BIOGRAFIA DI PIETRO METASTASIO
Le origini familiari, le abitazioni a Roma nella prima infanzia, le vicende della vita (1698-1719)
Le biografie settecentesche di Pietro Metastasio danno quindi nel 1708 il fatidico incontro tra Gian Vincenzo Gravina e il poco più che decenne Pietro Trapassi. A quella data, regnando sulla Chiesa Clemente XI, papa Gian Francesco Albani, il Gravina pubblica Della ragion poetica, lo scritto di estetica letteraria con cui, tralasciando gli impervi e pericolosi sentieri della critica alla morale dei Gesuiti, percorsi nell’Ydra mystica (1691), egli pur sempre costruisce un telaio politico-letterario e letterario politico che disloca una sorta di contropiano rispetto all’impianto culturale-politico, in pieno sviluppo, dell’Accademia dell’Arcadia, istituzione nelle simpatie di papa Albani, a quello dei Gesuiti, e del loro corrispondente in Arcadia, il Crescimbeni. L’alternativa poetico-letteraria
del Gravina emerge sia nell’esaltazione dell’opera di Dante Alighieri,
sia nella connessione tra l’inviso (nel Medioevo, e anche in seguito) De Monarchia e la suprema romana autorità dell’Imperatore
germanico,
esaltata attraverso la teoria dei due soli del “sommo
poeta”. Da questo scritto, in avanti, la posizione del Gravina entro i gruppi intellettuali di Roma, guidati, con ferma e decisa mano da Clemente XI, sarà vicina al “partito” filo-imperiale, e quindi in opposizione a quello filo-francese, o filo-borbonico, in politica; più esattamente rappresentato a Roma, come gruppo ideologico, con il nome di filo-gesuita. Se si tiene conto che un anno prima, nel 1707, Carlo III d’Asburgo (il futuro imperatore Carlo VI) era entrato in Napoli, passando, privo di autorizzazione, ospite indesiderato, per i territori della Chiesa, per impossessarsi dell’Italia meridionale, dominio per secoli della Spagna, non si può non osservare che il maestro di Metastasio tenda a rinvenire nella discesa dell’Asburgo in Italia, a più di quattrocento anni da quella sciagurata di Arrigo VII, proprio nel trattato letterario Della ragion poetica, i segni profetici dei nuovi tempi, intravedendo un’ unità dell’Italia, sotto il “sole” della Chiesa e della Fede cattolica, e dantescamente,cioè politicamente, retta dall’altro “sole”: il Sacro Romano Impero Germanico.
La posizione del Gravina, decisamente in controtendenza con le necessità
papali di preservare l’indipendenza dello Stato della Chiesa (e relative
rendite in tutti i paesi dell’Europa), veniva messo sotto scacco, visionaria
suggestione da letterato, a causa della breve guerra, scoppiata l’anno
dopo, 1708, tra l’imperatore Giuseppe I d’Asburgo e Clemente XI, in seguito
alla preferenza data dal pontefice alle posizioni della Francia nella
questione della successione al trono di Spagna, per la quale il fratello
dell’imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, Carlo III, re pro-tempore
della Spagna, l’anno prima Clemente XI, per liberare
le terre della Chiesa occupate dalle truppe di Giuseppe I, aveva accettato
sia la designazione del fratello Carlo a re di Spagna, sia, conseguentemente,
il dominio di questi su Napoli. Negli anni, quindi, di maggiori contrasti
tra
L’utopia etico-politica del Gravina – di natura prettamente letteraria
– fu parte integrante dell’educazione e formazione dell’adolescente Pietro
Trapassi, rinvenibile nelle suggestioni del Giustino(1712), il primo dramma, in endecasillabi sciolti, composto
sul modello de L’Italia liberata dai Goti del cinquecentista
Gian Giorgio Trissino, prediletto autore del maestro. Nel Giustino, scritto a soli
14 anni, Pietro, pur aderendo alle simpatie filo-imperiali del Gravina,
con la narrazione della guerra tra Ostrogoti e bizantini per la riconquista
dell’Italia da parte del Cesare romano d’Oriente, già faceva emergere
le ragioni dei sentimenti di ogni essere umano, inestricabilmente unite
alle passioni civili e politiche, nella vicenda d’amore tra il protagonista,
Giustino, e Sofia, nipote di Giustiniano.
