, ammira i grandi esempi delle eroiche
virtù, che secondano le utili o trionfano delle dannose passioni,
e si compiace di vederle rappresentare.
Quando veggiamo un innocente figliuolo sagrificare generosamente la
propria gloria e la vita per la conservazione d’un padre, scordarsi
un amico di se stesso per non mancare all’amico, posporre un cittadino
la propria alla felicità della patria, rinunciare un beneficato,
per non essere ingrato al suo benefattore, all’acquisto d’un
regno o d’un caro e degno oggetto delle più tenere sue
speranze, trascurare un offeso la facile vendetta d’una sanguinosa
ingiuria…; quando veggiamo (dico) le rappresentazioni d’azioni
così lodevoli e luminose, s’ingrandisce l’animo nostro
nella gloria della nostra specie che ne crediamo capace, ci lusinghiamo
d’esser atti ancor noi ad eseguirle e, nutriti di così
nobili idee, si può anche sperar che tal volta ci rendiamo utili
ad imitarle.
Ispirazione ed obiettivi dell’opera seria metastasiana,
consegnati a queste pagine del trattato di poetica drammaturgica, concluso
nel maturo periodo viennese degli anni Sessanta, ci consentono compiutamente
di intendere senso e significati non solo di capolavori come il Catone
in Utica , ma di connettere l’intera produzione drammatica
del poeta romano, da Venezia a Roma a Vienna, sotto il segno di un’estetica
teatrale, tipicamente settecentesca, che, dilettando, intende educare
pubblico e sovrani ad una pratica dei rapporti sociali e politici improntata
a quei forti valori morali che la finzione scenica mette in campo.
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