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In questa prima lettera del 15
Luglio 1765 a Francesco Giovanni marchese di Chastellux, Pietro
Metastasio, essendo ormai prossimo con la stesura de
L’estratto dell’Arte poetica d’Aristotile e considerazioni su la
medesima, alla sistemazione del complesso rapporto tra testo
poetico-letterario e intonazione musicale, risponde alle
sollecitazioni provenienti dal nobile francese (nel 1775 questi
sarà nominato membro dell’Accademia di Francia), autore del
trattato Essai sur l’union de la poésie et de la musique.
Il saggio dello Chastellux, amico
di Voltaire e di d’Holbach, militare di carriera, dal 1776
partecipante alla Guerra d’Indipendenza degli Stati Uniti
d’America e alla vittoriosa battaglia di Yorktown, maresciallo
di campo dell’armata del generale Rochambeau, ufficiale di
collegamento tra i Francesi e il generale George Washington, del
quale diverrà uno degli amici più stretti, diviene, insieme alla
lettera inviata al Poeta Cesareo, l’oggetto di uno scambio
epistolare che ha al centro proprio la questione dell’equilibrio
e del ruolo rispettivamente della parola poetica e della musica
nella composizione del melodramma.
Metastasio rende omaggio allo
Chastellux, trovandosi perfettamente consenziente con la sua
sensibilità, laddove questi pretende il rispetto nel melodramma,
con una pertinente ed adeguata elaborazione del ritmo delle
arie, della potenzialità comunicativa espressa dalla poesia,
evitando che proprio l’Aria venga sommersa da superflui
ornamenti e da retorici abiti musicali, così come apprezza le
distinzioni introdotte dal nobile francese nell’individuare e
rispettare l’economia dell’accompagnamento musicale
nell’intervenire sul recitativo semplice e sul
recitativo composto (idest: accompagnato).
D’altro canto, Pietro Metastasio
non può fare a meno di fare osservare che il desiderio e la
propensione del nobile per un affrancamento e/o scioglimento
della musica dai legami con la poesia, quasi che la prima abbia
un ruolo prioritario, esclusivo e determinante nel successo e
nella rappresentazione del melodramma, finiscano per contraddire
proprio quella ricerca di equilibrio tra parola poetica e
intonazione, prima raccomandata dallo stesso Chastellux, tanto
che questi potrebbe essere costretto a dover accettare le
cosiddette Arie di bravura, pur di vedere ostentare le
meravigliose ricchezze proposte dalla musica, attraverso
«qualche gorga imitatrice de’ violini e degli usignuoli».
La vis polemica del Poeta
Cesareo non si limita soltanto a rimarcare il ruolo distruttivo
esercitato dall’aria di bravura sia nei confronti della
poesia drammatica che verso la musica, dipendente così da una
ricerca sorprendente del dilettevole, di meccaniche sensazioni,
dal perseguire «i piaceri che non giungono a far impressione su
la mente e sul cuore», ma finisce per investire, capovolgendo a
sua volta la “rivoluzionaria” ipotesi del nobile francese, la
pretesa capacità di dominio della musica sulla parola poetica,
in quanto la prima, quando anche volesse affrancarsi del tutto
dalla seconda, potrebbe soltanto ed esclusivamente occuparsi
«nel metter d’accordo le varie voci d’un coro, a regolare
l’armonia d’un concerto, o a secondare i passi d’un ballo»,
mentre soltanto la poesia possiede la capacità di individuare e
quindi rappresentare i piaceri, il diletto che ha duratura
origine e sviluppo nella ragione discorsiva
dell’uomo, e quindi nell’ordito complessivo e strutturato
del melodramma, unione indissolubile e in equilibrio di poesia e
musica.
Metastasio lancia quindi un vero e
proprio guanto di sfida allo Chastellux: è in grado da sé sola
la musica di costruire una narrazione nella quale passioni,
sentimenti, azioni drammatiche siano leggibili distintamente e
progressivamente sino al compimento della catastrofe e/o esito
finale?
Perciò, la narrazione o
discorsività razionale propria del melodramma
metastasiano diverrà oggetto della seconda lettera allo
Chastellux, sei mesi più tardi, il 29 Gennaio del 1766.
Finora, e in seguito anche nei
secoli successivi, nessuno tra i poeti del teatro musicale,
meglio noti e chiamati come librettisti, era stato in
grado di seguire ed accompagnare in modo così esplicito e chiaro
l’evoluzione del melodramma, la forma d’arte più diffusa e
popolare nel corso dell’età moderna, dal XVIII al XIX secolo,
così da obbligare anche i sostenitori ante-litteram di
prima la musica, poi le parole a giustificare i loro assunti
sul piano teorico e storico, nonchè su quello della prassi
scenico-operistica.
Mario Valente
Roma, 24 giugno 2011 |