Il dramma convinceva definitivamente il Gravina circa le doti letterarie
non comuni del suo giovane protetto, non più soltanto prodigioso improvvisatore
di versi, ma precoce e duttile erede della tradizione poetica italiana
a lui più cara. Il giureconsulto della Sapienza, con il conforto quindi
di una nuova voce poetica, quella appunto del suo allievo preferito,poteva
dare vita nel 1712, lo stesso anno della composizione del Giustino,
all’Accademia dei Quirini, in antitesi all’Accademia dell’Arcadia,
da cui, egli che ne era stato uno dei fondatori, si dimetteva.
A rendere il ruolo del Gravina, nella comunità letteraria e politica
romana, sempre meno corrivo alle idee dominanti, nel 1713 interveniva
la bolla Unigenitus di Clemente XI con la
quale papa Albani respingeva come eretiche tutte le proposizioni del giansenismo, corrente religiosa e filosofica
per la quale Gravina più che attenzione aveva espresso sintonia con l’antigesuita
Ydra
mystica, vent’anni prima. Sempre nel 1712, il Gravina accompagna
Pietro a Scalea, passando per Napoli, dove risiede il cugino, il famoso
filosofo Gregorio Caloprese, renatista, cioè attento studioso e ammiratore
di Cartesio, perché il discepolo completi la sua formazione filosofica.
Presso il Caloprese (nell’epistolario, Metastasio, molti anni dopo a
Vienna, ricorda, con immagini struggenti, la “cara figura”del filosofo
e i luoghi incantati della giovinezza), in quest’angolo di Calabria, dunque,
Pietro riceverà gli insegnamenti filosofici da uno dei maggiori e più
interessanti esponenti di quella cultura dell’Italia meridionale con cui
negli anni successivi, sino alla sua stessa uscita dal mondo, il Poeta
Cesareo misurerà sempre giudizi e prospettive di vita. E’ un lungo periodo
la permanenza di Pietro a Scalea con il Caloprese, per lo meno dall’ottobre
del 1712 al gennaio del 1714, quando egli fa ritorno a Roma.
Alla fine di febbraio, infatti, Pietro, in S. Giovanni in Laterano,
veste l’abito talare, riceve la tonsura prendendo gli ordini minori, e
asseconda così le disposizioni del suo maestro che intende assicurare
al discepolo, divenuto abate, la possibilità di appannaggi e rendite,
derivanti dall’assegnazione di qualche ufficio ecclesiastico, secondo
gli usi di Santa Madre Chiesa, e con ciò la sicurezza economica e sociale.
L’anno dopo, 1715, il Gravina e Pietro Trapassi sono di nuovo in viaggio
per il meridione. Infatti, a Scalea, il filosofo Caloprese, malato, combatte
ore decisive per non abbandonare il mondo dei vivi. Purtroppo, Gravina
e Metastasio - così è stato tradotto
in greco dal maestro il cognome Trapassi, dopo la vestizione dell’abito
talare – arriveranno a Scalea
quando il Caloprese è già scomparso. Sulla strada del ritorno a Roma,
i due personaggi sostano per alcuni giorni a Napoli, il tempo necessario
perché il giovane poeta venga presentato negli ambienti dei dotti e dei
nobili che hanno favorito l’ingresso degli Asburgo, recitando nella casa
dell’avvocato Cattaneo quaranta ottave, improvvisando sul tema: La
magnificenza dei prìncipi e le sue lodi. All’esibizione in casa
Cattaneo – l’ultima, pare, di Metastasio nelle vesti di esuberante improvvisatore
di poesia – prese parte il filosofo Giambattista Vico, grande estimatore
del Gravina, e, dopo la morte di questi, amico dello stesso Metastasio.
Nell’occasione fu presente anche la nobildonna Aurelia
Gambacorta d’Este, moglie di quel Francesco Gambacorta, insieme a Gaetano,
tra i protagonisti della congiura baronale antispagnola di Macchia del
1701. Non a caso, Metastasio, dedicava ad Aurelia Gambacorta d’Este la
prima pubblicazione a stampa delle sue opere, con il titolo Poesie
di Pietro Metastasio, a
Napoli nel 1717.
Solo a Napoli,
vicereame dell’imperatore austriaco, poteva essere pubblicata la prima
raccolta di poesie del discepolo del filo-imperiale Gravina, dedicata
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G. F. HAENDEL, Concerto grosso op. III n° 6 in RE maj.