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La prima opera, dunque, pubblicata con il nome
di Pietro Metastasio conteneva, oltre il Giustino,
Il convito degli Dei, idillio epico in ottave,
Il ratto d’Europa, idillio mitologico
in endasillabi sdruccioli, La morte di Catone,
L’origine delle Leggi, in terza rima,
e un’ode: Sopra il Santissimo Natale.
Era già un corpus poetico di tutto rispetto che faceva
impallidire la fama di letterati emergenti, tra cui anche quella di Paolo
Rolli, un altro discepolo del Gravina, destinato, qualche anno dopo in
Inghilterra, a una fortunata carriera, e all’intonazione musicale
di suoi melodrammi da parte di G.F. Haendel.
Il successo e la notorietà conquistata
dal giovanissimo Metastasio, dopo le Poesie
pubblicate a Napoli nel 1717,venne però funestata dall’improvvisa
morte del Gravina di lì a poco il 6 Gennaio del 1718. Anche se
il maestro lasciava erede l’allievo prediletto della maggiorparte
del suo patrimonio - quasi tuttala biblioteca e una cospicua somma di
denaro, con le rendite di alcuni uffici ecclesiastici -, Metastasio perdeva
oltre l’affetto e la paterna guida del Gravina, anche la protezione
di questi come principale animatore del sodalizio letterario, alternativo
all’Arcadia, l’Accademia dei Quirini,
rappresentativa in Roma del partito filo-imperiale. Pietro Metastasio,
inutilmente cercava di fare dimenticare dissidi e dissapori che avevano
reso la figura del Gravina ostica e malvista negli ambienti della Curia
papale, celebrandone la dirittura morale, la profetica passione letteraria
ne La strada della Gloria,composizione in terza
rima, declamata nell’adunanza annuale dell’Accademia dell’Arcadia,
nel 1718, quale orazione funebre in onore di uno dei suoi storici fondatori.
A nulla anche valse che prima di celebrare il
maestro, lo stesso Metastasio entrasse in Arcadia con il nome di Artinio
Corasio, segnalando che con la morte del Gravina ogni dissidio tra i circoli
poetici e letterari non avrebbe ricevuto alimento dall’allievo prediletto
del più famoso giurista e letterato che Roma vantasse tra Sei e
Settecento.
Inoltre, le liti giudiziarie promosse contro
di lui da alcuni altri discepoli del Gravina, impedendo da una parte il
pieno godimento dei lasciti testamentari dello stesso, dall’altra
provocando la malevola opinione che Metastasio avesse ereditato, con i
suoi beni, anche il carattere battagliero e polemico del maestro, misero
il giovane poeta in una condizione di isolamento sociale. Naufraga il
tentativo di unirsi in matrimonio a Rosalia Gasparini, figlia del musicista
Francesco, maestro di cappella della chiesa di S. Lorenzo in Lucina, e
più tardi di S. Giovanni in Laterano, nonostante l’approvazione
paterna e il contratto già sottoscritto tra i due giovani. All’ultimo
momento, Rosalia sceglie di sposare un altro pretendente. A Pietro Metastasio,
profondamente deluso da queste vicende, neppure soccorso questa volta
– a quanto pare - dal suo padrino di battesimo, il cardinale Pietro
Ottoboni, per trovare impieghi consoni al suo status, non resta che trasferirsi
a Napoli, dove spera – come in effetti accadrà – di
avere maggiore fortuna.
Tra la primavera e l’inizio dell’estate
del 1719, composta la canzonetta La Primavera,
a titolo di commiato dalla sua città, parte per Napoli.
Nella lettera all’avvocato Francesco d’Aguirre,
eminente figura della corte sabauda a Torino, stretto amico del Gravina,
il 23 Dicembre di quel 1719, Pietro Metastasio, trascurando le delusioni
d’amore, non ancora presentatesi le occasioni per iniziare la carriera
che, proprio da Napoli, gli consentirà di divenire il protagonista
assoluto del teatro musicale nel corso del secolo, così raccontava
le romane e napoletane vicissitudini, nella speranza che il suo interlocutore
gli aprisse la strada per la filo-austriaca Torino, o chissa!, forse per
la stessa Vienna:
I miei domestici interessi mi trasportarono,
già molti mesi orsono, in Napoli, e mi ci ritenne poi la considerazione
del pertinace odio che ancor si conserva in Roma non meno che al nome
che alla scuola tutta dell’abate Gravina…, mio venerato Maestro.
Qual odio, se non in tutto almeno in parte,si è trasfuso, e come
discepolo eletto e come erede
[nostre sottolineature], sovra di me. Ed ancorché possa io con
le mie rendite onestamente vivere in Roma, ho stimato prudente risoluzione
il vivere lontano per non vivere fra nemici. Confesso però con
tutta l’ingenuità che mi riesce più noioso questo
soggiorno, perché la rozzezza del paese, cagionata dalla mancanza
della Corte, è così contraria al commercio civile, che malevolmente
un onest’uomo, educato in una città dominante
[nostra sottolineatura], può assuefarvisi.
Felice V.S. illustrissima che ha avuta la sorte d’incontrarsi in
un principe che sa così bene conoscere ed esaltare il suo merito....
La mia tolleranza in questo paese non so quanto sia per durare, onde è
certo che volendo io esentarmi di qui, e non potendo sperare in Roma alcun
incamminamento fin che dura questo vento, passerò ultramontes,
per cercare ove far nido, e probabilmente a Vienna, ove molti padroni
ed amici, che colà dimorano, mi persuadono e promettono assistenza
ed aiuto. In ogni caso voglio in ogni caso passar per costà –
[per la Corte di Torino, nostra nota] - , e la supplicherò che
mi dia l’onore di vedere, e, se sarà possibile, inchinarmi
a Sua Maestà.
L’anno seguente, 1720, le pessimistiche previsioni di Metastasio
vengono contraddette, per sua fortuna, dall’incarico della nobile
famiglia Pignatelli di Belmonte a comporre un Epitalamio per le nozze
del loro erede, don Antonio Pignatelli con Anna Francesca Pinelli de’
Sangro. Con la festiva composizione Metastasio ottiene il riconoscimento
del suo valore presso la nobiltà filo-austriaca, non solo in ricordo
della presentazione del giovane da parte del Gravina qualche anno prima,
ma come vera e propria designazione del poeta romano a rappresentare una
nuova forma di comunicazione tra aristocrazia e ceti popolari, tra la
nobiltà napoletana e la lontana corte asburgica. Il valore civile
e al tempo stesso sociale e politico della versificazione metastasiana,
infatti, costituisce un chiaro segnale sia per la partecipazione dei ceti
popolari al nuovo corso a Napoli con l’arrivo degli Asburgo, sia
per l’avvio, atteso da secoli, di un processo di autonomia del Meridione
e delle sue classi dirigenti – l’aristocrazia – che
consenta a queste terre di costituirsi in Regno, pur sotto la suprema
giurisdizione dell’Impero.
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